30.4.18

Un anno dopo l'assassinio. Pio La Torre non alzò bandiera bianca (Emanuele Macaluso)


Un anno è trascorso da quel giorno in cui ci arrivò, come una bomba, la terribile ma non incredibile notizia che il compagno Pio La Torre era stato assassinato a Palermo, in una strada non lontana dalla borgata dove, in una casa di contadini poveri, era nato e cresciuto. Con La Torre era caduto Rosario Di Salvo, compagno carissimo, serio, modesto, affettuoso, appassionato, coraggioso sino alla morte.
Ho scritto «non incredibile» perché conoscevamo i rischi che Pio correva. Lui più di tutti. Era in corso una offensiva del terrorismo politico-mafioso che aveva ammazzato, uno dopo l'altro, Terranova, Mattarella, Costa. Il lunedì di Pasqua, 12 aprile, La Torre aveva trascorso la giornata a casa mia. Eravamo usciti per una passeggiata e sul Lungotevere, discutendo di quei delitti, s’era fermato un momento, m'aveva guardato dritto negli occhi, con una espressione ben nota a chi lo ha conosciuto, e aveva detto: «È bene che tu sappia che ora tocca a noi». Era suo convincimento che in Sicilia operasse uno Stato maggiore con forti collegamenti nazionali ed internazionali il quale attuava freddamente un piano di sterminio degli uomini che, in punti diversi, costituivano una minaccia per il sistema di potere dominante.
L’assassinio di La Torre e quello di Dalla Chiesa, di appena cinque mesi dopo, confermano questa diagnosi che altre volte abbiamo esposta su questo giornale. La Sicilia andava «normalizzata». Gli interessi di forze internazionali che vogliono l'isola come base militare e gli interessi di chi controlla il traffico di droga ed i canali dei finanziamenti pubblici convergono e sono assai potenti anche in virtù degli agganci sui quali possono contare negli apparati statali nazionali ed internazionali e nei gruppi di potere mafiosi ed occulti sia nazionali che internazionali anche questi.
I funerali di Pio La Torre e Rosario Di Salvo
Oggi, un anno dopo l’assassinio di La Torre, è necessaria una riflessione su avvenimenti destinati ad incidere non solo sull’avvenire della Sicilia ma sulla stessa vita nazionale.
Anzitutto, dobbiamo ricordare che ancora non è stata fatta luce sui delitti politici siciliani. In queste settimane si stanno svolgendo a Roma, Milano e Torino alcuni grandi processi che richiamano alla memoria gli anni del terrorismo e della violenza. Contemporaneamente si svolgono dibattiti e confronti sugli «anni di piombo» e sul modo per uscire da questa fase. I responsabili degli omicidi politici sono stati individuati. Non è stata fatta luce sulle stragi di Piazza Fontana o di Brescia o di Bologna perché in questi casi il terrorismo nero s’è intrecciato più strettamente con apparati dello Stato. Nulla, dico nulla, si sa sugli omicidi siciliani. Chi ha ucciso Mattarella, Costa, Terranova, La Torre, Dalla Chiesa?
Leggete, nella pagina dedicata a La Torre, il servizio di Sergio Sergi il quale ba interrogato in questi giorni a Palermo alcuni magistrati II quadro è semplicemente agghiacciante. I magistrati dicono a tutte lettere che ci si trova davanti a delitti politici, ma non possono, non riescono a varcare la soglia della verità. È questo il primo punto che vogliamo fare emergere ad un anno di distanza dall’assassinio di La Torre. Nell’anno di grazia 1983, dopo circa quarant’anni di potere dc, dopo vent'anni di centrosinistra e dopo quattro anni di chiacchiere sulla «governabilità», non è possibile fare luce sui delitti politici di matrice mafiosa. Questa è la realtà. Si possono fare mille discorsi sullo Stato, sulla «nuova» DC, sulla «modernità» dei governanti, sulla «cultura di governo» di costoro i quali son sempre pronti a dare lezioni a manca ed a dritta. Una cosa, però, è certa: questo Stato, questa «cultura di governo», questa «modernità» della «nuova» DC, questa coalizione quadri o pentapartita che si vorrebbe eternare, non hanno cambiato di una sola virgola le vecchie regole del giuoco mafioso. Lo Stato resta permeabile agli interessi che stanno dietro ai delitti mentre è sempre impermeabile nei confronti delle forze che si identificano con le vittime.
I gesti che in questi giorni sono stati indirizzati contro il Cardinale Pappalardo all’interno del carcere di Palermo costituiscono un grave segnale. Rivelano qual è il potere reale dei grandi della mafia, e quale influenza costoro esercitano non solo dentro la cinta dell’Ucciardone ma nella vita stessa della città. La parola d'ordine è «lasciateci in pace». La Torre o Dalla Chiesa, Costa o Terranova non li lasciavano vivere in pace, turbavano la loro tranquillità. Lo stesso Mattarella aveva rotto le regole all’interno del potere e questo non poteva essere tollerato. Oggi c’è anche il Cardinale che con le sue prediche turba la «tranquillità», la «normalizzazione» che si va realizzando a suon di lupara. È stato dato un avvertimento, e non solo a lui. Ma c’è un’altra riflessione da fare oggi e che è strettamente correlata alla prima. Mi riferisco alla campagna di alcuni organi di stampa per la scheda bianca nelle prossime elezioni. Leggendo certe filippiche che si concludono con l’approdo astensionista, pensavo proprio a La Torre ed agli altri che come lui hanno dato la vita per rinnovare lo Stato. Ebbene, pensate se La Torre e Costa, Terranova e Dalla Chiesa avessero impugnato bandiera bianca, se si fossero defilati, se si fossero astenuti e se, lavandosene le mani, si fossero limitati alla protesta della scheda bianca di fronte ad uno Stato che si presenta col volto dell’impotenza o della complicità. Se questi uomini avessero usato la scheda bianca, la «normalizzazione» sarebbe già un fatto compiuto: da Comiso a Palermo, a Napoli, a Roma, a Milano. Ed invece La Torre ed altri seppero scegliere, seppero dire i loro «no» ed i loro «sì»; seppero scegliere la trincea di un impegno civile e democratico e dare l’esempio più alto nella lotta politica. Sì, la scelta di questi uomini è stata la politica. Contro i mercanti del potere e del sottogoverno non servono la diserzione e la scheda bianca che consolidano il loro dominio. Occorre scegliere e fare politica, non rassegnarsi, lottare e votare per fare avanzare le idee di La Torre, per isolare e colpire, finalmente, i suoi assassini e cambiare la società che li genera.


"l'Unità", 30 aprile 1983

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