10.10.12

Gilles de Rais. L'orco che fu maresciallo di Francia (Marco Belpoliti)

Da un vecchio ritaglio del “manifesto”, un’antica storia, di crimine e di orrore, e il libro di uno straordinario intellettuale, George Bataille, che la racconta e l’interpreta: Il processo di Gilles de Rais, Guanda, 1982. (S.L.L.)
Gilles de Laval, signore di Rais, in un ritratto del XVI secolo
Il grande feudatario che ispirò la storia di Barbablù
Di Barbablù hanno sentito parlare tutti, almeno da piccoli, anche se oggi gli spauracchi infantili sembrano avere assunto ulteriori nomi ed espressioni. Ma Barbablù che volto ha? La sua vera storia si perde nei secoli, se è vero che l'uomo che gli diede il volto è vissuto nel XV secolo.
La storia, al contrario di ciò che comunemente si crede, spesso aiuta a dimenticare, e con la loro polvere i secoli coprono i fatti o li travestono. Questa costante manipolazione del tempo e degli uomini ha, nel caso di Barbablù, una obiettiva ragione di oblio attivo. Chi infatti, prima di Sade e Freud, scrive Georges Bataille, avrebbe potuto mettere in scena senza travisamenti, senza note false, quelle orrende carneficine che commise Gilles de Rais e che sono all'origine della leggenda di Barbablù: carneficine che, senza le conoscenze che oggi abbiamo acquisite non sarebbero neppure verosimili?
Gilles de Rais, l'uomo che ha dato origine al mito di Barbablù, nacque alla fine del 1404 sulle rive della Loira, figlio di feudatari ed erede di un cospicuo patrimonio di terre e castelli, e concluse la sua vita nel 1440. Impiccato, il suo corpo fu dato alle fiamme, per essere poi sottratto ad esse, e quindi sepolto «da quattro o cinque dame o damigelle di alto rango» nella chiesa di Notre Dame-du Carmel, dove riposò, accanto ad altri famosi personaggi, fino alla Rivoluzione francese — quando gli eredi di quello stesso popolino, da cui aveva tratto le sue giovani vittime devastarono la chiesa in un macabro saccheggio.
Tante sono perciò le ragioni che spingerebbero a dimenticarci che Gilles de Rais, noi che viviamo in tempi cosi diversi, se non fosse che con intelligente acribia Bataille, aiutato dalle traduzioni di Pierre Klossowski, anni orsono ha portato alla luce quel materiale sconvolgente che sono i verbali del processo di Gilles de Rais, e le testimonianze dell'indagine che lo precedettero.
Il libro, da poco tradotto in italiano, è una delle ultime opere di Bataille.
Gilles, dopo la morte dei genitori, è allevato dal nonno materno, Jean de Craòn, immorale e violento feudatario degli Angiò, che lo inizia a quel mondo del crimine cui appartengono i feudatari del tempo. Finché il nonno è vivo il nipote non praticherà quella serie afferrata di delitti che lo renderà celebre dopo morto. Nel 1429 egli combatte a fianco di Giovanna d'Arco, che sembra preferirlo proprio in virtù del suo violento modo di combattere. Entra vincitore in Orléans, e nel luglio dello stesso anno è fatto maresciallo di Francia, non ha ancora venticinque anni. Di lì a tre anni muore
Jean de Craon, cui Bataille affida un importante ruolo nei confronti del nipote; con lui muore infatti il «padre». Cominciano i primi infanticidi di Gilles. Egli si fa portare, col consenso dei genitori ingannati dai suoi procacciatori, numerosi fanciulli. Il signor di Tiffanges — come attesta la confessione che gli scribi stesero ascoltandolo — sedeva sul ventre delle giovanissime vittime, e in questo modo, toccandosi, spandeva sul morente il seme della vita; ma ciò che più gli premeva non era di godere sessualmente, quanto di vedere la morte all'opera. Gli piaceva guardare; faceva aprire un corpo, tagliare la gola, sezionare le membra; gli piaceva vedere il sangue. Il numero dei bambini e della bambine, sovente sodomizzati, uccisi dal feudatario francese non è noto, forse duecento o forse più. I suoi scherani, mentre Gilles dormiva esausto, bruciavano o seppellivano le vittime, tanto che proprio il trasbordo di quaranta scheletri dal sotterraneo di un castello costituì una delle prove a carico di Gilles.
