28.10.12

Idolo di stoppa. I cattolici tra Padre Pio e Papa Giovanni (di Gianpasquale Santomassimo)

Una recensione che è, ancor più, un articolo sulle alternative del cattolicesimo e che ribalta alcuni luoghi comuni inveterati. Su papa Roncalli, per esempio (S.L.L.)
Qualche anno fa Marco D'Eramo su queste pagine (6 agosto 2002) notava che Francesco Forgione (Padre Pio) va considerato l'italiano più importante del XX secolo.
«Le sue statue crescono come funghi ovunque in Italia: al Sud, dove non c'è centro abitato che non gli abbia eretto un monumento, ma ormai - e con frequenza crescente - anche al Centro e al Nord. I suoi adesivi aderiscono a computer di sportelli bancari e agenzie di viaggio. Sempre più spesso incappi nei suoi santini non solo in commissariati, anagrafi, pronti soccorsi, uffici postali, ma anche accanto ai registratori di cassa di bar ed esercizi commerciali. San Giovanni Rotondo nel Gargano è il maggior richiamo di tutta la cattolicità... Padre Pio ha un nutrito seguito nel popolo di sinistra; la sua immagine spunta persino in qualche sede di Rifondazione comunista. In particolare al Sud, ti accorgi che insinuare un dubbio su padre Pio ti aliena platee - che supporresti scettiche, o per lo meno critiche - di lettori del “manifesto” e di “Diario”, di rifondaroli, diessini di sinistra, cigiellini». Se questo è vero (ed è solo parte della vastità del fenomeno), è strano che ci sia voluto tanto tempo perché uno storico di professione si dedicasse all'argomento, finora appannaggio esclusivo di agiografi e di letteratura devozionale.

