5.2.10

La rivolta di Albert Camus.

Poco più di cinquant'anni fa, il 4 gennaio 1960, moriva in un incidente d'auto Albert Camus, l'autore de La peste, l'intransigente avversario di ogni totalitarismo. Aveva 46 anni e solo tre anni prima aveva vinto il Nobel per la letteratura. In Francia Sarkozy vorrebbe trasferirne nel Pantheon le spoglie. Sperava di poterlo fare il 4 gennaio, ma gli è andata male. Uno dei figli vi si è opposto, teme una gigantesca strumentalizzazione. Poche le celebrazioni sui giornali e nell'editoria . Paolo Flores D'Arcais ha mandato alle stampe per l'editrice Codice un libretto dal titolo L'assurdo e la rivolta. Albert Camus filosofo del finito. Dell'opera e dell'attività intellettuale di Camus Flores esamina peculiarmente l'aspetto politico, in particolare la critica energica ed impietosa di una democrazia parlamentare che è sempre più "formale" e sempre più esclude i cittadini e dei partiti politici che la sorreggono, apparati di potere per il potere. Contro di essi si erge il motto dello scrittore "Solitaire-Solidaire", emblema di un agire politico che valorizza la politica dei non politici e che si dà come scopo quello di atti e scelte che giorno dopo giorno riescano a "diminuire aritmeticamente il dolore del mondo". Per sollecitare una riflessione più organizzata, colloco qui lo splendido incipit de L'uomo in rivolta e un brano dal libro di Flores D'arcais.


Un no che è anche un sì
Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no.
Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo “no”? Significa, per esempio, “le cose hanno durato troppo”, “fin qui sì, al di là no”, “vai troppo in là” e anche “c’è un limite oltre il quale non andrai”. Insomma questo no afferma l’esistenza di una frontiera.
Si ritrova la stessa idea del limite nell’impressione dell’uomo in rivolta che l’altro “esageri”, che estenda il suo diritto al di là di un confine oltre io quale un altro diritto gli fa fronte e lo limita. Così, il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di un’intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon diritto, o più esattamente sull’impressione, nell’insorto, di avere il “diritto di…”.
Non esiste rivolta senza la sensazione d’avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione. Appunto in questo lo schiavo in rivolta dice ad un tempo di sì e di no. Egli afferma, insieme alla frontiera, tutto ciò che avverte e vuol preservare al di qua della frontiera. Dimostra, con caparbietà, che c’è in lui qualche cosa per cui “vale la pena di…”, qualche cosa che richiede attenzione. In certo modo, oppone all’ordine che l’opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto egli possa ammettere. (da Albert Camus - L'uomo in rivolta)


Un uomo di verità

Il pensiero di Camus e il suo agire politico sono tra i più coerenti del nostro tempo.

Camus non è stato mai uomo del “giusto mezzo”, uomo di mediazione tra “opposti estremismi”, uomo di “moderazione”. Anzi, e al contrario, ha cercato di essere un uomo di verità, sempre e senza riguardi per messuno.

Camus è stato uno dei più grandi intellettuali tra quelli che si sono impegnati nella lotta antitotalitaria. E questo senza mai utilizzare la lotta contro il totalitarismo come un alibi per sottrarsi alla critica radicale della società nella quale viveva. Camus ha addirittura rovesciato l’argomento che il comunismo occidentale (in Francia come in Italia) utilizzava per delegittimare e bloccare in anticipo ogni critica dell’Urss in quanto totalitarismo realizzato. La logica di questo argomento è nota: non si deve parlare di quello che succede davvero in Urss, non si devono chiamare le cose con il loro nome, perché altrimenti si fa un regalo alla borghesia reazionaria e, come si diceva un tempo “si toglie la speranza a Billancourt” (si toglie la speranza agli operai sfruttati). Camus demolisce questo argomento sbagliato sostenendo addirittura che se non si è totalmente antitotalitari, dunque radicalmente critici verso le società che si pretendono socialiste, si finisce proprio, malgrado ogni apparente paradosso, per fare un regalo all’establishment. Scrive infatti: “Il giorno in cui la liberazione del lavoratore è accompagnata da luridi processi farsa, e una donna porta in tribunale i suoi figli per subissare di accuse il loro padre e chiedere per lui una punizione esemplare, quel giorno l’avidità e la viltà della società borghese rischiano d’impallidire, e la società della sfruttamento riesce a perpetuarsi non più in forza delle sue virtù ormai scomparse, ma grazie ai vizi impressionanti della società rivoluzionaria”.

Infine: Camus non vuole rappresentare una sorta di “terza via” tra un socialismo che non è socialista – come ripeterà infinite volte – e un liberalismo americano che non è affatto liberale. La sua è una concezione della politica che rifiuta i realismi e non ha paura di far riferimento ai grandi valori (libertà, giustizia, lotta contro la menzogna), ma che con un’azione coerente cerca di restituire a queste parole – troppo spesso logorate e troppo spesso utilizzate in modo ipocrita - il loro significato più semplice e autentico. (da Paolo Flores D'Arcais - L'assurdo e la rivolta. Albert Camus filosofo del finito)

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