23.1.13

Wolfwatching. Vita da lupo. Una poesia di Ted Hughes

La poesia che segue, a mio avviso splendida, ha come tema un vecchio lupo in uno zoo londinese. Fu pubblicata da “il manifesto” il 22 aprile 1990 nella traduzione di E. (credo Elisabetta) Visalberghi e di G. (forse Giampaolo) Barosso, che da scienziati accompagnavano la poesia con loro riflessioni sugli animali in cattività e la loro tristezza, sullo zoo e sulla sua abolizione o radicale trasformazione. (S.L.L.)
Bianco di pelo, il vecchio lupo
ascolta Londra. Gli occhi, aggrinziti
sotto il bianco pelo, neri spiragli,
mentre rivolge cenni, fiuti d'offerta
all'orizzonte del rumore, il freddo-azzurro d'aprile
invito di brezze. Il pezzo di carne
è ciò che l'imprigiona. Tutta la vita, forse, passata
dietro sbarre e reti, a consumare lo sforzo degli occhi
sull'incrociato impedimento. Sbadiglia
irritato, come un vecchio, e lo sbadiglio va
dritto giù, fino a Kensington, e là si ferma
vetrificato. Occhi
lo hanno a poco a poco consunto.
Prolungati sguardi di bambini
l'hanno ridotto a un ottuso
benessere da lupo di pezza. E' stanco.
Si raggomitola sulla fredda pietra
che si fa più dura. E poi ancora il fardello
di una nuova curiosità, ancora l'esame
di nuovi rumori, altra gente con nuovi colori
si avvicina al cancello. Risolleva
l'inutile peso, e di nuovo lo lascia cadere,
su e giù, senza requie, in un grumo di pena.
Tutta la sua forza ridotta a un groviglio di vecchi scopi
a una confusa mistura di brandelli, rimasugli di energia,
inservibili impulsi, intuizioni fuori uso.
Non riesce a trovar pace. Di continuo cambia
e ricambia posizione
come un agitato dormiveglia di crescenti agonie
in un carro frigorifero. Le ore del giorno non passano mai.
Quelle della notte, ancor peggio. Attende
che agisca l'anestetico
che gli ha già tolto la forza, la bellezza,
e la vita.
Si sforza di tenere eretta la sua solidità
e prova a muovere qualche passo esitante
nella propria natura. Scende all'acqua
e beve. La vecchiaia è assetata. L'acqua
potrebbe dare qualche sollievo. Che altro
fare? Tenta di ritrovare
la calda posizione di prima. Ripiega
le zampe sotto di sé. Si acquatta
con un tremito della sua pelle di lupo cui non sa più
come dare sostegno.

E qui
c'è un giovane lupo, ancora intatto.
Lui sa che posizione assumere, con la testa
e gli asiatici occhi, mirini
allineati senza sforzo nel raggio della sua potenza.
Chiude i pallidi occhi e si sente a suo agio.
Annoiato ma a suo agio. Le forti membra
riposate e sciolte. E' in attesa
dell'opportunità di vivere, e allora se ne andrà.
Frattanto, il recinto, e il confuso movimento
della gente che passa, e il rombante
frastuono di Londra, sono cose passeggere,
e non gli costano nulla, e può ben sopportare
di prestare orecchio a tutto questo senza trovarvi niente
di simile alla foresta. E ci sono pur sempre gli storni,
a dargli svago. Le stirpi inaridite
che gli striano il dorso sono la sua regalità.
Orecchi e collo, fulvi, sono sempre pronti.
In corsa, lascia cadere le grosse zampe, le dispiega
sui ciottoli, e arresta il potente motore
del capo, compiaciuto. Un lupo
in posa perfetta sui ciottoli. Perché occhi
mettano su un piedistallo.
Un prodotto senza un mercato.

Ma ad ogni momento
l'orribile cosa riaccade: l'eredità di ferro,
l'incredibile ricchezza di volere, strappate a brani
in nevrotica noia, e divorate,
ora indigeribili. Tutta quell'irrequietezza
e quel rizzar d'orecchi, e quel puntare e ripuntare
il naso, sono come il tremito
d'una crisi di nervi, tormentata da voci.
Sta sentendo il cervo? Ascoltando
i sussurri dell'inesistente foresta? Infastidito
dallo sfrenato panico dei lemming
che svaniscono irraggiungibili? Ha corso a lungo
per non trovare nulla ed essere paziente.
Soffocante pazienza in ogni piega
del folto pelo. Le antiche fiabe
invecchiano intorno a lui
e si tramutano in sassi. Gli occhi
continuano  a dirgli che tutto questo è reale
e che lui è un lupo - fra tutti i destini
essere in mezzo a Londra, fra tutti i destini
il più futile e disperato. L'Artico
invia bisbigli sulla sua lunghezza d'onda?
- piani fantastici di fuga e di libertà? Le zampe,
strumenti della sua forza, giacciono davanti a lui:
non sa che uso farne. Un improvviso
rizzarsi e mutar posizione
del corpo risoluto -
il guardiano
è venuto a cambiare l'acqua.

E i viaggi prodigiosi
sono di nuovo gettati a terra
in sciolti mucchi di corda.
Il futuro spezzato e riavvolto
in aggrovigliato viluppo, uno scoppio violento
che gli ha danneggiato il cervello. Quieto,
amabile nella sua caninità,
disilluso - tutti quei preparativi
a inacidirglisi nella pelle. Ogni sbadiglio
è una nuova dose di veleno. Da ogni scatto di vivacità
sgorga un nuovo fiume di disperazione
che deve poi consumare nel sonno. Un milione di miglia
annodate alle zampe. Dieci milioni di anni
frantumati tra i denti. Un mondo
che imputridisce sulle ossa, becchettato dai passeri.

E' appeso
a testa in giù, alla corda
della non partecipazione.
E' una carta di tarocchi, e sa di esserlo.
Può ululare tutta la notte
e all'alba ripescherà la stessa carta
e ci si vedrà dipinto, con gli occhi
come porte spalancate su un deserto
tra il nulla e il nulla.

1 commento:

aldo ha detto...

bella poesia, difficile smettere di leggerla dopo aver cominciato, e difficile pensare agli zoo con lo stesso punti di vista che si aveva prima di cominciarla!

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