3.1.16

'Ndrangheta. Il tesoro nascosto (Giuseppe Legato)

Un carico di cocaina proveniente dal Sud America sequestrato alla 'ndrangheta
Sono sempre “i calabresi” a dettare i tempi del narcotraffico, a disegnare le rotte – vecchie e nuove – dei carichi di droga. Dal Sud America all’Italia, la coca viaggia sugli aerei Falcon, sulle motonavi, sui container dei cargo. I trafficanti parlano attraverso telefoni satellitari come manager del petrolio, ma i milioni di euro finiscono sotto terra come trent’anni fa. Il Gico ha scovato 4 milioni di euro in contanti: coperti, un metro sotto i pomodori nelle ville dei broker del Torinese, nascosti dentro le giare d’acciaio utilizzate per stipare l’olio d’oliva e destinati a finanziare i carichi.
L’indagine – firmata dal Gico della Guardia di Finanza e coordinata dalla Dda di Torino (pm Arnaldi di Balme ed Enrico Gabetta) – è iniziata a dicembre 2013 ed è durata oltre un anno, portando all’arresto di dodici persone.
Nonostante nei capi d’accusa non compaiano il 416 bis né aggravanti mafiose, l’operazione ha scoperchiato una gigantesca holding della cocaina, che riforniva quasi esclusivamente le locali di ’ndrangheta di Piemonte, Lombardia e Calabria. Il gip Federica Bompieri, che ha firmato le custodie cautelari, ha scritto che “la quantità di stupefacente (cocaina) movimentato, l’entità dei proventi economici e il livello tecnico ed informatico delle contromisure adottate per aggirare le indagini, pongono l’associazione ai massimi livelli del panorama criminale del settore”.

L’erede di Pasquale Marando.
Ai massimi livelli – per riprendere l’affermazione del gip – perché questo era il tenore e lo spessore dei personaggi che avevano messo in piedi questo traffico di droga. In testa, Nicola Assisi (e i suoi figli), nato a Grimaldi, Cosenza, 57 anni, residente a San Giusto Canavese, agli atti latitante. Assisi è personaggio di assoluto rilievo nel panorama del traffico di droga e non da ora. Si era fatto conoscere – facendosi un nome di provata credibilità – negli anni Novanta, un periodo difficile per tutti quelli che, nel nord Ovest italiano, non si chiamavano Marando e Trimboli, dinastia lineare di droga e ’ndrangheta, arrivata da Platì a Volpiano, che aveva colonizzato le rotte del narcotraffico grazie a Pasquale Marando, superboss ucciso nel 2002 (è un caso di lupara bianca), di stanza a Leinì, frazione Tedeschi.
In quegli anni, la drugs list di Marando, fotografata dalle indagini Igres, Sant’Ambrogio e Riace, era terrificante: una sfilza di nomi che non aveva eguali nel panorama mondiale delle rotte di droga. Da Jorge Pinhol, 67 anni, esperto mediatore nei traffici d’armi, stupefacenti e tecnologie, ex collaboratore dei servizi segreti israeliani Mossad e del Kgb, ad Aristidies Papachatzpoulos, greco di Larissa, ex colonnello dell’esercito ellenico, trafficante di armi e droga, fino ancora a Paul Edouard Waridel, nato a Istanbul, 66 anni, socio del trafficante turco Karadurmus Avni Yasar, alias Mussullulu, già fornitore delle famiglie siciliane di Cosa nostra, condannato a 13 anni nel processo Pizza Connection in cui era accusato di aver introdotto in Europa 400 kg di morfina base. Infine, Roberto e Alessandro Pannunzi, padre e figlio: broker in grado di garantire carichi di tonnellate di coca e imparentati con i Marando per via di un battesimo.
In questo periodo Nicola Assisi, che appartiene all’altra cordata di narcotrafficanti – i ‘Gioiosani’ che affiancano i platioti e non creano tensioni semmai parallelismi – si fa conoscere come luogotenente di Rocco Piscioneri, altro superboss del narcotraffico sempre in viaggio tra Torino, Olanda e Spagna, tallonato dalla Dia. Il nome salta fuori nell’operazione antidroga Elianto nella quale finiscono in carcere anche membri della famiglia Belfiore (sempre di stanza a Torino). Assisi finì in manette allora.
Nel 2000 il tribunale di Torino lo condannò a 14 anni e 4 mesi per droga. La sentenza divenne definitiva il 6 novembre del 2007: associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Poco dopo, di Assisi, si perdono le tracce. È latitante all’estero. In Italia intanto la procura gli confisca la villa di san Giusto dove vivono la moglie e i due figli maschi, ancora troppo giovani: Patrick e Pasquale Michael. Sono ancora lì, nonostante il decreto decisorio della Corte di Cassazione contro il quale i legali della famiglia hanno avviato un iter di revisione della misura patrimoniale.
È durante questo periodo che Assisi fa il salto di qualità nei rapporti con i fornitori oltre confine. Stabilendosi all’estero stringe – secondo la procura – relazioni invidiabili, soprattutto in Brasile, diventando di fatto uno dei numeri uno del narcotraffico mondiale. Nel 2013 i figli Patrick e Pasquale Michael sono abbastanza adulti per essere coinvolti nell’impero di droga, ma vengono arrestati rispettivamente in Brasile, a luglio, con 60 kg di cocaina e a Valencia, in ottobre, con trenta chili.
Luglio 2014. Mentre il Goa (Gruppo operativo antidroga) lavora su questo gigantesco traffico di polvere bianca, riesce a localizzare anche il superboss della droga Nicola. È in Portogallo, all’aeroporto. Sta scendendo le scalette di un aereo che arriva da Santos, Brasile. I finanzieri non vogliono scoprire le carte dell’inchiesta in corso e così è la polizia portoghese a mettere le manette ai polsi di Assisi. La Procura chiede invano l’estradizione in Italia dove per Nicola si aprirebbero le porte del carcere, per 14 anni. I giudici non ritengono, in primo grado, di spedire in Italia il detenuto e lo mettono ai domiciliari. Quando la corte d’Appello lusitana si decide che è ora di affidarlo alla nostra giustizia, lui è già latitante.

