25.5.10

Perugia 1888. Clericalismo sanitario (corrispondenza dal "Messaggero")

Nell’estate del 1988 “il manifesto”, “per riempire il giornale” (ad agosto - si sa - c’è poco da scrivere) recuperò giorno dopo giorno cronache e commenti di un secolo prima, dai quotidiani dell’estate 1888. Il 10 agosto toccò al “Messaggero” , che la gustosa corrispondenza da Perugia che segue. (S.L.L.)
Se c’è qualcosa che a questo mondo deve destare pietà, rispetto, si è la malattia, la infermità. Eppure nessuno è più tormentato di quei disgraziati che, non vivendo di rendita, sono costretti in caso di malattia a chiedere ricovero in un ospedale.
Qui trovano una caterva di preti, di frati, o di monache che si mettono loro dattorno.
Se i disgraziati hanno il torto di pensarla liberalmente stanno freschi! Per essi è perduta ogni speranza di pace, di quella tranquillità che è indispensabile ai malati, che spesso è la migliore delle medicine.
Ora si domanda se in pieno secolo decimo nono sia permesso sottoporre i malati alla tortura.
Già più volte i giornali hanno lamentato simili abusi, che si verificano in taluni ospedali di Roma:
Ma lo sconcio è purtroppo generale, è di tutti quegli ospedali ove l’elemento pretesco predomina.
Tutti i malati a cui, per i loro principi liberali, spetta nell’altra vita – come predicano i preti, l’inferno, debbono subire in anticipata espiazione le pene del purgatorio.
Fra gli altri ospedali citiamo quello dei cronici di Perugia.
Quivi – ci scrive il nostro corrispondente – si trovano ricoverati anche dei veterani, dei vecchi avanzi delle battaglie della patria, che nella loro vita intemerata professano sempre principi di libertà e d’odio al prete.
I reverendi padri che dirigono quell’istituto, e particolarmente padre Gabriele, priore spirituale, pongono tutto il loro entusiasmo nel martirizzare tutti i giorni questi disgraziati vecchi.
Pretenderebbero di farli confessare e comunicare, che assistessero giornalmente ai rosari, prediche, tridui, messe e via discorrendo.
Ma v’ha di più.
Anziché fare in modo che gli ultimi giorni di vita che rimangono ancora i poveri cronici passino il meno peggio possibile, qui sono invece trattati con tutta l’asprezza pretesca e si proibisce persino ad essi di accettare e far passare nello stabilimento qualsiasi sana vivanda che i figli o parenti avessero intenzione di portare ai loro cari.
E’ bene notare che lo stabilimento ha dei capitali rilevantissimi amministrati dalla congregazione di carità: però è tanto quello che si lesina dai frati che per i cronici non rimane che pochissimo vitto e il più delle volte cattivo.
Altra draconiana disposizione è quella di non dare ai vecchi neanche il conforto di confabulare assieme.
Difatti è loro assolutamente proibito di conversare e divertirsi in più di due, ritenendo che al contrario si complotti a danno dei frati.
Le trasgressioni a tale disposizione vengono punite con angherie e vessazioni e con la privazione degli alimenti.
Il rovescio della medaglia è questo: i frati che tanto paternamente curano l’anima, pensano invece molto alla conservazione del loro corpo.
Sarebbe bene che si ponesse termine a tanti deplorevoli abusi preteschi, e che l’on. sindaco Berardi Tiberio, come presidente della congregazione di carità e della società per i veterani, provvedesse per i poveri cronici, parecchi dei quali sono per di più suoi antichi compagni d’arme.

da "Il Messaggero" di Roma, 11 agosto 1988


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