3.9.12

Le "Vite parallele". Plutarco e i segni dell'anima (Daniele Piccinni)

In occasione della ripubblicazione della “vita parallela” di Alessandro Magno e di Cesare, Daniele Piccini, sul “Corriere” fornisce indicazioni perspicue sul capolavoro di Plutarco. Posto qui un ampio  stralcio dell’articolo. (S.L.L.)      

«Io non scrivo storia, ma biografia» afferma Plutarco, introducendo nelle Vite parallele il dittico formato da Alessandro Magno e Cesare. Con tale netta distinzione di generi, che il dibattito moderno tende invece a sfumare, vuol delimitare un campo differenziato rispetto alla scrittura storica in senso proprio: «Spesso un breve episodio, una parola, un motto di spirito, dà un'idea del carattere molto meglio che non battaglie con migliaia di morti, grandi schieramenti d'eserciti, assedi di città». E più avanti l'erudito di Cheronea, in Beozia (vi era nato intorno al 46 d.C.), aggiunge: «Mi si conceda di interessarmi di più di quelli che sono i segni dell'anima, e mediante essi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri la trattazione delle grandi contese».
Il metodo di Plutarco passa per il vaglio delle fonti, soppesate e confrontate nella diversità dei pareri (si possono d'altronde dare nel loro impiego distorsioni e incongruenze, specie per intenti d'arte), ma diverge dalla storia, a quanto dichiara, perché cerca i «segni dell'anima»: è interessato dunque più che altro a indagare l'ethos del personaggio, a presentarcelo nella sua fibra morale e nei suoi moventi. Ciò è coerente con la complessiva figura intellettuale di questo scrittore greco vissuto tra I e II secolo d.C. (morì dopo il 120), autore di una grande quantità di scritti che affrontano argomenti politici, scientifici, etico-filosofici, letterari (tramandati sotto il titolo di Moralia). Così, quando nelle Vite parallele mette a confronto un personaggio greco e uno romano (come fa di norma), compiendo un'opera di avvicinamento tra le due culture di cui è partecipe (erede della letteratura greca e inserito nell'impero romano, ebbe una conoscenza non perfetta del latino), va alla ricerca di un filo conduttore di tipo etico, del dèmone dei personaggi.
Alessandro Magno (356-323 a.C.) è animato fin da giovanissimo dal desiderio di gloria, che lo spinge a mettere l'azione al di sopra di tutto: «Ne è dimostrazione la sua vita, assolutamente breve, ma piena di moltissime e grandissime imprese». Accanto al racconto delle conquiste, il biografo si sofferma, come da programma, su aneddoti e particolari, che sembrano esprimere la magnanimità del Macedone: dall'incontro con il filosofo Diogene alla temperanza con le donne, fino alla generosità verso gli amici e all'amore per l'Iliade. […]
Manca, nel dittico Alessandro-Cesare, il confronto finale tra i due (la synkrisis, presente nelle Vite parallele salvo pochi casi), forse perduto, forse mai composto. Alcune analogie sono evidenti, specie per ciò che concerne il motivo dell'ambizione, fondamentale anche in Cesare (100-44 a.C.). Dall'elezione a pontefice massimo alle vittorie in Gallia fino alla guerra civile, il personaggio è descritto come un abile giocatore d'azzardo, che non esita a rischiare ogni volta il tutto per tutto, con la capacità di cogliere il momento opportuno.
Forse il pezzo più impressionante della biografia di Cesare (da confrontare con quella che apre Le vite dei Cesari di Svetonio) è il racconto della sua uccisione. Qui l'arte narrativa di Plutarco piega più che altrove verso il tragico: un fato inesorabile spinge Cesare verso la morte e a nulla valgono i segni e gli avvertimenti che potrebbero trattenerlo dal recarsi in Senato alle Idi di marzo del 44.
Biografo e non storico è Plutarco, nel senso che egli cerca l'anima, il sentimento della sorte, il movente umano e divino che spinge i grandi. È stato così capace di accendere la passione di lettori straordinari (da Montaigne a Shakespeare ad Alfieri), quasi romanziere della storia, artista delle vite illustri.

"Corriere della Sera" - 21 giugno 2012

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