29.11.12

De Amicis. Un modo di raccontare gli italiani (di Luigi La Spina)

L’articolo che segue, la cui lettura suggerisco, può contribuire a liberare De Amicis dal limbo in cui è stato relegato, quello dei minori, e di riportarlo tra i grandi scrittori di cose italiani, dove peraltro lo collocava con forti argomenti Sebastiano Timpanaro. (S.L.L.)
Non era possibile, naturalmente, ignorarlo. Così, tra i libri che hanno fatto gli italiani compare anche il suo volume più famoso, quel Cuore iniziazione romanzesca, assieme a Salgari, di intere generazioni del nostro Novecento. Una citazione doverosa ma imbarazzata, quella che ricorda De Amicis nell'ambito dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità nazionale, perché lo scrittore ligure-torinese è tuttora sottoposto alla «damnatio memoriae» letteraria a cui lo condannò prima Carducci, con la famosa definizione di Edmondo dei languori, e poi Umberto Eco, con il sarcastico Elogio di Franti. L'occasione celebrativa, invece, poteva costituire un ottimo pretesto per sottrarsi al conformismo pseudochic del sostanziale oscuramento che gli organizzatori hanno compiuto su di lui. Si sarebbe fatto apprezzare agli italiani il fondatore di una figura letteraria, quella dello scrittore-giornalista, che ebbe in De Amicis il suo più celebre e, forse, unico rappresentante fino alla grande stagione del secondo dopoguerra, quella di Moravia, di Parise, di Soldati, di Piovene.
La modernità del De Amicis giornalista è caratterizzata proprio dal canonico metodo del reportage, fondato su una descrizione che raccoglie il paesaggio umano assieme a quello naturale, in un mix seduttivo affidato a una vivace accensione delle emozioni…
Folco Portinari, nella bella introduzione al Meridiano che raccoglie gli scritti di De Amicis, scrive a questo proposito che i suoi libri di viaggio sono «ancora dopo oltre cent'anni la miglior guida turistica», perché inducono il lettore, «incuriosendolo e appassionandolo», a «ripetere la stessa esperienza (come oggi con fotografie o spezzoni filmati)». Oltre all'aspetto formale dei suoi scritti, De Amicis è un grande maestro di giornalismo per la capacità di cogliere la realtà che vede senza alcun pregiudizio. «Lui non parte per i suoi viaggi - osserva la curatrice del Meridiano e fine studiosa dello scrittore, Giusi Baldissone - per trovare conferma delle opinioni che si è costruito in precedenza e, così, riesce a scoprire gli aspetti più importanti, ma anche i più curiosi e significativi, del mondo che sta cambiando sotto i suoi occhi».
E' il primo, infatti, ad accorgersi del grande fenomeno emigratorio di quell'Italia che, tra il 1876 e la fine del secolo, disperde nel mondo cinque milioni dei suoi abitanti. Cosa che non viene assolutamente rilevata, ad esempio, dai più famosi scrittori del realismo d'epoca, da Verga a Capuana. Perché, nel 1887, si imbarca su una nave che va in Sudamerica e scrive un bellissimo libro, Sull'Oceano, resoconto dolente e struggente di quella disperata umanità in cerca di una vita sognata. De Amicis racconta agli italiani la loro terra, anche quella più lontana e sconosciuta, appena riunita in una nazione. A partire dai suoi lunghi soggiorni in Sicilia, tradotti in profondi reportage sulle condizioni sociali degli abitanti. Il primo avviene nel 1867, quando lo scrittore, giovane ufficiale, viene spedito nell'isola per alleviare le sofferenze della popolazione colpita, soprattutto nella zona di Catania, da un'epidemia di colera. L'esperienza finisce in un libro, intitolato La vita militare, nel quale si esprime comprensione per le rivolte che costringono i militari a difendersi da chi li crede «avvelenatori», untori mandati da un governo nemico, «perché la superstizione, la paura, la miseria sono assidue compagne della morìa presso tutti i popoli e in tutti i tempi». De Amicis, cantore del patriottismo unitario, però, è così attento e sensibile osservatore della società siciliana da auspicare uno statuto di autonomie per l'isola che attenuino «le troppe uniformità di leggi e norme» che sono state applicate su tutto il territorio nazionale. L'acutezza del giornalista che riesce a cogliere i primi fermenti delle novità dall'osservazione minuta della vita degli uomini e dalle trasformazioni del paesaggio è testimoniata, poi, da molti altri suoi resoconti. Oltre al valore della scuola, ovviamente, come crogiolo dell'Italia futura, De Amicis rileva l'apporto dell'educazione fisica per l'inserimento della donna in un ruolo sociale di maggiore autonomia. Così come scruta i nuovi mezzi di trasporto urbano, i tram, microcosmi viaggianti di curiosi bozzetti cittadini, in un libro intitolato La carrozza di tutti. I viaggi di De Amicis percorrono tutta l'Europa, dalla Spagna a Costantinopoli, e si aprono alla conoscenza dei maggiori intellettuali stranieri, a partire dai francesi Zola, Hugo, Daudet. Evita così il provincialismo di tanti suoi coevi scrittori, anche per l'intensa frequentazione di importanti cenacoli artistici e letterari. Durante il lungo soggiorno a Firenze entra nel famoso salotto Peruzzi, dove incontra, tra gli altri, Ruggero Bonghi, Silvio Spaventa, Pasquale Villari. Nei quasi tre anni passati a Taormina è ospite di lady Florence Trevelyan, dama di compagnia della regina Vittoria. Nello splendido palazzo Cacciola (di proprietà del sindaco divenuto suo marito) si alternavano personaggi come Wagner, Nietzsche, Oscar Wilde, Gustav Klimt, il kaiser Guglielmo II, lo zar Nicola I. Ecco perché sarebbe il caso di essere meno provinciali, anche noi, nel giudizio su De Amicis, scrittore e giornalista. Quelli che Benedetto Croce chiamava spregiativamente «descrittori in ozio» riuscivano a capire e a far capire la realtà molto meglio di tanti letterati chiusi nelle loro in biblioteche. Senza offesa per nessuno.

“La Stampa”, 22 aprile 2011

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