I dubbi della Chiesa
Diciamo subito che il libro di Sergio Luzzatto, Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento (Einaudi, pp. 419, euro 24) non è un libello contro il frate di Pietrelcina; il consueto gusto scandalistico del “Corriere della sera” ha prodotto una anticipazione su stimmate, acido fenico, sensazionali rivelazioni di imposture, su cui si è acceso uno scontro pregiudiziale in cui non sono mancati insulti a Luzzatto, anche di carattere razziale, per i quali è doveroso manifestare solidarietà. In realtà non c'è nulla nel testo di Luzzatto, quanto a dubbi, insinuazioni, accuse su Padre Pio che non venga da ambienti ecclesiastici, nel corso del lunghissimo processo di osservazione vigilata e di contenimento a cui il frate fu sottoposto. La perfidia che talora gli uomini di Chiesa sanno generare al loro interno è tale per cui non c'è davvero bisogno di malevolenza laica o laicista; e al fronte laico, praticamente assente in tutta la lunghissima diatriba, si può solo rimproverare una sostanziale indifferenza di fronte al fenomeno e alle sue implicazioni.
Luzzatto ricostruisce molto bene il «caso» Padre Pio, si dedica con passione e gusto del dettaglio a ricostruire le biografie dei principali personaggi dell'entourage mistico-affaristico che si consolida nel tempo attorno al frate, offre i termini essenziali del lungo dibattito interno alla Chiesa sul nuovo culto garganico e sulla sua fortuna, che già ragguardevole dagli anni Venti diviene travolgente a partire dal secondo dopoguerra. La sua trattazione è ispirata a simpatia umana nei confronti del personaggio, a cui anche quasi tutti gli avversari interni alla Chiesa riconobbero virtù esemplari di umiltà e saldezza di fede. Il tutto con linguaggio vivace, che talora indulge al pittoresco nel descrivere la realtà del Mezzogiorno d'Italia.
È francamente privo di senso «buttarla in politica» come fa “il Giornale” del 28 ottobre 2007 (titolando Padre Pio, il santo che non piace ai progressisti), perché il culto di Padre Pio è decisamente trasversale: è il vicepresidente del consiglio del governo di centro-sinistra, reduce da un avventuroso tragitto da Cicciolina al cardinale Ruini, che si reca in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo per ispirarsi alla vigilia delle elezioni presidenziali (forse l'elezione di Giorgio Napolitano è dovuta - chi può dirlo? - anche all'intercessione di Padre Pio). E qualche anno fa, in occasione della scomparsa di Sergio Bruni, i giornalisti notarono le icone di Padre Pio e di Che Guevara accanto al letto di morte del grande interprete della canzone napoletana.
Ma è tanto più sbagliato tirare in ballo l'ostilità dei «progressisti» anche perché in tutta la complessa vicenda interna alla Chiesa il vero e più irriducibile nemico di Padre Pio fu Padre Agostino Gemelli, che progressista non era, ma interprete di una linea di riconquista egemonica dei cattolici nella cultura italiana contigua al clerico-fascismo, col quale sovente si intersecava. La figura del frate con le stimmate suscitò invece simpatia in Ernesto Buonaiuti, che ormai da «eretico» sognava una riconversione mistica della cattolicità.
Diciamo che il culto di Padre Pio suscitò comprensibili e motivate riserve in molti ambienti cattolici, di sinistra o di destra che fossero, sulla base di diverse concezioni del sacro, di visioni del mondo e del ruolo della cattolicità difficilmente componibili. E tuttora molto difficili da tenere insieme, nonostante la straordinaria capacità della Chiesa di inglobare a posteriori esperienze lontanissime e discordanti.
Proprio per queste ragioni non convince del tutto il sottotitolo del libro di Luzzatto, che corrisponde fedelmente a una parte cospicua dell'impegno profuso nella ricerca: il richiamo alla «politica» nell'Italia del Novecento. In una vicenda che si snoda dal settembre 1918 (comparsa delle stimmate) al settembre 1968 (morte di Padre Pio dopo la scomparsa delle piaghe) e oltre, fino al maggio 1999 (beatificazione officiata in Vaticano da Giovanni Paolo II) è inevitabile che la scena che si muove attorno al frate, al suo culto e agli affari non trascurabili che ne derivano, si affolli di gerarchi e militanti fascisti per un ventennio, di notabili democristiani nel tempo restante. Eppure una delle caratteristiche fondamentali del culto di Padre Pio è proprio la sua astoricità, il rinvio a un fondo primitivo e sanguigno che trae forza proprio dall'essere fuori del tempo. Certo, tutte le vicende si collocano nel proprio tempo storico, e la variopinta consorteria che circonda il frate si muove con perizia e tempismo negli anfratti della cronaca italiana e internazionale del Novecento. Ma rispetto ad altre esperienze mistiche del secolo è un culto non politicizzato (anche se ovviamente politicizzabile), non contiene i messaggi espliciti di Fatima e Medjugorie, attraversa nella sua semplicità primigenia i drammi di guerra, comunismo, fascismo, secolarizzazione senza mutare mai di segno né arricchirsi di complessità e spessore teologico.
Come è in fondo singolarmente immobile la storia di questo santo sui generis, immobile anche fisicamente (mai uscito da San Giovanni Rotondo dal 1918 fino alla sua morte). Nella tradizione le stimmate sono il coronamento di una santità esplicata in vita; San Francesco riceve le stimmate dopo una lunga pratica spirituale, nel corso della quale ha viaggiato in terre lontane, ha posto le basi per un rinnovamento della Chiesa, avvertito quasi eversore da molti contemporanei (e posteri). Padre Pio parte dalle stimmate e lì si ferma; tutto deriva da esse, fama, miracoli attribuiti, la spinta popolare che lo crea effettivamente «santo subito». Non lascia cantici né massime memorabili, ma solo burberi ammonimenti elementari immutati nel tempo. Non si attribuisce doti soprannaturali, mi limito a pregare per chi me lo chiede, dice agli inquisitori, quel che poi succede a loro non posso sapere. Nelle sue parole il cimento di santità quotidiano (e soprattutto notturno) consiste nel resistere alle tentazioni del Maligno, ai «cosacci» che lo percuotono e lo sbalzano dal letto. Più che a un mistico medievale assomiglia proprio, in forma drammatica anziché giocosa, al “Sant'Antonio allu diserto” della coeva tradizione abruzzese. È un santo perché fa miracoli e fa miracoli perché è un santo: un cerchio che si chiude senza possibilità di interlocuzione dall'esterno.
Il numinoso della cattolicità è sovraffollato quanto nessuna altra religione del passato aveva saputo immaginare: perché «fare» un santo (prima che si affermasse il concetto di «santità generica» nel pontificato di Wojtyla, per cui qualunque cattolico probo, di vita esemplare e sicura fede, può aspirare agli altari) non è una semplice onorificenza che non si nega a nessuno, ma è affermazione di una presenza operante. «Scegliere» un santo implica per il fedele, come ha sempre implicato in passato, una decisione che coinvolge senso del mondo, del sacro, del divino ma anche del profano.
Qual è il significato del culto di Padre Pio e perché è diventato il santo più popolare d'Italia? È una domanda alla quale è difficile rispondere, e giustamente Luzzatto non propone conclusioni su questo punto. Che implicherebbe una riflessione su cosa è stata la cattolicità nel Novecento, nel suo complesso e fuori dall'ufficialità. Per lo storico che guarda agli atti ufficiali, all'evolvere di un corpo articolato e fittamente strutturato, è certamente il secolo di un grande rinnovamento, della conciliazione con la modernità, di un Concilio che volta pagina, di una presenza attiva e operante in un mondo che si vuol cambiare ma non si rifiuta più pregiudizialmente. Ma è anche un secolo che ha gli echi di Lourdes appena alle spalle, e che per una moltitudine di fedeli trascorre tra i segreti di Fatima e la vox populi su Padre Pio, fino alle apparizioni seriali di Medjugorie.
Uno dei meriti del libro di Luzzatto è quello di proporre esplicitamente il contrasto tra le due figure più popolari della cattolicità italiana del Novecento, ampiamente noto agli specialisti, ma come ignorato o rimosso nel sentire comune.
Quello tra Roncalli e Forgione (Giovanni XXIII e Padre Pio) non è un semplice malinteso, la dolorosa incomprensione tanto spesso richiamata dagli agiografi, ma è contrasto tra modi difficilmente conciliabili di intendere e praticare la fede. Al di là delle espressioni dure e non equivocabili («idolo di stoppa», «disastro di anime istupidite e sconvolte») fissate nel 1960 nel diario del Papa, ci sono due mondi paralleli, pure accomunati dall'appartenenza alla stessa Chiesa.

