16.12.14

La rana rise, e fu il diluvio. I miti degli aborigeni australiani (Maurizio Bartocci)

Australia. Una roccia venerata dagli aborigeni.
C'è una premessa da fare. La tradizione mitologica aborigena è esclusivamente orale. A differenza di altre cosmogonie note, dove le fasi della creazione del mondo sono documentate da testi sacri o pittorici, simbolici e metaforici, quella aborigena è strettamente legata alla forma del paesaggio del continente australiano e alle sue vicissitudini nel corso dei secoli.
E di conseguenza risulta assai più complessa di quanto possa rivelarsi alla semplice lettura di quei racconti a noi giunti in traduzione - per lo più inglese -, raccolti sotto l'etichetta «miti e leggende». Per quanto essi si sforzino di rimanere fedeli alla versione originale che si tramanda da più di quarantamila anni, non va dimenticato che molto è stato tradito dalla traduzione e molto non è stato rivelato all'orecchio profano e indiscreto dell'antropologo e dell'etnologo bianco.
Questi miti, infatti, raccontati in una ottantina di diverse lingue indigene, sono i gelosi custodi di una storia, di un codice di leggi, di ideali culturali e di un'ontologia che pongono alla loro base il sacro legame fra la terra e tutto ciò che su di essa esiste. Di conseguenza, anche la letteratura che questi miti incarna rimane assolutamente «sacra», a tratti completamente segreta, a tratti parzialmente rivelabile, diventando un vero e proprio veicolo intellettuale: dichiarazioni e affermazioni, categoriche e immutabili, valide sempre nel tempo.
Comunque, non tutte le storie sono sacre o semisacre. Ce ne sono alcune legate alla vita di tutti i giorni, comprese quelle che si raccontano ai bambini: sintetici abbozzi o versioni alterate dei grandi miti religiosi. Ma non tutti i membri di una comunità sono a conoscenza dei miti più importanti. Per esempio, nella tribù degli Aranda, solo gli uomini appartenenti a una certa lingua di terra detengono e preservano i miti ad essa associati, e solo loro ne possono eseguire i rituali. Dei miti più importanti, molto spesso, una buona parte della comunità non ne conosce affatto i dettagli e le sfumature.
Anche quando un mito è generalmente noto e diffuso, le sue versioni sacre sono sempre più complesse e più ricche, e non ne esiste mai una sola versione accettata come «vera e ufficiale».
In quasi tutta l'Australia, gli autentici miti sacri non prendono mai la forma della narrazione così come la concepiamo noi. Di solito vengono «trasmessi» attraverso dei canti che forniscono le parole chiave, o i riferimenti, senza mai essere, però, piatte descrizioni didascaliche. E siccome quasi tutti i miti sono legati a un luogo dalle coordinate ben precise e spesso a un oggetto sacro, i canti sono proprio il veicolo con il quale la gente arriva a fare le giuste associazioni. Praticamente ogni luogo, in qualche maniera rilevante per la vita degli aborigeni - come un sorgente, una pozza d'acqua nel deserto - o che abbia delle caratteristiche peculiari - una formazione rocciosa, come Uluru - hanno un rapporto con il mito o con una parte del mito.
I miti, dunque, variano da zona a zona, con differenze sostanziali fra il nord e il sud dell'Australia. Variano da comunità a comunità - da quella dei Nangas a quella dei Nyungars, da quella dei Kooris a quella dei Murris, solo per citarne alcune. Ci basti pensare che all'arrivo degli inglesi, nel 1788, erano presenti da 750.000 a un milione di aborigeni su tutto il territorio, suddivisi in più di 600 gruppi linguistici. Ma il loro denominatore comune, il perno attorno al quale ogni singola narrazione ruota e si sviluppa, è il concetto dell'eterno «Tempo del Sogno», il Dreaming, che in sé racchiude il passato, il presente e il futuro. Un'epoca astorica, che gli aborigeni dividono in tre parti: il tempo Prima del Tempo, il tempo della Creazione, e il tempo Presente.
In principio, nel tempo Prima del Tempo, c'erano solo la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco. Ossia, la pura natura incontaminata popolata da alcune forme naturali, da spiriti, diversi per foggia e dimensioni, e mostruose creature: Quelli-di-Prima. Un mondo assopito che si risveglia solo nel momento in cui le divinità, eroi mitici o antenati ancestrali - i precursori del genere umano - fanno la loro comparsa sul continente australiano con il compito di dare forma e nome alla terra, di creare gli esseri umani, di istituire rituali, leggi e regole sociali ancora oggi validi e rispettati, perché questi esseri mitici continuano a vivere in forma spirituale e a esercitare la loro influenza sulle persone e sul paesaggio.
