10.3.12

La sentenza cassata. Dell'Utri, la mafia perbene e l'Opus dei.

Con pochissimi lettori e quasi senza segnali di consenso (o anche di dissenso) qualche giorno fa, in occasione della rinuncia di Berlusconi allo show televisivo con Vespa, ho diffuso in rete un sospetto: che il defilarsi del Cavaliere sia effetto di un qualche patto, forse incostituzionale e illegale ma del tutto normale dentro gli Stati, che – senza eccezioni – sottraggono al diritto i loro arcana, si reggono e si consolidano attraverso la segretezza degli atti e dei patti.
Ora, dopo la “prescrizione” che cancellava la cavalleresca corruzione nei confronti dell’avvocato corrotto, arriva la sentenza della Corte di Cassazione che prepara una prescrizione anche per Dell’Utri e sembra inibire ai magistrati antimafia l’incolpazione di chicchessia per “concorso esterno”. La cosa mi conferma nel sospetto che nel patto di potere che ha dato vita al governo Monti possa essere coinvolta la magistratura. Almeno in alcuni gangli tra i più potenti e influenti.
Del patto verosimilmente non fanno parte solo l’impunità del nababbo di Arcore, dei suoi amici e cortigiani o la protezione delle di lui ricchezze, ma anche l’operazione “mafia pulita”. Iniziata da Berlusconi con lo scudo fiscale e giudiziario che ha permesso al denaro sporco di sbiancarsi con facilità, essa sembra oggi proseguire con la sostanziale abolizione del “concorso esterno”, strumento che consentiva indagini ficcanti su affaristi, finanzieri e politicanti, la cui eliminazione è garanzia di impunità - se non per tutti - per tanti governanti, pubblici amministratori, costruttori, avvocati, commercialisti, imprenditori eccetera eccetera.
Costoro non sono mai stati affiliati alle cosche, alle ‘ndrine e alle camorre con gli strani riti di quel mondo, non fanno parte di gruppi di fuoco, né commerciano di persona in droghe ed armi, ma procurano appalti, spostano e investono capitali, gestiscono imprese, governano aziende, rintracciano e organizzano compiacenze e connivenze politiche, amministrative, giudiziarie: benché “esterni” non sono meno mafiosi di quelli col mitra e la lupara.
Alla base dello scenario che si delinea è un vizio genetico connesso al capitalismo come modo di produzione: le originarie accumulazioni che ne permisero il trionfo si compirono attraverso la tratta degli schiavi e la rapina coloniale, giustificando l’affermazione marxiana per il quale non c’è grande fortuna capitalistica che non abbia alla base grandi crimini. Coerentemente con tutto ciò, in un momento di crisi, i “tecnici” oggi al governo – seppure con molta ipocrisia e fingendo assoluto legalitarismo –  non intendono mettere bastoni tra le ruote ai capitali e ai loro movimenti, e cercano di aprire ad essi nuovi terreni di conquista attraverso le privatizzazioni. Conta poco che tali capitali siano di origine criminale, l'importante – in tempi di penuria - è che siano abbondanti. Ciò spiega la faccia feroce e la pretesa di tracciabilità assoluta per i piccoli movimenti di denaro, e insieme il lasciapassare alle misure berlusconiane un po' lassiste, dallo scudo fiscale fino agli ultimi “garantismi” sulle confische dei patrimoni mafiosi. Il risultato probabile è che gran parte delle attività economiche delle mafie riuscirà a passare attraverso le maglie della normativa e, legalizzata, cercherà di far dimenticare le proprie origini.
Francesco La Licata, su “La Stampa”, il 6 marzo scorso lasciava intende che nelle indagini sulla trattativa mafia-stato degli anni Novanta, alla vigilia della “discesa in campo” di Berlusconi, potrebbe intervenire un progetto segreto, concordato tra magistrati e politici con lo scopo di sfumare eventuali responsabilità governative e istituzionali. La cosa mi pare abbastanza verosimile e credo che ci sia di più.
Ho l’impressione che, al di là delle campagne fumogene, come quella antipizzo in collaborazione tra governo e Confindustria, sia in funzione un accordo tra tutti i poteri forti nostrani, con in prima linea quello finanziario e quello religioso  (spesso sovrapponibili), con la benedizione delle grandi banche internazionali e dell’Ue.
A mio parere nel regime economico-politico che stanno cucinando non é previsto per l’indebolita magistratura e per la casta screditata dei politicanti un ruolo da protagonisti. E’ facile immaginare tra i magistrati democratici qualche resistenza, ma il timore di perdere privilegi potrebbe spingere un gran numero di inquirenti e di giudici ad assecondare la corrente (l’approvazione recente di una norma sulla responsabilità civile del giudice, inefficace contro gli abusi veri, ha peraltro un certo potenziale intimidatorio). 
Credo che dentro questo patto, a tutto campo, possa trovare un suo spazio perfino la “mafia perbene”, quella che è riuscita o riuscirà a purificarsi e a riciclarsi. Il regalo a Dell’Utri di un nuovo processo con prescrizione quasi certa (a maggior ragione se si riduce la partecipazione all’attività di Cosa Nostra da “concorso” a “favoreggiamento”) si inserisce in questa sorta di accrocco tra tutti i poteri contro chi il potere non ce l’ha.
Non escludo, inoltre, che qualcuno tra i promotori e mediatori della grande ammucchiata di potere possa trovarsi tra i dignitari del Vaticano. Il senatore Dell’Utri, che raccomandò a Berlusconi il boss Mangano come stalliere, vanta amicizie importanti anche tra porporati, prelati e altri monsignori; testimoniando nel processo la cui sentenza ultima è stata ieri cassata, egli ha più volte ricordato il suo ruolo nell’Opus Dei, la cosiddetta massoneria bianca. Ricordiamolo anche noi.

Postilla
Sulle origini e la natura dell’Opus dei in questo stesso blog si può vedere http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2012/02/lopus-dei-la-massoneria-bianca-di-papa.html

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