Due cattolicesimi a confronto
Coglieva bene questo «antagonismo simbolicamente fortissimo» Michele Serra su Repubblica del 27 ottobre: «tra il culto del dolore di Padre Pio e il cattolicesimo sorridente e quasi allegro di Giovanni c'è un baratro, sangue e penitenza da una parte, la famosa carezza ai bambini dall'altra. Entrambi al centro di un culto popolare esteso... il loro differente destino ci aiuta a inquadrare i nostri tempi. Evidentemente questi sono tempi di stimmate e di fanatismo, non di sorriso, non di luna piena sopra gli uomini di buona volontà».
Ma anche Serra cadeva in un errore ricorrente nel raffigurare Roncalli, aggiungendo che «Giovanni non era certo un "intellettuale", come si disse poi con semi-spregio nei confronti del suo successore Montini». Per la verità Roncalli era molto più che un intellettuale: era un grande erudito, non della vuota erudizione enciclopedica del suo predecessore, ma sostanziata di senso della storia e della filologia, come testimoniano i suoi scritti. Fa parte del mito l'immagine del «papa contadino» (estrazione comune alla grande maggioranza del clero settentrionale del suo tempo), ma gran parte della sua vita fu condotta fuori d'Italia (e in paesi dove i cattolici erano minoranza o di forte presenza di uno Stato laico) impegnato in missioni diplomatiche svolte con grande e sottile abilità. Su questi aspetti del personaggio è il caso di rinviare al libro di Marco Roncalli (Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli. Una vita nella storia, Mondadori, pp. 791, euro 26), stranamente ignorato dalla grande stampa ma che sta conoscendo una meritata e costante fortuna tra i lettori. Utile anche per comprendere che se nella memoria resta soprattutto il discorso notturno al chiaro di luna, nella storia è il discorso della mattina, il Gaudet Mater Ecclesia di inaugurazione del Concilio, che veramente conta, e che delinea una concezione positiva di un «nuovo ordine di rapporti umani», avversa ai «profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti quasi sovrasti la fine del mondo», di una Chiesa che pratichi «misericordia piuttosto che severità».
Tra l'apertura fiduciosa al mondo e ai «segni dei tempi» e il rinserrarsi cupo e penitenziale in un tempo immobile di demoni e supplizi si delinea una tensione che percorre tutta la cattolicità novecentesca, e che è molto lontana dall'essere pienamente risolta.

“il manifesto”, 9 novembre 2007

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