6.4.18

L'Unità, ottobre 1964, una lettera al Direttore. La rivolta di un miracolato.


“L'Unità” pubblicò la lettera che segue nell'ottobre del 1964, alla vigilia di elezioni amministrative che riguardavano Milano e Roma, le due città più popolose d'Italia. Non so dire se ne sia l'autore il non meglio conosciuto Rag. Teofilo Barenghi, di cui si legge la firma, qualcuno dei redattori o lo stesso direttore del quotidiano del Pci, Mario Alicata. Essa contiene una critica all'incipiente “consumismo” nell'Italia appena uscita dal “miracolo economico” che non manca di ingenuità e di debolezze argomentative, ma nondimento è significativa di un passaggio importante della nostra storia nazionale. (S.L.L.)

Perchè io servo l’auto e l’auto non serve me? - Da consumatore a «consumato» e da uomo a «utente» - Motivi di una ribellione

Caro direttore,
permetti a un uomo della strada di dire la sua su questo «pazzo pazzo pazzo mondo», sulle elezioni in corso e su altre questioni connesse. Voglio precisare subito che se mi qualifico «uomo della strada» questo non significa che io sia un barbone tipo «Miracolo a Milano». Non ho né toppe ai calzoni né buchi nelle scarpe. Porto una dignitosissima camicia bianca, sebbene l'ultima moda di Sanremo prescriva per il giorno camicie di tinta pastello. Ma alle mode io non ci bado troppo. Sono un abitudinario, non mi piacciono le avventure. Per questo per abitudine e innato spirito di moderazione, ho sempre votato per la Democrazia Cristiana, che mi prometteva «progresso senza avventure».
Non che la Democrazia Cristiana, come partito, mi piacesse un gran che. Al contrario, certe mescolanze di politica, affari e religione mi hanno sempre messo in sospetto. Mi consolavo pensando che la politica «è una cosa sporca», e per evitare il peggio votavo per la Democrazia Cristiana. E ora non verrò a dirti che non voterò più per quel partito perchè sono diventato, improvvisamente, un rivoluzionario. La questione è un’altra. La questione precisa, anzi, è che io non so più bene che cosa sono diventato, ma è certo che per la DC non voto più.
A prendere nota dei particolari la mia condizione sembrerebbe migliorata, e non di poco. Ero un pedone, ed ora ho la macchina. In casa ho il televisore, il frigorifero, la lavatrice. Dovrei star meglio di una volta, no? E in un certo senso sto meglio. Ma in un altro senso sto come peggio non si potrebbe. Spiegami un po’ tu questo mistero.
Ho l’automobile. L’ho comprata perché tutti la comprano. Ho l’impressione che tutti la compriamo perché si desidera che la compriamo, si fanno le autostrade per farci desiderare la macchina, ostinarsi a fare il pedone sa addirittura di disfattismo. Ma intanto, che cosa succede? Quattro volte al giorno, nei viaggi tra casa e bottega, eccomi imbottigliato nel traffico, cucito a doppia catena a una fila spaventosa di macchine che procedono come condannati al patibolo.
Condannati a che? A quale patibolo? Non lo so. So che ci guardiamo in faccia e ci vediamo come siamo: tra ossessi e rassegnati, tra abulici e sul punto di sparare. La colonna marcia come vuole, indipendentemente dalla volontà dei singoli incolonnati. Ogni tanto mi chiedo: «Ma perché mi trovo qua dentro? Che cosa faccio? ». “Eh, che cosa faccio... È semplice: do il mio contributo al progresso dell'automobilismo, all'incremento della produzione nazionale; sacrifico alla Dea della Motorizzazione. Io cosa c’entro? Io sono quello che paga le tasse d’immatricolazione, le multe per sosta vietata, la benzina, sono quello che mantiene il mercato dei pezzi di ricambio. Insomma, non so più se mi trovo dentro un’automobile o dentro una trappola. Io propongo, il Traffico dispone. Ma tiriamo avanti. Ecco gli elettro-domestici, l’appartamento, il sogno della casetta, del ritiro in campagna per trascorrere qualche ora alla settimana lontano dal fracasso, dai duelli all’ultimo colpo d’acceleratore. Ed ecco le scadenze. Scadenze di cambiali, di mutui, di prestiti privati. Forse guadagno il doppio di dieci anni fa, ma sono indebitato del triplo. Per chi lavoro? Lavoro per la banca, per la fabbrica di televisori, per i magnati dell'edilizia, per il dazio sui fabbricati, per il fisco. E guarda che tutto ciò non accade per colpa mia. Ci sono stato tirato dentro per i capelli. Se non contribuivo all'espansione dei consumi ero un nemico della patria. E allora sotto con i consumi e con i superconsumi: con il risultato che l’autentico consumato sono io e la sola vista del calendario mi dà i brividi. Esso mi compare di notte, come compaiono i fantasmi nei castelli scozzesi. Sono una marionetta nelle sue mani: paga qui, paga là, datti da fare per questo, datti da fare per quello... Io docile, io obbediente, io buon cittadino, ho applicato alla lettera i comandamenti della pubblicità, mi sono lasciato prendere nel «boom» prima un dito, poi tutta la mano, e adesso ci sono dentro tutto quanto, con le ossa stritolate e il fegato in pericolo.
Quand’è il venti del mese in casa si sospende il vino, si riduce la frutta, si fa la spesa per telefono, così il droghiere e il salumiere sono costretti a «segnare». Dal venti al trenta si sospende addirittura l’acquisto delle puntate - settimanali dell’enciclopedia illustrata, che è la passione dei ragazzi, per non dover tirar fuori quelle due, trecento lire: così alla fine del mese bisogna comprare due-tre puntate tutte insieme, e i soldi se ne vanno di corsa.