La sua storia è strettamente intrecciata, in una inquietante complicità fisica, con quella dei suoi aiutanti, legata a storie di magia, alchimia ed eresia.
Ma cosa spinse questo uomo, appartenente alla classe altofeudale del tempo, e, per quanto rozzo, istruito in confronto ai suoi sudditi, a commettere questi delitti?
Occorre dire che se Gilles de Rais non si fosse trascinato in una inarrestabile catena di dissipazioni — amava il lusso e la pompa magna delle funzioni, manteneva una cappella privata con chierici e coristi per il suo diletto, marciava spesso preceduto da magnifici cortei, non era certo prodigo di prebende e regali — egli non sarebbe stato toccato dalla giustizia ecclesiastica e secolare. Gilles de Rais si rovinò economicamente e con un ultimo atto impulsivo — l'attacco armato ad un chierico — si gettò nelle mani dei suoi futuri inquisitori. Già da tempo la voce popolare lo accusava di questi rapimenti di bambini, ma in fondo egli era un feudatario e quei fanciulli solo dei mendicanti e dei figli di contadini. Troppo poco per nuocergli, in un periodo storico che all'individuo dava tutt’altro valore da quello cui siamo abituati noi. Nella sua rovina, come ha sottolineato Bataille, c'è dunque una stretta connessione tra dissipazione e delitti, una connessione insieme soggettiva e sociale?
Bataille definsce Gilles un bambino. Del bambino egli ha l'onnipotenza infantile, che si esprime nella convinzione di possedere ricchezze inesauribili e un potere quasi assoluto. Scrive Bataille: «In genere, l'infantilità di un individuo ha poca opportunità, ma nel caso di Gilles de Rais, la fortuna e il potere di cui egli disponeva diedero alla sua infantilità delle tragiche possibilità. In effetti, a ben guardare, nei suoi crimini Gilles non è fino in fondo quel bambino che è, in realtà, pro¬fondamente. Nel crimine la sua ingenuità tocca una grandezza tragica».
Quello che colpisce noi, uomini civilizzati del XX secolo, è quella efferatezza e crudeltà dei crimini, crudeltà che ci stupisce anche quando veniamo in contatto con i selvaggi, o con i cannibali o con tutte quelle figure arcaiche, con le quali il bambino sembra avere molto in comune. Il bambino deve sbalordire gli altri, ma prima di tutto, insiste Bataille, deve sbalordire se stesso, e così fa Gilles de Rais con la sua frenesia morbosa. In questo senso non si può negare una certa mostruosità dell'infanzia, su cui si esercita peraltro, come dimostrano le fiabe, la crudeltà degli adulti. Non è facile dire se la crudeltà di questi è un resto di quella infantile, o se è invece una sorta di esercizio preventivo nei confronti della crudeltà infantile. Se i bambini sono dei mostri — e c'è chi sostiene a ragione l'inverso, come Kubrik in Shining —, è la loro mostruosità che ci affascina; in un mondo apparentemente dominato dalla ragione, essi sfuggono all'ordine stabilito (Bataille).
Il crimine ci colpisce sempre, e le sue spiegazioni sono spesso insufficienti ad illuminarlo. A commento del racconto dei delitti di Gilles de Rais, che Bataille ha fatto, si può osservare che crimine etimologicamente deriva dal greco krìno, e dal latino cerno; esso allude alla decisione. Infatti il crimine si pone su quel crinale di decisione che è difficile chiarire o illuminare. La decisione ha sempre qualcosa di casuale, e la decisione, assieme al crimine, è una delle peculiarità della nostra specie.
Gilles de Rais è un criminale puro, e infatti egli trova la sua misura e il suo eccesso nel dichiararsi, come ha scritto, in un bel commento al libro di Bataille, Denis Hollier. Hollier sottolinea che la leggenda — quella di Barbablù — è l'aspetto popolare del crimine, e la tragedia invece ne è l'aspetto letterario — il libro di Bataille. La tragedia ha la sua cifra nell'esser raccontata, altrimenti essa è nulla. Per sua fortuna il feudatario francese ha incontrato postumo il suo narratore.

"il manifesto", domenica 24 ottobre 1982

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