15.1.13

Il Lirico e la tv. Il fantasma di Berlusconi (S.L.L.)

C’è una singolare convergenza tra i residui seguaci del Cavaliere che ne esaltano il ritorno in campo e il Pd che lo tratta come avversario insidioso e competitivo. In realtà, anche a dar credito ai sondaggi che danno Berlusconi in ripresa, questo si traduce in uno o due punti in percentuale, in prospettiva poche centinaia di migliaia di voti.
Non ho visto che brevi frammenti della trasmissione di Santoro che lo riesumava e subito ho pensato al Mussolini del Lirico di Milano, l’unico incontro di massa del tempo di Salò, nel dicembre del 1944, quando si appressava la finale resa dei conti. Il Cav me lo ricordava non solo per i contenuti del suo dire (anche lui denunciava “tradimenti”), ma per l’immagine spettrale che proiettava: aveva l’aria del revenant, di un cadavere cui è concessa una breve libera uscita dalla tomba.
Ancor più mi hanno ricordato quello scorcio di tragedia italiana le reazioni di quelli che sono rimasti con Berlusconi, di eccitata soddisfazione, di artificiale entusiasmo. Anche ora tutti a ripetersi, consolandosi, “è tornato”, “è sempre lui”, come le camicie nere che per qualche ora o qualche giorno fantasticarono su un’impossibile riscossa.
A questo si aggiunge l’insopportabile clamore di certi suoi avversari, amplificato da tutti i media: c’è chi lo accredita come “pifferaio” capace tuttora di condurre gli ammaliati nell’abisso e chi grida “torna il puzzone”, pretendendo  che ci si stringa intorno al Pd, in specie nelle cosiddette regioni a rischio, Lombardia, Sicilia, Campania. Io credo che valga per Berlusconi il proverbio siculo “Amaru cu è mortu ‘nni lu cori di l’autru” (“è amara per chi è morto nel cuore degli altri”). Berlusconi è morto nel cuore della maggior parte di quelli che fino al 2010 lo votavano e gli stessi sondaggi “favorevoli” impietosamente lo rivelano: si passa grosso modo (al netto della Lega) dal 40 al 20 per cento dei consensi. E’ morto, e non c’è alcuna possibilità che risorga con le trasmissioni tv o col vittimismo sul processo Ruby.
Berlusconi è consapevole di tutto ciò e, invece di puntare come probabili eletti sui suoi intimi e sulle sue intime da portarsi in Camera o in Senato, cerca l’appoggio di notabilati locali e nazionali. I Formigoni, Lombardo, Miccichè, Nucara eccetera saranno forse infidi, ma sono elettoralmente dotati di clientele proprie, se non di proprie mafie.
Il Cavaliere, inoltre, accuratamente evita gli incontri “di popolo”. Benché rincuorati, i suoi fedelissimi restano pochi e tendono a rintanarsi. Del resto, se Mussolini poté fare un solo bagno di folla, quello del Lirico, protetto da nazisti armati fino ai denti, il Cavaliere dispone delle tv e può tranquillamente evitare i comizi. Di certo egli non teme gli attentati o le violenze di cui cianciano i suoi uffici stampa, piuttosto lo preoccupano le piazze (o le sale) vuote e le inevitabili pernacchie. 
Credo che questa sia l’ultima campagna elettorale di Berlusconi. Tenterà di usare la residua forza parlamentare per ottenere un colpo di spugna sui suoi crimini e reati e garanzie sulle ricchezze accumulate. Forse otterrà qualcosa, ma sarà abbandonato da molti degli eletti nella sua coalizione. Chi non è del tutto bruciato o del tutto ricattabile tenterà subito una ricollocazione, senza aspettare i tempi del Cavaliere: ci sarà una “destra nazionale” populista e fascisteggiante che cercherà un suo spazio, mentre i liberisti e i democristi opteranno per una confluenza tra le file dei montiani. Le esibizioni di Berlusconi e della banda dei fedelissimi probabilmente si diraderanno. 
Ma tutto questo muterà radicalmente il funzionamento delle pubbliche istituzioni?
Ci sono domande che di sicuro imbarazzerebbero i Bersani e i D’Alema.  Chi decide davvero che cosa? Può essere che la P2 (o la P3, in attesa della P4 e seguenti) non siano una «anomalia», ma il prototipo del modo reale di funzionare del «decision making», in Italia e altrove? Che a decidere siano quasi sempre banche, gruppi di pressione, associazioni di imprese, cordate e lobby, le mafie con la loro immensa cassaforte e le loro proiezioni politiche?
Prendiamo ad esempio una questione oggi un po’ fuori dal dibattito (e, temo, dagli stessi programmi) per via della stagione relativamente clemente, ma che potrebbe tornare d’attualità se a marzo piovesse sul serio: il famoso «dissesto idrogeologico» del nostro paese. Risulta che tutti - dicasi tutti - i comuni della Calabria siano “a rischio”, e che nella regione letteralmente pendano 6000 frane. Pare che anche la Sicilia abbia problemi analoghi, non solo nel messinese. Si è visto come il Veneto possa andare sott'acqua, come placidi fiumi possano diventare tigri e annegare un gran numero delle famose pmi (piccole e medie imprese), un tempo vanto del nostro Pil.
Mentre fenomeni di questo tipo accadevano (da decenni) nessun governo ha provato a varare un grande piano nazionale, alla Roosevelt, per prevenire ecc., ma al contrario tutti i governi, nazionali e locali, hanno fatto a gara a distruggere le regole dell'urbanistica e la cura del territorio e ad impegnare le scarse risorse in opere di scarsa utilità o addirittura dannose tipo Tav.
In nome dello «sviluppo».
Cambierà la musica con la fine (politica) di Berlusconi? Cesserà questa antidemocratica opacità? Non credo. Forse potrebbe avviare una storia nuova la rinascita di un’opposizione di sinistra, ma con uomini e metodi radicalmente diversi da quelli dei partitini delle piccole carriere. Questo, però, è un altro discorso…

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