Chiudo l’intermezzo dei prezzi. Torno a parlarti delle cento forme della mia schiavitù. Eh, sì, perché io non sono tanto il proprietario della mia automobile, quanto lo schiavo suo, e di tutto quel che c'è dietro. Tiranni domestici sono i miei elettrodomestici. Tiranno anonimo è la banca che ha fatto il mutuo sull'appartamento. (E a proposito, ci siamo andati, io e mio fratello, in banca, con la candida intenzione di farci prestare qualche soldino per la casetta in campagna. Ci hanno semplicemente, anche se molto amichevolmente, riso in faccia. Ci hanno spiegato molto bene che le banche danno i soldi a chi ne ha già tanti, non a chi non ne ha. A chi non ha soldi non si dà nemmeno l’ombrello se piove). Tutti comandano, nella mia vita di ogni giorno. E io? Come dicevo prima: che cosa sono diventato, io?
Speravo di rifarmi con le ferie. Ah, che beltà cosa le vacanze. Che bella cosa, sentirsi simili ed uguali, sia pure per pochi giorni, ai signori di una volta, che lasciavano Milano d’estate per le ville in Brtanza, o che da Roma si trasferivano nella villa ai Castelli. Sì, bravo! Per prima cosa le ferie le devi fare quando le fanno tutti gli altri, sicché trovi la stessa folla al mare che in città, gli stessi ingorghi del traffico in vai d’Aosta che in piazza del Duomo o al Tritone. È colpa della macchina. La macchina degli affari, del lavoro, della civiltà, via. La macchina si ferma solo in agosto. Ti lascia un po' direspiro solo quando lo lascia a tutti. Così, anche quel po’ d’aria di montagna o quel po’ di sabbia al mare te le devi andare a cercare in mezzo alla folla. E così, sempre a camminarsi sui piedi, sempre a fare gomitate anche in vacanza. Per andare dove, poi?
Bisogna andare dove vanno le strade, perché c’è l’automobile Le strade vanno dove ci sono gli alberghi. E tu, finisce che vai dove qualcun altro ha deciso, disposto e organizzato che tu andassi. Tutto questo si chiama «turismo di massa»: una fatica che dopo le ferie, per riposarsi, bisognerebbe prendere un mese di malattia. Ma non si può, perché il mese dopo le ferie, come tutti sanno, è il più magro: e già bisogna cominciare a mettere insieme i soldi per le feste, che arrivano tanto in fretta, e che sono un obbligo inderogabile, un imperativo categorico, insomma, un mostro e un tiranno anche loro. Anche babbo Natale, che ti costringe a comprare ciò che è stato fabbricato solo perché tu lo comprassi, e a comprare nel giorno stabilito, il giorno che il calendario assegna alla distruzione delle tredicesime. Tutto organizzato, tutto calcolato, tutto montato alla perfezione, come un robot meccanico. E tu esci da una macchina solo per essere infilato in un’altra, come un gettone.
Tutto questo gran meccanismo, questa macchinò che mi comanda a colpi di «compra! mangia! mettiti in viaggio! ingrana la quarta! », eccetera, ogni tanto si guasta. Ma guarda, combinazione, non si guasta mai la macchina .. che mangia t tuoi quattrini. Però si guastano le condutture dell’acqua. A Roma siamo stati tutta l'estate, fino alla fine di settembre, con l’acqua razionata. Certi giorni, se perdevi il conto dei comunicati e dei turni, ti toccava di lavarti a secco, come si lavano i panni in tintoria. A Roma, capitale d’Italia, in piana estate, l’acqua si distribuisce col contagocce, come dopo un bombardamento aereo, come il giorno dopo di un’esplosione atomica. Non è una cosa insensata?
È vita, questa? È vita per uomini? Siamo ancora uomini, poi? Questo è il dubbio che mi prende sempre più spesso. Ed è un dubbio che non riguarda i dettagli, i particolari, ma il fondo, le fondamenta di questa società. Essa mi si presenta come la società fondata sui diritti dell’individuo, sulla difesa della persona umana. Ma in realtà sta riducendo l’uomo, il celebrato “homo faber” a un utente senza volontà propria, vissuto dalle cose che lo dominano, spinto, diretto, stiracchiato, malmenato, stritolato giorno per giorno da un meccanismo su cui non può influire; e quanto alla persona, semplicemente la distrugge, perché le riconosce solo il diritto di comprare e pagare.
Di chi la colpa, signor direttore?
Del solito «mondo cane»? Sarà, ma non mi soddisfa. Ci deve essere pure chi tiene in mano le chiavi di questo finimondo. E, sul piano politico-amministrativo, diciamo così, mi risulta che le chiavi della mia «alienazione» le tengono democristiani e padroni del vapore, che se non sono DC sono PLI. "Voterò dunque, ardentemente, contro chi li contesta di più, questi fabbricanti di nevrosi, turbatori della mia quiete nervosa. E chi li contesta di più questi prevaricatori? Chi fa loro la criticuzza il sabato per poi abbozzare la domenica? Non mi pare. Dunque voterò per voi, per voi comunisti, caro direttore, perché essendo stato infinocchiato più volte con la storia del «progresso senza avventure» non voglio, Dio liberi, cascare ancora una volta in ciò che mi sembra assolutamente un’avventura senza progresso.
Cordialmente,
Rag. TEOFILO BARENGHI

l'Unità, 18 ottobre 1964

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