14.11.09

Il canone Rai che finanzia Mediaset (Roberta Carlini)


Roberta Carlini, la nostra Robertina, vicedirettore del "manifesto" fino al 2002, negli anni dei movimenti antiglobalizzazione, della difesa dell'articolo 18, dei girotondi antiberlusconi, è oggi una giornalista "free lance", scrive con regolarità per "l'Espresso" e per www.sbilanciamoci.info (onde deriva l'articolo di cui qui ho postato la parte essenziale.


Il canone Rai che finanzia Mediaset
Roberta Carlini

"La proposta di non pagare il canone Rai è una sciocchezza. Mediaset non vuole boicottare il canone. Berlusconi sbaglia. Si sta dando delle martellate". (Fedele Confalonieri, La Stampa, 2/11/2009).
Chissà cosa ha spinto il solitamente fido Fidel a contraddire così platealmente il suo capo e a liquidare così nettamente la campagna di stampa che i media del gruppo stanno facendo contro il canone Rai. Motivi politici? Economici? Strategici? Forse Fedele Confalonieri, che è alla testa di Mediaset da una vita, ha fatto semplicemente due conti. Abbiamo provato a farli anche noi. Anticipiamo il risultato: la sparizione del canone Rai costerebbe a Mediaset qualcosa come 5-600 milioni di euro all’anno. Mezzo miliardo e più. Vediamo perché.
La Rai ha incassato dal canone, nel 2008, 1.603 milioni di euro. Molto di più di quanto non abbia ricavato dalle inserzioni pubblicitarie (1.092 milioni). Nello stesso anno, il gruppo Rti-Mediaset ha incassato in pubblicità 2.165 milioni. Se si descrive la faccenda disegnando la torta complessiva del mercato pubblicitario televisivo, si vede che la Rai ne ha preso uno spicchio poco più grande di un quarto (27,9%), mentre Mediaset ne ha mangiato più della metà (55,1%). Il resto si è diviso tra vari operatori “minori” (quanto meno dal punto di vista della raccolta pubblicitaria).
Stando così le cose, uno potrebbe dire: se la Rai perde il canone, chiude, venendo ad essa a mancare quasi la metà dei suoi incassi. Se non che, bisogna ricordare che l’esistenza del canone Rai richiede e giustifica la presenza di un tetto alla raccolta pubblicitaria della stessa azienda: se salta il canone, salta il tetto. E se salta il tetto, le cose cambiano per tutti, perché la Rai può raccogliere più pubblicità sul mercato. A meno che parallelamente il mercato pubblicitario non registri un inaudito boom, questo vuol dire che qualcun altro ci perderà.
Chi ci perderà, e quanto? In questi casi gli economisti fanno un esercizio, che si chiama di “statica comparata”. Lo spieghiamo come se fosse il conto del fruttivendolo. Mettiamo che la torta pubblicitaria, nel complesso, non cresca (nel 2008 era sui 4 miliardi, per la precisione 3.927 milioni). Mettiamo che, sparito il tetto, ciascuno si possa muovere in libertà cercando inserzionisti sul mercato. Mettiamo che ciascuna tv riceva pubblicità, più o meno, in base a quanta gente la vede (allo share medio dell’anno). Mettiamo che, nel nostro mondo futuro senza canone, lo share tra le varie tv sia uguale a quello che è stato nel 2008: 42,2% Rai, 39,4% Mediaset. Facciamo i conti: alla Rai spetterebbe il 42,2% della torta pubblicitaria, dunque 1.657 milioni di euro, mentre a Mediaset finirebbe il 39,4%, ossia 1.547 milioni. La Rai guadagnerebbe, in pubblicità, 561 milioni. Mediaset perderebbe, in pubblicità, 617 milioni.
Finora le reazioni, i commenti, gli allarmi, si sono concentrati su quel che succederebbe in casa Rai: anche con l’aumento delle entrate della pubblicità, il bilancio si troverebbe in rosso, visto che i maggiori incassi dagli spot compenserebbero a malapena un terzo delle mancate entrate da canone. Però anche in casa Mediaset si aprirebbe un buco, anzi una vera e propria voragine. Morale: l’abolizione del canone non si farà mai. Perché il bollettino che paghiamo ogni anno alla Rai va a finanziare, almeno per 4 euro su 10, Mediaset. E né il composito proprietario della Rai né il mero proprietario di Mediaset possono permetterselo. Per quest’ultimo, sarebbe come darsi delle martellate.
Ps. Qualcuno potrebbe ipotizzare che il mero proprietario di Mediaset sia in grado di muovere il mercato pubblicitario a piacimento, e dunque tenere bloccato comunque il flusso di risorse verso la Rai, per non danneggiare l’altro vaso comunicante. Però in questo caso il conflitto di interessi diventerebbe troppo sfacciato persino per lui, e troppo evidenti anche i danni agli inserzionisti. Il meccanismo del canone, tutto sommato, permette di raggiungere lo stesso scopo con minori costi.

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