Esseri diversi, con diverse personalità che, attraverso un atto di autocreazione, sopraggiunsero dal ciclo o emersero dalla stessa terra. Con il loro arrivo tutto ciò che era successo prima perse di consistenza e diventò totalmente irrilevante. Essi non sono confinati in una zona particolare, ma si muovono lungo corsi d'acqua e attraverso tutto il continente, disseminando di azioni creative ogni luogo che toccano. Spostandosi, tracciano le «Vie del Sogno», che si incrociano e si diramano in tutte le direzioni e su tutto il continente, disegnando un'intricata mappa spirituale e una fitta rete intercomunicativa.
E fra gli atti da loro compiuti, il più importante fu appunto quello legato alla creazione dell'uomo.
Fra i miti sulla creazione dell'uomo, ve n'è uno che attribuisce l'atto creativo a due sorelle, il cui nome era Djanggawul. Esse erano le Figlie del Sole, e un giorno Bildjiwuraroju, la più grande, con Miralaidj, la più piccola, partirono con il loro Fratello da Bralgu, la terra dei morti ubicata in un luogo non ben precisato del Golfo di Carpentaria. A bordo di una canoa percorsero il Sentiero del Sole, muovendosi da Oriente verso Occidente, e approdarono nella Terra di Arnhem. Avevano portato con sé una serie di oggetti sacri, ma il più sacro di tutti era il ngainmara, un tondo tappetino conico - un utero simbolico. Una volta sbarcate le due sorelle cominciarono immediatamente a interagire con le altre creature mitiche arrivate prima di loro e già presenti sul posto.
Per prima cosa crearono il rangga, il primo albero dal quale nacquero poi tutti gli altri alberi. Successivamente crearono gli uccelli e cominciarono a plasmare il paesaggio circostante. Nominarono ogni luogo e ogni cosa; stabilirono usanze e cerimoniali, leggi e tradizioni di quella zona. Dopodiché, come ultima cosa, diedero vita ai primi esseri umani, che vennero chiamati i figli di Djanggawul. Ebbero poi cura di assegnar loro un luogo di appartenenza e, con il sole che tramontava, scomparvero di nuovo verso Occidente.
Il ciclo Djanggawul, del quale esistono diverse versioni, è il più diffuso, se non altro nella Terra di Arnhem; ma ne esistono molti altri sul ruolo generatore femminile. Per esempio quello legato alle Sorelle Wawalag, anche loro associate a un uomo di nome Wojal, che aveva le gambe a boomerang e viaggiava nella loro stessa direzione.
In una delle tante versioni, le due Sorelle - Waimariwi, la maggiore, e Boaliri, la minore -, accompagnate dalle loro cagne Wulngari e Buruwal, si misero in viaggio per raggiungere una pozza d'acqua. Una volta arrivate a destinazione, si accamparono all'ombra delle meleleuche e la maggiore diede alla luce un bambino. Il sangue del parto attirò immediatamente un enorme pitone che viveva nelle vicinanze della pozza. Alla vista del serpente, le sorelle si spaventarono e iniziarono una serie di danze e rituali magici per allontanarlo. Esauste e convinte di averlo allontanato, si addormentarono. Ma il pitone era sempre lì e in un attimo inghiottì le sorelle, il bambino e le cagne, che continuarono a dormire nel suo stomaco.
L'origine del mondo e la creazione dell'uomo sono temi che continuano a essere centrali anche nelle opere degli artisti aborigeni contemporanei. Alla Art Gallery of New South Wales di Sydney sono esposti una serie di pannelli, opera di un pittore aborigeno della tribù Mawalan, della Terra di Arnhem, che rappresentano le varie fasi della bibbia aborigena, a partire appunto dalla Genesi fino all'Apocalisse, compreso un Diluvio universale. In questi dipinti si rintracciano corrispondenze molto forti con i miti della creazione di altre culture; corrispondenze abbastanza inspiegabili se si considera che, fino a epoche relativamente recenti, gli aborigeni sono praticamente vissuti in condizioni di assoluto isolamento.
