12.9.17

Caterina Bueno, l'ultima voce del folk toscano (Roberto Incerti)

Quel che segue è il coccodrillo di “Repubblica” per Caterina Bueno, la cui voce è all'origine del mio amore per la canzone popolare. Registrai su nastro audio, nel 1964 credo, una trasmissione televisiva della RAI dal titolo C'è chi canta per amore chi per protesta. Vi parteciparono, ognuno con due pezzi, Luigi Tenco, Beppe Cardile, Enzo Jannacci e, appunto, Caterina Bueno. Di Tenco ricordo solo Io lo so già e di Cardile Beati voi; i pezzi di Jannacci erano Ma mi e Ti te sé no; Bueno, bellissima, eseguiva Maremma e La storia del 107, un lamento carcerario che tuttora mi piace canticchiare per tenermi compagnia anche se non guido più la macchina. Quel nastro lo ascoltai migliaia di volte. 
Più tardi, al tempo del Sessantotto e dei Dischi del sole, ascoltavo religiosamente Caterina Bueno nelle registrazioni su vinile di Bella ciao e Ci ragiono e canto, due LP che, quando mi separai da Carmela, restarono a lei, insieme al giradischi, per ragioni pratiche: io canterino e intonato riuscivo a farmi la musica da solo. 
Ho vista e sentita dal vivo la Bueno negli anni 90, invecchiata e - credo - malata ma ancora bravissima, in un paio di Feste dell'Unità, in Toscana, a cantare le canzoni contro la guerra e quelle delle donne, quelle della fatica e quelle dell'amore. Mi piace che Incerti rammenti ai lettori, con le parole di Caterina Bueno, la sua grande amica, Rosa Balistreri, la siciliana dalla grande voce, come lei libera e generosa cicala. (S.L.L.)

Se ne è andata Caterina Bueno, una leggenda della canzone popolare italiana. Il suo brano più celebre era Maremma Amara, canto tradizionale da lei recuperato e reinterpretato in maniera toccante, intensa. Aveva 62 anni e da tempo le sue apparizioni pubbliche erano sempre più rare a causa di problemi di salute. A lei Francesco De Gregori aveva dedicato la canzone Caterina: «E la chitarra veramente la suonavi molto male/ però quando cantavi sembrava Carnevale/ E quanti mascalzoni hai conosciuto / e quante volte hai chiesto aiuto,/ma non ti è servito a niente./ Caterina questa tua canzone la vorrei veder volare/sopra i tetti di Firenze per poterti conquistare».
Negli ultimi anni, parlando con lei, pareva di sentire una voce non nitida, a volte poco chiara. Quando però saliva sul palcoscenico tutto si trasformava. Col suo cappellino, la gonna corta, era una presenza carismatica e con i suoi brani sapeva inchiodare e commuovere il pubblico. La Bueno è stata anche una grande ricercatrice. Negli anni Sessanta la chiamavano la «raccattacanzoni» e non c'era angolo della Toscana, purché abbastanza sperduto, che non conoscesse il rumore della sua Cinquecento, la sua passione di ricercatrice. «Ero consapevole - diceva Caterina Bueno - di stare salvando un pezzo di mondo di cui oggi non resterebbe traccia. Nelle altre regioni c'è stata più continuità, ma in Toscana bisognava cercare, chiedere, entrare nell' intimità delle famiglie, vincere la diffidenza della gente. Quello che alla fine convinceva tutti era il desiderio di testimoniare, di mantenere la memoria».
Caterina Bueno, come afferma il direttore dell'Istituto De Martino e cantante folk Ivan Della Mea che ha fatto un' infinità di spettacoli assieme a lei «ha dato una lezione a tutti i ricercatori, perché è stata la prima ad andare a ricantare le cose che aveva trovato a chi gliele aveva date. Questo è stato importante sia da un punto di vista politico che morale. Caterina è stata una grande ricercatrice di tradizioni popolari toscane, non ha mai discriminato fra canti raffinati, aristocratici del Cinquecento e canti della protesta sociale».
Per capire il rigore filologico della Bueno occorre risalire ad un suo ricordo: «Da piccola durante una gita a Bivigliano con alcune amiche chiedemmo dove si trovasse un certo luogo ad una vecchietta che raccoglieva legna. Ci rispose così: bisogna andare là dove la strada muore e promuove il sentiero. Rimasi incantata. Ecco: in tutti questi anni non ho fatto altro che cercare ciò che questa donna mi aveva mostrato per la prima volta, ovvero il nobile parlare inteso non come espressione di bei sentimenti, ma come eleganza nel porgere le parole, tipica delle campagne toscane. Perché tradire tanta purezza? Il mio intento è continuare a preservarla nel miglior modo possibile».
La famiglia di Caterina era di origine spagnola. Imparò da autodidatta a suonare la chitarra. La sua attività di ricercatrice la portò in contatto con l'Istituto Ernesto De Martino di Milano ed entrò nel «Nuovo Canzoniere italiano» partecipando nel 64 - al festival dei Due Mondi di Spoleto - allo spettacolo Bella Ciao con Giovanna Marini e altri cantanti folk fra cui Della Mea. Dal 66 al 69 partecipò allo spettacolo di Dario Fo Ci ragiono e canto. Intanto continuò ad incidere album fra cui «La veglia» (68) che racchiude il canto popolare toscano E cinquecento catenelle d'oro. Nel 71 conosce De Gregori con cui nel 95 - assieme anche a Locasciulli, Lolli, Pietrangeli - si esibisce in un memorabile concerto a Roma. La sua attività di ricercatrice cantante proseguiva, scoprendo e lavorando col suonatore d'organetto diatonico Riccardo Tesi e dedicandosi ai Canti del Maggio.
La Bueno è stimata anche fuori dal mondo della musica popolare tanto che una rockstar come Gianna Nannini ancora oggi la considera un punto di riferimento. Di Firenze, come spiegava lei stessa, era legata a due zone. San Salvi (dove anni fa tenne un toccante concerto) e San Frediano. «All'Andrea del Sarto ho scoperto la dimensione della casa del popolo. Tanti canti popolari li ho scovati seduta ai tavoli dei circoli, chiacchierando con gli anziani. Fu Rosa Balistreri a farmi scoprire San Frediano, un quartiere dai mille volti, dove ho raccolto tanti canti da osteria». Il Comune di Firenze si è ricordato di quest'artista conferendole il 16 maggio dello scorso anno il Fiorino d' oro, come gesto di riconoscenza e d'affetto nei confronti di una artista rimasta sempre legata alla sua città. Nell'occasione Caterina volle dedicare agli ospiti presenti, ai tanti amici accorsi a festeggiarla, un concerto nel quale, traspariva, ancora una volta, l'amore per il suo lavoro». Così la ricorda adesso il Sindaco Leonardo Domenici: «Con Caterina si spegne una della più belle voci della canzone popolare italiana. La sua lunga artistica è stata intensamente tracciata da un indomito impegno civile e politico».


“la Repubblica”, 17 luglio 2007  

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