22.4.12

Dal cielo al mare. Le Sirene, ambigue e sfuggenti.

Il brano che segue è tratto dalla recensione di un libro di Mari Lao su “latalpalibri” de “il manifesto” del luglio 1986. Mi pare un buon esempio di giornalismo culturale per la capacità di dare conto con divulgativa chiarezza di una complessa problematica. Io mi permetto di aggiungere un suggerimento di lettura, un magnifico racconto di sirene di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Lighea, nella raccolta dei Racconti pubblicata da Feltrinelli. (S.L.L.)
Partenope
Schiuma d’onda, polla d’acqua, fanciulla dai lunghi capelli, roccia silenziosa, la sirena è da sempre simbolo del mutamento dell’enigma, della seduzione. Ambigue, misteriose, sfuggenti, come l’acqua che le culla, le sirene nacquero come creature alate, destinate dunque a solcare il cielo e non il mare.
Forse per vendetta delle Muse, forse per meglio inseguire Proserpina rapita da Plutone si trasformarono, secondo l’iconografia che tutti conosciamo, in esseri ibridi: metà donne metà pesci.
Emblema del “femminile oscuro”, partecipano dell’amore, della maternità, della morte. Platone nella Repubblica le colloca tra le entità femminili che presiedono al destino dell’universo e degli esseri umani. “La donna è la sirena”, scrive Simone de Beauvoir, la donna è il mare di tenebra nel quale l’uomo rischia continuamente di naufragare. Infatti la sirena “seduce”, dirotta, trascina il desiderio annullando la ragione. Vive come un’onda, una foglia, la sua voce incantevole cattura, uccide.
Non direttamente: gli uomini non sono vinti dalla dolcezza del loro canto, che anzi, come ha sottolineato Maurice Blanchot, “è imperfetto, un canto a venire”; ma dal fatto che dichiarino di sapere molte cose. La loro sapienza coincide con un’estasi negativa, con un piacere sensuale dal quale occorre difendersi. Al loro canto indistinto e sfrenato si oppone quello armonioso e limpido delle Muse. Opposizione che adombra il dualismo dionisiaco-apollineo, musica priva di regole, che sfida l’ordine, e musica sorvegliata dalle leggi e dall’autorità. Non a caso, oltre a Ulisse, l’unico altro mortale che resiste alle sirene è Orfeo. Sovrastando il loro canto con il suono della lira egli sancisce il trionfo dello strumento sul messaggio recondito, della scrittura (a lui è attribuita l’invenzione dell’alfabeto) sulla oralità.
Da questo momento il simbolo femminile della sirena si configura sempre più chiaramente come nemico per l’immaginario maschile. Tra il mondo della terra e quello dell’acqua non c’è nessuna possibilità di dialogo. Su entrambi regna la solitudine; e penso al bellissimo racconto della Bachmann in cui Ondina inutilmente canta e chiama. Sulla sua voce si richiude il mare.

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