25.4.16

Cervantes e la sua maschera (Carmelo Samonà)

Fra la vita di un uomo e la sua opera letteraria esiste una relazione complessa: legami che sentiamo intimi e irrevocabili e che tuttavia non hanno nulla di ovvio. Leggiamo un romanzo, un poema; indebitamente, forse, ma con umana curiosità, ci interroghiamo sull'individuo-scrittore che è dietro di essi; e il più delle volte ne siamo ripagati con un viaggio in un territorio infido, che spesso ci confonde le carte della lettura o ci costringe a grossolane approssimazioni. Il rischio, però, non ci scoraggia.
Quando l'artista di cui invochiamo un profilo attendibile si chiama Miguel de Cervantes (e perciò è in gioco una parte profonda della nostra stessa identità culturale) il problema si fa più acuto, ma nella sua incertezza, nella sua eventuale oscurità o torbidezza, anche più affascinante. Ed è logico che continuiamo a chiederci: chi era in realtà, come viveva, cosa pensava l'uomo dalla cui mente è uscito uno dei grandi miti della civiltà moderna?
Dopo secoli di ricerche pazienti, l'autore del Don Chisciotte è ancora, per noi, una personalità in controluce: una figura sfumata, sfuggente, che i dati in nostro possesso non affrancano da lacune insidiose, da pregiudizi tenaci e spesso contraddittori. Si è detto che era un borghese, un eroico soldato, un discendente di ebrei convertiti. Si è visto in lui un geniale improvvisatore (un ingenio lego), poi un letterato colto, di solida formazione umanistica. E ancora: un tendenziale laico con propensioni erasmiane, un cattolico di stretta osservanza, un reazionario, un ribelle. Le sue opere abbondano di memorie indirette dell'uomo così come dell'epoca in cui visse, ma sono un coacervo di ambiguità e di doppi messaggi per chi intenda ricavarne indizi, suggerimenti obbiettivi. E i presunti ritratti? Perfino questi ci ingannano: dei due attribuiti a Jauregui, uno è senza dubbio un falso, l'altro non ritrae Cervantes, a quanto pare, ma un certo conte de Uceda...
Com'era, dunque, il volto di questo autore che si nasconde al nostro sguardo, di questo hidalgo povero, che negli anni fra il Cinque ed il Seicento si sposta incessantemente per la Spagna di Filippo II e III e sembra simulare o rincorrere, scrivendo, la saldezza di un decoro sociale che stenta a realizzarsi? Probabilmente, il massimo poeta della letteratura spagnola fu anche un personaggio emblematico: un uomo che attestò con i suoi gusti, col suo carattere, con la sua stessa precarietà economica, un trapasso storico di mentalità e di culture.
Ma che cos'è in gioco esattamente, quando ne scrutiamo i pochi eventi che ci sono noti? La decadenza dell'universalismo cattolico e dell'egemonia spagnola in Europa? Quella disfatta o tramonto della seconda cavalleria che Arnold Hauser, in un'acuta pagina della Storia sociale dell'arte, vide non soltanto nel Don Chisciotte ma anche nei modi e nei disagi sociali del suo grande autore? O anche qualcosa d' altro?
[...] Immaginiamo Cervantes giovane poco dopo la metà del Cinquecento: oscuro cavaliere in cerca di fortuna, costretto, forse, a difendersi dalla taccia di cristiano nuevo (quell'origine ebraica che segna un discrimine sociale ineludibile, allora, per chiunque ne venga sospettato); transfuga, prima, in Italia, poi soldato nell'armata che sconfigge i turchi a Lepanto dov'è ferito e perde l'uso di una mano; quindi rapito dai pirati barbareschi e trasportato ad Algeri, dove resta in cattività per cinque anni, finché un riscatto non gli consente di tornare in patria e di iniziare, finalmente, la carriera letteraria. E' come leggere una vita romanzata, un novella d' avventure a metà fra picaresca e moresca...


“la Repubblica”19 luglio 1987  

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