8.10.12

Allegorie islamiche. Un poeta in paradiso (di Wasim Dahmash)

La recensione che segue contiene una rapida informazione su un libro importante della tradizione araba, il libro di un musulmano dissenziente e lievemente miscredente, di cui è uscita l'anno scorso la versione italiana. Nel libro (e nella recensione) è riproposta la vexata quaestio dei rapporti con la Commedia dantesca. Per una prima informazione su questi temi “posto” qui un ampio stralcio dall’articolo apparso sul “manifesto”. (S.L.L.)

Abul-'Ala' al-Ma'arri
Per merito della documentata introduzione e del ricco apparato bibliografico e di note con cui Martino Diez ha corredato la sua traduzione, il lettore italiano può finalmente disporre di uno dei libri fondanti della letteratura araba, anche contemporanea, L'epistola del perdono. Il viaggio nell'aldilà (“Risàlat al-Ghufràn”), composto verso il 1033 dal filosofo, poeta e scrittore Abul-'Ala' al-Ma'arri (Einaudi 2011, pp. 205, euro 26), un testo di non facile lettura nell'originale arabo e divenuto pienamente leggibile solo grazie all'opera filologica e critica compiuta nel 1950 dall'egiziana Bint al-Shati' sulla cui decima edizione Diez si è basato per il suo lavoro. Nella sua Introduzione, del resto, è lo stesso Diez ad affermare che «L'epistola chiede moltissimo a un lettore moderno, anche se il consistente apparato di note che accompagna l'edizione araba dimostra (magra consolazione) che ciò vale in larga misura anche per il pubblico autoctono».

Recluso in due prigioni
Complesse per stile e costruzione, le opere di al-Ma'arri sono sempre state appannaggio di pochi eruditi. Quella tradotta oggi in italiano è in realtà tra le «meno difficili» (e nonostante ciò, poco letta anche se molto citata), sebbene non abbia avuto la fortuna di altri suoi libri, almeno tra quelli che si sono salvati dal sacco di Ma'arra, la città dove viveva lo studioso, compiuto nel 1098 a opera dei crociati. Per quanto l'Epistola non raggiunga i livelli di ermetismo di altre opere di al-Ma'arri, ancora più complesse e comunque poco conosciute, è di difficile lettura dato che il lettore moderno deve interpretare gli intrecci linguistici che veicolano un tono ironico, burlesco o dissacrante in riferimento a avvenimenti di cui non sa nulla. Una difficoltà resa ancora maggiore dall'aspetto formale: i brani di prosa si alternano alla prosa rimata, a citazioni poetiche, a false citazioni e a parafrasi sarcastiche di versi altrui. Una mescolanza di forme dalla quale il lettore avvezzo alla rottura dei generi della scrittura postmoderna dovrebbe comunque trarre innumerevoli stimoli...
A lungo Al-Ma'arri (973-1057), noto come «il recluso in due prigioni, la cecità e la sua casa», un vegetariano 'vagan' che mantiene un digiuno diurno perpetuo, tra i più scettici del suo tempo - «non ho altro che dubbi» - è stato considerato un eretico che ritiene imperfette le leggi divine e nega la resurrezione… La tormentata personalità del filosofo non è riducibile entro linee univoche di pensiero, ma, avverte Diez: «Al tempo stesso il poeta mantiene fermo il principio dell'esistenza di un dio personale e creatore in una forma di monoteismo ridotta all'essenziale, ma che sarebbe sbagliato ignorare in favore di un'immagine di al-Ma'arri libero pensatore» .
Il viaggio riprende in chiave satirica un tema popolare che nella classicità araba era stato oggetto di innumerevoli redazioni e tra queste, una delle più importanti, è disponibile in italiano per la cura di Ida Zilio Grandi, Il Viaggio notturno e l'ascensione del Profeta nel racconto di Ibn 'Abbas (Einaudi 2010, pp. 102, euro 24)…

