13.3.13

Cambise e i Castiglioni. Il ritorno dell’armata scomparsa (Cinzia Di Cianni)

Nel 2009 due archeologi-documentaristi italiani, i gemelli Castiglioni annunciarono il ritrovamento dei resti della cosiddetta “armata di Cambise”, avvenuto nell’oasi di Siwa, nella parte di deserto libico appartenente allo stato egiziano. Un documentario da loro girato venne proiettato nel mese di ottobre al festival dell’Archeologia di Rovereto. L’articolo-intervista di cui qui posto un ampio stralcio anticipa su “Tuttoscienze” i risultati della loro lunga ricerca. (S.L.L.)
I resti ritrovati nella cavità del deserto
Le immagini racconteranno come i gemelli Castiglioni hanno raccolto quelle che considerano prove definitive, gettando luce su una storia raccontata per primo da Erodoto. Fu lui a raccogliere le testimonianze un'ottantina d'anni dopo i fatti. L'imperatore persiano Cambise II, figlio di Ciro il Grande, realizzò la conquista dell'Egitto sognata dal padre con una serie di campagne che risalirono il Nilo. Nel 525 a.C., dopo avere sconfitto il faraone Psammetico a Pelusio, giunse a Tebe. Qui divise l'esercito: una parte fu inviata a Sud a sottomettere gli Etiopi, mentre l'altra si inoltrò nel deserto occidentale per raggiungere l'oasi di Siwa, che distava 800 km.
Il motivo della spedizione non è chiaro. Siwa era un luogo sacro, perché era la sede dell'oracolo di Ammone, dio supremo del pantheon egizio, assimilato al dio-Sole Ra. Creatore di tutte le cose, regolava il tempo e le stagioni. A lui erano dedicati i templi di Karnak e Luxor. Perché Cambise avrebbe dovuto attaccarlo? Erodoto narra che dopo 7 giorni l'armata raggiunse una zona a 200 km da Tebe, «L'isola dei beati» (forse El Kharga). Poi puntò a Nord, ma fu sorpresa da un vento «insolito e potente», il Khamsin, che può spirare per 50 giorni. Da quel momento dei soldati si perse ogni traccia.
Una vendetta del dio? Di sicuro, dal XIX secolo molti esploratori hanno cercato i resti dell'armata, ma solo Alfredo e Angelo Castiglioni hanno strappato brandelli di verità alle sabbie. L'impresa è legata anche a un po' di fortuna, all'esperienza di un beduino e alla capacità di formulare ipotesi originali. «Le precedenti spedizioni - spiega Alfredo Castiglioni - hanno seguito la ''via delle oasi'', una carovaniera che passa attraverso Darkhla, Abu Minqar, Farafra e Ain Dalla per raggiungere Siwa da Est, e non hanno ottenuto risultati. Ma, dato che quelle oasi si trovavano sotto il dominio egiziano, abbiamo pensato che la spedizione non sarebbe mai passata da lì. La scelta migliore era prendere Siwa alle spalle e così abbiamo ipotizzato un itinerario diverso».
Già ai tempi della XVIII dinastia egizia esisteva una carovaniera, che da Tebe puntava a Nord: il percorso era più lungo, ma avrebbe garantito un attacco di sorpresa. Per verificare l'ipotesi, i Castiglioni si sono messi alla ricerca dei punti di rifornimento d'acqua. Le indagini geologiche compiute dal 96 hanno confermato la presenza di sorgenti oggi disseccate e hanno portato alla luce i resti di numerose anfore sepolte ai piedi di una collina. Si trattava di un'«oasi artificiale», predisposta in attesa dell'armata, mentre la termoluminescenza ha confermato che le anfore risalivano all'epoca della conquista persiana. Ma i Castiglioni avevano individuato anche un altro elemento: sulle antiche mappe Siwa era indicata nel posto sbagliato, a un centinaio di km più a Sud di quanto in realtà non fosse, e l'errore geografico avrebbe causato la tragedia. I soldati, convinti di essere vicini alla meta, furono sorpresi dalla tempesta. «Seguendo questa pista, trovammo una conferma nel 2002, nella missione numero 5. Erano con noi Dario Del Bufalo dell'Università di Lecce, Alì A. Barakat del Geological Museum del Cairo e soprattutto Gogos, un beduino che conosceva ogni segreto del deserto. E qui entra in gioco la fortuna: ai piedi di una falesia notammo dei frammenti di ossa, forse trascinati lì da antiche piogge. Ci spingemmo in una grotta e il metal-detector rilevò delle punte di freccia, sicuramente achemenidi. Erano i primi reperti persiani restituiti dal deserto». Sferzati dal Khamsin, i soldati cercarono rifugio nelle cavità, dove morirono di fame e sete. In una caverna lunga circa 35 metri e alta 1,80 furono trovate altre punte di freccia, un pugnale, parte del finimento di un cavallo, frammenti ossei e ceramici. A un centinaio di metri più a Est, coperti da un sottile strato di sabbia, c'erano altri resti umani, un orecchino d'argento e le perle di una collana, sicuramente dell'epoca di Cambise.
«Gogos, infine, volle condividere con noi il suo segreto e ci guidò nel luogo dove tempo prima aveva trovato una spada e delle punte di freccia - aggiunge Alfredo Castiglioni -. Scoprimmo così una fossa comune, dove probabilmente erano stati ammassati i resti di alcuni uomini dell'armata. Sappiamo che nell'esercito di Cambise, oltre a Cari e Medi, c'erano molti mercenari greci. E furono i greci che tempo dopo diedero sepoltura ai corpi restituiti dal deserto. In seguito, in epoca tolemaica, tra il 304 a.C. e il 30 d.C., l'area divenne una necropoli».
Difficile trovare di più. Il deserto è uno scenario in perenne mutamento: vento e sabbia sono instancabili nel nascondere e restituire testimonianze. Ma solo oggi, a 7 anni dalla scoperta, i Castiglioni hanno deciso di raccontare tutto. «Non l'abbiamo fatto prima per proteggere Gogos. Ora che è scomparso possiamo rompere il silenzio». Ed ecco il documentario, anche se il luogo dei ritrovamenti resta segreto per evitare saccheggi. Resta da capire perché Cambise puntasse a Siwa. E' probabile che intendesse controllare il silphium, una pianta oggi estinta che veniva usata come farmaco. Quali che fossero le sue intenzioni, anche le campagne contro Cartagine e l'Etiopia si risolsero in disastri e questo lo rese pazzo. Morì in Palestina nel 522, in circostanze poco chiare, durante il viaggio di ritorno.

“Tuttoscienze – La Stampa”, 7 ottobre 2009

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