5.8.17

Et maintenant tu es parti. In morte di Gilbert Bécaud (Flaviano De Luca)

Chi ha avuto la fortuna di vedere Gilbert Bécaud in concerto, nei programmi tv o al festival di Sanremo, difficilmente dimenticherà la sua straordinaria verve, il suo temperamento meridionale, la sua vena sentimentale contagiosa. Era passato alla storia nell’aprile 1954 quando il pubblico del suo spettacolo all’Olympia (il palcoscenico preferito) di Parigi per la prima volta devastò la sala e ruppe le sedie trascinato dalla sua voce calda e dall’esibizione travolgente. Perciò gli affibbiarono quei soprannomi ridicoli come Monsieur 100.000 Volts, per la capacità di elettrizzare anche persone normali, con le sue performance estremamente generose e coinvolgenti.
Era il più passionale degli chansonnier francesi, molto amico col più romantico ed elegante Charles Aznavour, col quale avevano debuttato nello stesso periodo scrivendo insieme due canzoni Je veux te dire adieu e C’est merveilleux l’amour ed entrambi erano stati aiutati a emergere da Edith Piaf. Si presentava con vestito bleu, camicia bianca e cravatta a pois, quasi un inconfondibile abito da lavoro, e sfoggiava tutte le sue doti vocali e la consumata esperienza in interpretazioni davvero formidabili (per molte stagioni ne ha fatte 250 all’anno). «Quando scrivo una canzone, quando salto sui palcoscenico», ha scritto nella sua autobiografia Quand t’es petit dans le Midi del 1993, «lo faccio con il cuore, mi viene dalle viscere, proprio come i giocatori di tennis si mettono a urlare quando mettono a segno una palla di servizio. Io non sono il tipo che sta lì a pensarci sopra, non sono un carrierista che pianifica la prossima mossa».
Pianista di formazione classica (studi al conservatorio di Nizza), aveva accettato all’inizio a malincuore di esibirsi nei night-club parigini ed era rimasto un po’ male che la sua opera lirica, L’opera di Aran, scritta nel 1962, non avesse ottenuto generale consenso. Allora aveva già scritto Je t’appartiens, uno dei suo grandi successi che diventerà un hit anche in inglese Let It Be Me cantato da Frank Sinatra e sarà inciso pure dagli Everly Brothers e da Bob Dylan («Un tipo bizzarro. Un giorno ho passato tre ore con lui, non ha detto una parola»). E passerà di successo in successo, costituendo un efficace sodalizio con i suoi due parolieri (il poeta-prefetto Louis Amade e Pierre Delanoe), scrivendo canzoni sentimentali che hanno fatto epoca: Nathalie, Le jour où la pluie viendra, Je reviens te chercher, Dimanche a Orly e naturalmente Et maintenant, un successo mondiale che vanterà oltre 150 versioni (da Barbra Streisand a Sonny & Cher, in inglese si intitola What now my love). «Et maintenant que vais-je faire/ De tout ce temps que sera ma vie/ De tous ces gens qui m’indifférent/ Maintenant que tu es partie»).
Qualche dissenso l’ottenne quando, nel 1965, scrisse Tu le regretteras (Tu lo rimpiangerai), una canzone dedicata al generale De Gaulle. Era insomma un grande artista, orgoglioso della sua semplicità e un po’ guascone. Un alfiere della musica popolare francese, che rivaleggiava con Trenet e gli altri chansonnier, che aveva buttato a mare l’interpretazione da bel canto per abbracciare lo swing, l’urlo e il trasporto emotivo. Da allora in poi la sua vita fu un susseguirsi di tournée e di dischi. In Italia divenne molto popolare negli anni settanta partecipando a uno show del sabato sera, «Teatro 10» condotto da Alberto Lupo, in cui Becaud si esibiva regolarmente e aveva tradotto in italiano alcuni suoi brani fortunati come L’importante è la rosa. La sua ultima esibizione, nel nostro paese, l’anno scorso a maggio, al Teatro Massimo di Palermo, nel balletto À Paris («È la prima volta che partecipo a uno spettacolo per cantare una sola canzone, forse sono troppo caro per un recital»). Invece l’anno precedente, nel 1999, aveva cantato, insieme con Ute Lemper, in piazza Plebiscito a Napoli («una città che mi ricorda la mia terra, solare e ottimista»). Proprio in quella stagione si era scoperto la grave malattia, un cancro alla gola, che non l’avrebbe più lasciato. Ad allora risale il suo ultimo album, Faut faire avec.
Sposato due volte, padre di sei bambini compresa una ragazza del Laos adottata nel 1992, il cantante di Tolone divideva la sua vita tra una proprietà a Poitou, una villa in Corsica e una peniche (la barca-casa galleggiante) all’ancora sulla Senna. Nel suo prossimo disco, Mon cap, registrato la scorsa estate e prodotto da Quincy Jones, c’è un pezzo inedito registrato in una chiesa, a quattro mani e due voci insieme con Stevie Wonder («è un ragazzo straordinario, ha la mano di Dio sulla spalla»).


“il manifesto” 19 dicembre 2001

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