Una figura realistica
Una parte del viaggio ultraterreno di Ibn al-Qàrih si svolge nel Paradiso, dove il protagonista , oltre a discutere di letteratura con poeti, novellieri e 'critici letterari', incontra il profeta Adamo al quale rivolge domande specifiche su alcuni versi di cui questi sarebbe l'autore. Nell'affacciarsi sull'Inferno intravede tra gli altri Iblis, re degli inferi, in catene e costretto ai ceppi. Il viaggiatore ritorna infine nella dimora celeste dove potrà godere della beatitudine. A partire dal fatto che il protagonista dell'ascensione è un comune uomo, l'opera è da includere pienamente in ambito letterario e non teologico.
L'arabista spagnolo Miguel Asín Palacios, antesignano estimatore dell'opera ma'arriana, sottolinea come nel personaggio del viaggiatore siano assenti le caratteristiche con cui la tradizione connota i profeti o i mistici, ma che anzi la sua sia una figura tracciata realisticamente. Asín Palacios evidenzia soprattutto la pluralità di voci della moltitudine dei personaggi secondari, solo in parte letterati e poeti, ma spesso uomini e donne differenziati per il loro modo di parlare, diverso in base all'età, i mestieri, la condizione sociale o le credenze religiose.
Tali personaggi, condannati all'Inferno o affidati alla gloria eterna a seconda delle simpatie dell'autore, sono riconoscibili nella loro realtà storica (la lista di cui è corredato il volume li rende accessibili), sia che appaiano in piccoli gruppi nel cielo o isolati nell'Inferno; conversano col viaggiatore su temi prevalentemente letterari quando di volta in volta si presentano, all'improvviso oppure sollecitati da questi.
Apparentemente motivato dalla ricezione della lettera di Ibn al-Qàrih, il libro dunque si snoda lungo il viaggio ultraterreno di questi, come penitenza per guadagnare il Paradiso. Le delizie dell'aldilà sono la caricaturale ricompensa alle preghiere e alle formule celebrative con cui il poeta di Aleppo infarciva la sua poesia. Il Paradiso islamico ricalca le rappresentazioni stereotipate che al-Ma'arri attribuisce anche allo stesso Ibn al-Qàrih: alberi, fiumi, pesci, il vino dissetante e il nutriente dolce miele, gli utili oggetti d'uso, coppe e brocche. Ibn al-Qàrih giunge in Paradiso sul dorso di una hùri, fanciulla del Paradiso alla quale non mancherà di recitare versi insulsi, dopo aver attraversato il Siràt, terribile strada appesa sull'Inferno… Invitato nelle dimore di grandi letterati, il poeta ricambia con un banchetto a cui invita i letterati che vivono nel Paradiso, tutti grammatici, poeti e cantori escludendo provocatoriamente asceti o pii esegeti.

