23.1.11

"Limusinante dei povarielli" (di Domenico Straface Palma da Longobucco)


Vincenzo Padula
Vincenzo Padula (1819-1893) nacque e morì ad Acri, in provincia di Cosenza. Prete, poeta e narratore apprezzato da De Sanctis, tra il 1864 e il 1865 redigeva da solo un settimanale, "Il Bruzio", che conteneva la rubrica Stato delle persone in Calabria, inevitabilmente dedicata al cosiddetto “brigantaggio”.
Il fenomeno nella Sila era diffuso già in epoca borbonica, ma ora diventava una vera e propria rivolta guerrigliera ove convergevano la ribellione popolare e sociale contro il nuovo ordine unitario e sabaudo ancora più oppressivo del precedente, l’odio pretesco contro i “frammassoni” che avevano realizzato l’unità d’Italia come annessione, le velleità restauratrici di ufficiali legittimisti dell’esercito del Regno delle Due Sicilie. Si devono a Padula alcune testimonianze di prima mano su Domenico Straface Palma, un contadino ribelle nativo di Longobucco, intorno al quale le popolazioni silane costruirono un vero e proprio mito, chiamandolo “fatato”. Fu  in effetti una sorta di “primula rossa” e tenne a lungo in scacco i carabinieri; venne catturato e fucilato solo nel 1869, quando il fenomeno brigantaggio era già stato domato con grande spargimento di sangue.
Una rievocazione complessiva della leggendaria figura del Palma, di Maria Calderoni, la si può trovare su “Liberazione” del 30 luglio 2002. E lì che ho recuperato questa specie di “coccodrillo”, che la Calderoni ha tratto da un giornale di Catanzaro dei giorni successivi alla fucilazione: "Era reputato di indole poco efferata e sanguinaria. Era contadino laborioso ed ossequiente: fu spinto al malandrinaggio dalle insinuazioni malvage dei tristi, che provocano il brigantaggio per specularvi. Presso il volgo godeva prestigio e popolarità; le donnette favoleggiavano di lui chiamandolo santo, fatato, invulnerabile e invincibile; aveva saputo procurarsi queste false credenze con continuate, generose elargizioni, e tenendo osservanza a un tenore di vita parco e temperato".
Da Persone in Calabria, il libro che, per la cura di Carlo Muscetta, raccolse nel 1967 (Edizioni dell’Ateneo, Roma) gli articoli del Padula su “Il Bruzio”, recupero invece questa sorta di proclama diffuso dal Palma e diretto alla comunità di Rossano Calabro che, per paura e per istigazione di agenti governativi, propendeva per i piemontesi. Vi aggiungo il sapido commento di Vincenzo Padula. (S.L.L.)
Ritratto di brigante, probabilmente del Palma
Lettera ai rossanesi
Ogni cosa alla fine vena (viene) in piano; ogni cosa secreta vena richiarata. Li tradituri sunu canusciuti; li Rossanesi si sunu richiarati.
Tra loru unu consigliu anu faciutu: - Si cacciamu (diamo la caccia) a Palma , nua simo sarvati. Palma lu seppi e si fici na risata. Iu sugnu Palma e sacciu ca mi penne (pende) la capu.
Mi puozzo chiamari Re di la campagna, limusinante dei puvarielli: a chine (chi) fazzu le scarpi a chine lu mantu, a chine comprimientu (regalo) lu cappiellu.
Aju rurici (dodici) cumpagni buoni armati, e balurusi, e mi amanu comu tanti frati. C’era Labonìa, che era statu rispittatu, e ora ci ha misu nu tagliune (taglia); e mo ca stu fattu eni richiaratu, no mi li riguardu chiù li Russanisi, ca mi sunnu nimici richiarati.
- Sa chi vi dicu a vue, Russanisi? No rapportati (riferite) ca vi rovinati. Stu guappu ch’è a Rossanu e si chiama Pietru Vullivulli cu la vucca sua si è avantatu ca mi taglia la capu; ma poco struscio (scroscio) ne sientu de sti paroli. Cu la capu di stu guappune quattro spassi mi vuogliu pigliari; e mi viestu de veru pellegrino; dintra Rossanu lo viegnu ammazzari.
Il Commento di Vincenzo Padula
Questa lettera è un capolavoro, e vi s’incontrano dei versi interi, perché la Siena della Calabria, dove il nostro dialetto si parla con grazia, e i contadini sono naturalmente poeti, è appunto Longobucco.

1 commento:

Marco Vulcano ha detto...

io sono originario di Longobucco...

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