Quello del Diluvio è, come sappiamo, un tema presente in numerosi racconti mitologici, da quello della tradizione sumero-accadica, narrato nella Tavoletta XI dell'Epopea di Gilgamesh, a quello della Bibbia con Noè.
Nella tradizione sumero-accadica, tutto comincia con un concilio degli dèi che decidono di annientare l'umanità, e i fautori della distruzione sono Ishtar, dea della guerra, ed Enlil, dio della terra, del vento e dell'aria universale. E la tragedia si compie con l'aiuto degli orrori delle tempeste e degli dèi degli Inferi.
Ugualmente nella Genesi (5:8-22) il diluvio avviene per volontà divina: «Sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato» dice Dio, «dall'uomo fino agli animali domestici, fino ai rettili e fino agli uccelli del ciclo, perché sono pentito di averli fatti». E così piovve per quaranta giorni e quaranta notti, e le acque rimasero sulla terra per centocinquanta giorni.
Anche nella tradizione egizia v'è traccia di un diluvio, quando un grande serpente mise a secco la barca divina di Ra, dopo aver aspirato tutte le acque del mondo. A quel punto, adirato, il dio Seth infilzò il serpente, costringendolo a vomitare tutto ciò che aveva bevuto.
Ogni diluvio avviene per opera degli dèi come atto punitivo verso gli uomini che li hanno delusi con atti malvagi e pensieri volti al male. Il Diluvio della Genesi aborigena non avviene però per opera di nessuna divinità; ma ancora una volta, essendo il corpo mitologico e filosofico degli aborigeni strettamente legato alla terra e a chi la abita, la fautrice di questo diluvio, che è casuale e niente affatto punitivo, è semplicemente una rana.
La storia racconta che nei tempi remoti, quando giunsero nel continente australiano i primi uomini, viveva una rana gigantesca di nome Tiddalick. Non se ne conoscono le dimensioni, ma pare che fosse più grossa delle colline, e tutta la terra tremava quando si muoveva. Un giorno Tiddalick aveva sete e bevve tutta l'acqua del continente, prosciugando fiumi, pozze d'acqua, e laghi. Non si scorgevano segni di pioggia, così uomini e animali si riunirono per trovare il sistema di riprendersi l'acqua dalla rana, e arrivarono alla conclusione che facendola ridere, lei si sarebbe messa le mani sui fianchi e l'acqua sarebbe cominciata a sgorgarle dalla bocca. Il primo a provarci fu il kookaburra, uccello dalla risata inconfondibile e irresistibile, ma non ebbe successo. Quindi, chi prima, chi dopo, ci provarono tutti. Ma niente. L'ultima a provare fu l'anguilla Noyang, che con le sue contorsioni finalmente ci riuscì. Dapprima la rana si limitò a sorridere, e dai lati della bocca cominciò a sgorgare un fìumiciattolo. Noyang intanto continuava a esibirsi e la rana pian piano cominciò a ridere sempre più di gusto tanto che, dalla bocca ben spalancata, cominciò a sgorgare un vero e proprio oceano che trascinò via tutti.
Come nelle cosmogonie di molti altri popoli, anche il mondo primordiale aborigeno era popolato di creature gigantesche. E furono proprio i giganteschi fratelli Bagaginmbiri, spiriti della terra, sotto forma di enormi dingo, a ricreare l'umanità dopo il diluvio.
Ancora oggi gli aborigeni intrattengono buone relazioni con le varie creature titaniche che lasciarono un segno al loro passaggio. In Australia esistono molte zone che rappresentano delle porte aperte verso il cielo; dei veri e propri collegamenti con il mondo degli spiriti totemici del Tempo del Sogno. E il vero ombelico del mondo, il confine estremo tra gli uomini e il Tempo Mitico è rappresentato da Uluru (Ayers Rock), frontiera tra le Vie del Sogno e la dimensione umana.
Ogni caverna, ogni fessura, ogni incisione sulla roccia ha per gli aborigeni un preciso significato magico e un richiamo a un rituale segreto. Perché le creature mitiche furono e ancora oggi sono responsabili di ciò che la terra è diventata e diventerà. Come afferma Ronald M. Berndt, antropologo fra i più illustri studiosi di mitologia e cultura aborigena, l'Australia è una terra seminata di segni, una terra che parla e che continua a raccontare i miti viventi che l'hanno fondata e che continuano a sostenerla.


“il manifesto”, 6 settembre 2000

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