Il fiume di cocaina nella chat di Messenger
Ai massimi livelli – tornando a quanto scritto dal gip – perché abbastanza grossi e continui erano i carichi che arrivavano in Italia con destinazione Piemonte e Lombardia. I finanzieri ne hanno certificati e intercettati almeno cinque, tutti di questa entità: 141 kg, 120 kg, 88 kg, 208 kg, 102 kg. La droga partiva dal Perù e dal Brasile; non tutti sono finiti al comando provinciale di Torino in attesa di essere bruciati, anzi. Lo stesso gip lo segnala nell’ordinanza di arresto: “Per la frequenza delle condotte, a volte in sovrapposizione le une sulle altre, non è azzardato, addirittura, ritenere che la chiusura del monitoraggio (pochi mesi fa, n.d.r.) non abbia coinciso affatto con la cessazione delle condotte” e quindi delle spedizioni.
Chissà poi quanti ne aveva mandati prima la squadra di Assisi che per dialogare a distanza dispersa nei continenti del mappamondo utilizzava una chat di BlackBerry Messenger. I nickname scelti dai corrieri e dai grossisti sembrano usciti da una saga a base di calcio, ciclismo e Formula Uno: Alboreto, Senna, Gimondi, Careca, Bartali, Bugno, Coppi finanche l’indimenticabile pugile Primo Carnera. Quando il Goa è riuscito a dare un nome e cognome a questi miti dello sport, ha trovato la password per intercettare i carichi, tutti spediti con destinazione Gioia Tauro. E tutti comunicati con un sofisticato codice alfa numerico che veniva dettato poche ore prima dello sbarco. In questa storia, tutti avevano un ruolo. E uno dei più importanti era quello di Antonio Agresta, 54 anni, nato a Platì, residente a Volpiano. Il gip annota: “Promotore, direttore, organizzatore e finanziatore, agiva in piena sintonia con gli Assisi nella gestione del traffico indicato, investendo insieme a loro, condividendo le scelte operative e le decisioni su acquisti e prezzi, dividendo in modo paritario gli utili nonché tenendo i contatti con gli acquirenti calabresi operanti in Calabria, Lombardia e Piemonte”. Leggasi: Francesco Trimboli, Giuseppe Perre e Pasquale Perre. Agresta era l’ala più torinese dell’organizzazione: al netto di una condanna dal Tribunale dei minori di Torino per due rapine e violenza sessuale in concorso, è stato nuovamente condannato nel 1996 (sentenza irrevocabile dal 18 giugno 1997) a 22 anni di reclusione per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; nel 2012 ha patteggiato la pena di un anno e otto mesi di reclusione (in continuazione) per associazione a delinquere di stampo mafioso nel processo scaturito dall’operazione Minotauro.
I soldi che arrivano dalla vendita dei quintali di cocaina si contano – “e si stoccano”, recita l’ordinanza – in un anonimo distributore di carburante di Leinì di proprietà di Antonio Perre, 39 anni, nato a Cuorgnè. A fare da becchini, sotterrandolo nei giardini delle case in uso ai boss, ci pensano la moglie di Assisi, Rosalia Falletta e un altro compare di Assisi, Doriano Storino di San Marco Argentano.

Il “Porco” al porto di Gioia Tauro.
Per gestire questi flussi di stupefacenti, gli Assisi e gli Agresta avevano – of course – anche uomini in Calabria. In particolare uno che si occupava dell’arrivo e del ritiro dei carichi al porto di Gioia Tauro: Rosario Grasso, 33 anni, nato a Gioia, residente a Rosarno il quale, scrive il giudice delle indagini preliminari, “operando in Calabria garantiva lo scarico, il recupero ed il trasporto – anche con la collaborazione di correi allo stato non ancora identificati, tra i quali un soggetto indicato quale ‘Il Porco’ facente parte delle forze di polizia o comunque del personale del porto – fuori dall’area doganale della cocaina occultata nei container sbarcati a Gioia”.
Il ‘Porco’ è la talpa dei trafficanti. I corrieri addetti allo sbarco lo chiamano sempre prima dell’arrivo dei carichi. Lui ha accesso con largo anticipo – e questo emerge con chiarezza dagli atti – al cervellone che annota le navi in transito, in sosta, in entrata e in uscita dalle banchine. Nel caso di uno degli ultimi carichi che l’organizzazione aspettava a Gioia (senza sapere che era stato già requisito a Valencia in una temporanea sosta del cargo) comunica all’organizzazione dove è stato depositato il container. I sodali lo rubano con un gancio a traino e lo conducono in un’area franca del porto per sfuggire ai controlli delle forze di polizia. Lo aprono, non trovano la droga, i nervi saltano e volano parole grosse. Per tutti, tranne che per il ‘Porco’, “che si sta esponendo troppo, qui se ne accorgono, non può fare sempre queste cose per noi, altrimenti viene scoperto”. È il 5 settembre del 2014, data di arrivo di uno degli ultimi carichi intercettati dal Goa. L’indagine non è finita.


Da “narcomafie”, novembre 2015

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