5.10.12

Mio figlio e le parole perdute. "Buattuni, buatta e pignateddra" (S.L.L.)

Buattuni di pisci all'uogliu
Mio figlio Davide, che, cresciuto in Umbria, è venuto a vivere in Sicilia a più di 30 anni, si sforza di parlare il dialetto locale ed è curioso di parole d’altri tempi. Anche per vezzo preferisce il lessico arcaico a quello dei giorni nostri, omologato dalla televisione. E io godo nel sentirgli dire tumazzu piuttosto che formaggiu, parola che sopporto in bocca ai più giovani, ma che mi fa inorridire se viene pronunciata da miei coetanei o addirittura da persone più anziane.
Oggi ho insegnato a Davide alcuni nuovi vocaboli e nutro la segreta speranza che prima o poi li ridica. Innanzitutto due aggettivi in opposizione l’uno all’altro: ‘mbutu (folto) e spanu (rado). Poi, sollecitati da una coppia di siculi orientali, a lui antipatici, che fanno una trasmissione gastronomica su “Alice”, abbiamo parlato del concentrato di pomodoro, che i due chiamavano strattu.
Ho spiegato all’attento figliolo che il temine astrattu, con la a, qui da noi era adoperato solo per il concentrato fatto in casa, con la salsa di pomodori seccata al sole estivo su teloni impermeabili.
Il prodotto industriale veniva invece chiamato buattuni per sineddoche (il contenente al posto del contenuto). Buattuni, infatti era anche la grande latta per conserve, da cui i putiari (gli alimentaristi erano i “bottegai” per antonomasia) estraevano la quantità richiesta di concentrato: cinque lire, dieci lire, centro grammi, un quarto di chilo per le famiglie numerose o per le preparazioni festive. I cento grammi di buattuni (Cirio o Raspante, se ben ricordo) venivano avvolti in carta oliata, la stessa che si usava per salumi e formaggi. Buatta (dal francese boîte) era invece la scatola metallica più piccola, per lo sgombro, il tonno o le sardine (pisci all’uogliu) o la carne conservata.
Cambiava nome e veniva chiamata pignateddra (pignattella, pentolina), quando - ammaccata fino a ridurla un dischetto -veniva usata come palla nelle piazze del paese per una variante del gioco del calcio. In questo sport neppure i portieri – ovviamente – usavano le mani  e fungevano da porte i sedili di granito della piazza pricipale o della piazzetta della vasca. Per tre o quattro anni fu uno sport di gran moda  tra i fanciulli del paese e non ne mancava qualcuno, che  - lungi dal considerarlo un surrogato - preferiva giocare a la pignaté piuttosto che a lu palluni.  

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