La condanna dei rimatori
Nel corso della lunga «passeggiata» nella «dimora delle delizie» o nella tappa in cui si affaccia sull'Inferno, il viaggiatore incontra letterati di vario tipo, musulmani e pagani, predecessori e suoi contemporanei, che al-Ma'arri dispone in Paradiso o all'Inferno in base al suo severo giudizio di critico letterario. Alcuni, pur pagani, si salvano per la perfezione di un solo verso, mentre i tanti cattivi poeti sono precipitati inesorabilmente all'Inferno e i mediocri se la cavano trascorrendo l'eternità in qualche misera capanna ai limiti del Paradiso. E non solo in Paradiso e nell'Inferno, ma anche durante l'attesa di appena sei mesi «terrestri», per merito dei suoi panegirici Ibn al-Qàrih continua a disquisire di pedanti questioni linguistiche, discutendo con i letterati sulle loro opere con osservazioni puntigliosamente tecniche relative al linguaggio, forma, metrica e così via.
La satira di al-Ma'arri si concentra sugli eccessi della prosa rimata, sulle figure retoriche consunte, su tutta la poesia panegirica, ma soprattutto si fa esplicita contro la ricercatezza delle delizie del Paradiso o la durezza delle pene dell'Inferno, dove rivela la sua visione escatologica in opposizione a quelle elaborate dai dotti o a quelle radicate nella fantasia popolare. Il sarcasmo è feroce, per esempio, nel caso delle hùri, le fanciulle del Paradiso che Dio può trarre da qualsiasi realtà, anche da un'oca, con il rischio, per il beato che ne sposa una, di diventare «marito dell'oca». Al poeta Ibn al-Qàrih è dato trarne una da un albero, ma nella ricerca della perfezione formale, così come avviene nella sua lettera ad al-Ma'arri, esagera nelle «misure»!
Anche Iblis, il diavolo, negli abissi dell'Inferno si prende gioco del malcapitato e dell'ordine divino, chiedendogli se nel Paradiso gli spiriti credenti si soffermino con gli efebi così come avevano fatto gli abitanti di Sodoma e Gomorra. Dopo essersi affacciato all'Inferno e conclusa la passeggiata nella «dimora delle delizie», Ibn al-Qàrih ritorna nel Paradiso passando per «il giardino delle serpi», dove una serpe dotta, dopo aver discettato di interpretazioni coraniche, lo invita a giacersi con lei, ma Ibn al-Qàrih, spaventato, si allontana per incontrare la hùri tratta da un frutto.

Il confronto con la «Commedia»
Il tema del viaggio nell'aldilà era diffuso nella classicità araba non solo nelle elaborazioni dei colti: anche le narrazioni popolari descrivevano il «viaggio notturno» di Mohammad. Sono all'origine di quel famoso Libro della scala, che sarebbe stato tradotto in castigliano da un originale arabo per ordine di Alfonso X El Sabio e che in seguito, tradotto in latino, sarebbe arrivato anche a Dante… Nell'Introduzione all'Epistola del perdono Martino Diez si dichiara convinto che una correlazione tra l'Epistola del Ma'arri e la Commedia dantesca sia priva di fondamento. Una convinzione che, seppure fondata su una ricca documentazione, è motivata con un'affermazione che suona aprioristica: «il principale motivo per cui si è osata un'edizione integrale del Viaggio nell'aldilà è la necessità di impostare su basi oggettive il confronto con la Commedia dantesca». Nella sua critica, pur fondata «su basi oggettive», ma per molti versi tali se si limitano all'Epistola di Ma'arri, Diez confuta le tesi del famoso lavoro di Asín Palacios, La escatología musulmana en la Divina Comedia, che sin dalla sua prima pubblicazione nel 1919, all'interno della critica dantesca si configura come punto di rottura per aver introdotto l'ipotesi della filiazione della Commedia dalle narrazioni «orientali» del viaggio nell'aldilà…
Il dibattito scaturito dalle osservazioni di Asín Palacios, ormai da storicizzare, così come peraltro fa Diez, pur ridimensionando l'entusiasmo dello spagnolo, non ha sciolto in modo univoco gli interrogativi aperti dal rapporto di Dante con la cultura del suo tempo. Rapporto che si chiarisce, forse, ricorrendo all'ormai consolidata nozione dell'intertestualità, per cui deve essere presa in considerazione tutta la sua cultura, anche quella non autoctona. È per questo che nell'affermazione di Diez - «anche se l'Epistola del perdono non ha ispirato la Commedia» - colpisce il ricorso al criterio dell'ispirazione che sembra voler escludere qualsiasi rapporto, seppure legato al clima culturale. Resta comunque valida l'ultima osservazione di Diez per cui il libro di Ma'arri ancora oggi merita di essere letto per «le sue trovate narrative, la sua stupefacente capacità di generare letture multiple».

"il manifesto" 14 luglio 2011.

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