5.9.11

Per Edoarda Masi

E’ morta qualche giorno fa Edoarda Masi, la nostra compagna, che fu tra i tre studenti italiani ammessi a studiare a Peitha, l’Università di Pechino, nei lontani anni Cinquanta, quando l’Italia, rigidamente atlantista, non riconosceva ancora la Cina popolare (si dovette attendere il centro-sinistra e un ministro degli Esteri come Pietro Nenni per allacciare relazioni diplomatiche). "Il manifesto”, il quotidiano comunista con il quale collaborò fin dalla fondazione, le ha dedicato una pagina intera, da cui attingerò in altri post ricordi e riflessioni.
Quanto a me non l’ho conosciuta di persona, ma ho imparato ad apprezzarne soprattutto dagli scritti la dirittura, l’intransigenza, l’onestà e l’umiltà, oltre che la grande intelligenza. M’è anche accaduto di parlare di lei con suoi amici carissimi. Erano persone che conoscevo appena, ma che parlando di lei si scioglievano, trascinati – credo – dall’ammirazione, oltre che dall’affetto.
Ho parlato di Edoarda Masi con Franco Fortini. Subito dopo l’incidente di Sigonella venne a Perugia per un dibattito organizzato dal Pci alla sala Brugnoli. Andammo a prenderlo da Siena, dove insegnava, in automobile. In quei giorni Craxi, presidente del Consiglio, era stato messo sotto accusa dall’atlanticissimo Spadolini e aveva reagito con un grande discorso in Parlamento. Aveva citato Mazzini e la sua celebre “tempesta del dubbio”, per affermare che, se il terrorismo era stato una tentazione perfino per un animo nobile come il grande patriota italiano, non ci si doveva meravigliare che forme di lotta estreme attraessero un popolo, come quello palestinese, cui erano state chiuse tutte le altre vie nell’aspirazione a una patria. In macchina Fortini ci lesse una lettera appena ricevuta da Edoarda. Non ricordo le parole (ma la loro aspra bellezza) né le argomentazioni (ma la loro puntuta efficacia), rammento tuttavia il sugo del discorso: una critica radicale al Pci in marcia verso la dissoluzione e a quel che restava della sinistra sessantottina sul tema, difficile ma ineludibile, della violenza. Edoarda Masi non si capacitava del fatto che i comunisti (al tempo guidati da Natta) e la sinistra radicale fossero fuggiti via per opportunismo dal dibattito sulla violenza e denunciava che la lotta per la pace delle sinistre si andasse stemperando in un dolciastro pacifismo che avallava l’oppressione e l’ingiustizia. “Ce lo dobbiamo fare insegnare da Craxi?” – era questa più o meno la sua protesta.
Non so dove sia conservata quella lettera e temo che non sia stata pubblicata, ma la forte impressione che ne mantengo dopo tanti anni mi dice che, se non lo si è fatto, si dovrebbe farlo.
Di Edoarda Masi ho poi parlato nel 2001 con Renata Pisu, al tempo orientalista de “La Repubblica”. Ero curioso di Gaetano Baldacci, su cui volevo (e tuttora vorrei) scrivere un libro. Alla mia richiesta di un colloquio sugli anni del settimanale “Abc”, Pisu, che si era fatta le ossa giornalistiche in quel rotocalco scollacciato, rispose con squisita gentilezza. Appena rientrata dalla Cina, mi invitò a colazione, nella sua casa milanese. Decisi di rompere il ghiaccio parlando di Mao: Renata Pisu era un altro di quei tre studenti (il terzo mi pare fosse Filippo Coccia) che fece negli anni 50 la memorabile esperienza di studio a Pechino, in camerate affollatissime, con l’acqua fredda e le luci fioche. Ma il discorso, chissà come, rapidamente si spostò su Edoarda Masi. Ascoltai il sommario ma affascinante racconto di una sua bella e contrastatissima storia d’amore con il figlio di un alto dignitario comunista cinese, seppi delle tensioni anche drammatiche che ne erano scaturite, sentii parlare dei suoi tormenti, delle sue debolezze e della sua forza.
Di Masi del resto conoscevo già molto. Negli anni della moda maoista che aveva contagiato non pochi grandi intellettuali europei  non era mai caduta nell’atteggiamento di acritica venerazione e pappagallesco scimmiottamento. Ma, dopo la morte di Mao, reagì con forza a quella che le sembrò quasi subito una controrivoluzione e non attese Tien An Men per denunciare in articoli e libri quella che le sembrava una conferma della pessimistica previsione di Mao, la probabile vittoria in Cina della destra del Pcc e della via capitalistica dopo la sua morte, e ribadire la sua scelta di fondo per la Rivoluzione Culturale. Ne scrisse in un libro coraggioso e controcorrente che si intitolava Per la Cina. Era l'ideale prosecuzione de La contestazione cinese, il volume che diede inizio, nel 1968, alla fortunata “Serie politica” delle Edizioni Einaudi. Edoarda Masi vi aveva affermato l’estrema modernità dell’esperienza cinese e il valore paradigmatico della Rivoluzione Culturale per il movimento operaio dell’Occidente capitalistico. Al tempo, con una spregiudicatezza che molti comunisti cinesi e maoisti italiani non le perdonarono, spiegava come Mao, convinto che la salvezza del socialismo in Cina dipendesse in ultima analisi dalla rivoluzione in Occidente, si collocasse sulla stessa lunghezza d'onda di Trotzkji. In Italia non glielo perdonarono non solo quei maoisti rozzi che portavano in giro i cartelloni con Stalin e la scritta Dittatura del proletariato, ma anche quelli più raffinati che non ignoravano l’antico contrasto tra Mao e Baffone, ma che, sulla scorta di Lin Piao e del suo fortunato libretto Viva la vittoria della guerra popolare, interpretavano il maoismo come terzomondismo e attendevano l’accerchiamento delle metropoli nordoccidentali da parte delle campagne del mondo. Una caratteristica rara della ricerca di Edoarda Masi è - in ogni caso - la sua totale mancanza di pregiudizi etnocentrici e ideologici - ne filoccidentali nè antioccidentali. Contro quei suoi antichi detrattori Edoarda Masi affermava la saggia convinzione che le campagne e il Sud del mondo non sono, di per sè, i contenitori di una salvezza che il mondo povero ed innocente dei contadini porta al ricco e corrotto Occidente che ha integrato nel proprio sistema consumistico gli stessi operai, ma che anche nelle campagne e tra i contadini si sviluppano disuguaglianza e sfruttamento; nello stesso tempo mostrava quanto in Occidente ci fosse allora (e  tuttora) da imparare da una rivoluzione in prevalenza contadina quale quella maoista, e ci sia molto da imparare da movimenti come i Sem Terra brasiliani, a cui Edoarda Masi ha dedicato alcuni dei più recenti interventi politici. 

In questo stesso blog si possono vedere due testi di Edoarda Masi, un articolo per i quarant’anni dalla Rivoluzione Culturale e una nota sul movimento brasiliano dei Sem Terra e su un discorso di Stadile che ne è uno dei leader.

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