14.3.12

L'otto marzo delle fasciste

L’otto marzo s’è celebrato da poco e nei notiziari più che la lotta delle donne ha trovato spazio il tentativo di usare l’alibi della disoccupazione femminile per far passare la cosiddetta riforma del “mercato del lavoro”, cioè la sottrazione di diritti ai lavoratori. Tra le cose del passato che uso generalmente per alimentare questo blog ho rintracciato un pezzo relativamente recente, da “micropolis” del marzo 2006, un commento di seconda pagina senza firma, ma scritto da me e ripassato dalla compagna Billi. Lo ripropongo perché non mi pare abbia del tutto perso d’attualità, soprattutto nella denuncia di un femminismo burocratico, finto e lottizzato. A Perugia quest’anno – meno male – a dare il segno alle celebrazioni è un ricordo delle partigiane. E’ un piccolo segno positivo, ma in generale gli atti non son belli. (S.L.L.)
Il “Corriere dell’Umbria” dell’oto marzo conteneva due pagine speciali sulla festa della donna, con due ampi articoli senza firma rispettivamente intitolati Non solo una festa ma anche un ricordo e Il sacrificio delle italiane in fabbrica.
A ben osservare si scopre che in entrambi i casi si tratta di informazione pubblicitaria, probabilmente in capo al Centro regionale per le pari opportunità. La lettura dei due pezzi riserva peraltro qualche sorpresa.
Il primo rievoca l’origine della festa, racconta con qualche semplificazione la storia dei movimenti femminili di emancipazione e di liberazione del Novecento, valorizza il ruolo dell’Udi. Del femminismo non c’è traccia. L’articolo si conclude con i consigli per la conservazione delle mimose (utilizzare un coltellino, riempire il vasetto con acqua tiepida, tenerlo lontano dalle fonti di calore).
Il secondo non parla delle operaie italiane, ma di una santa monaca, una certa Francesca Cabrini che volle andare in America a portare il conforto della fede cattolica agli emigrati e alle emigrate della penisola. Vi si legge tra l’altro: “Italo Balbo ha scritto che tutti quei nostri connazionali, inghiottiti dalle miniere di carbone, nelle imprese di sterramento … erano l’Italia di nessuno, un popolo anonimo di schiavi bianchi, materiale umano mercanteggiato a migliaia di capi”.
L’operazione pubblicitaria nel suo complesso è certamente frutto di una lottizzazione: la pagina di sinistra alle rappresentanti dell’ex Pci, la pagina di destra alle clerico-fasciste del Polo. Ma la citazione di Italo Balbo è una vera provocazione. Sulle gravi condizioni degli italiani in America si sarebbero potute accumulare centinaia di citazioni. Perché scegliere proprio Balbo, che fu grande aviatore, sfortunato governatore di Libia, ma prima ancora quadrumviro della Marcia su Roma, capo dello squadrismo padano e grande frequentatore di casini? Insomma perché scegliere un manganellatore, un fallocrate, un maschilista del cazzo?
Evidentemente alle fasciste piacciono così.

“micropolis” marzo 2006

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