13.6.11

"Itriyya". I primi spaghetti siciliani (di John Dickie)

La pasta secca cominciò ad essere consumata in Italia nel Medioevo, ma anche in questo caso gli italiani con stavano tanto a preoccuparsi dell’esattezza terminologica: il termine più diffuso nel Medioevo per indicare la pasta secca, con molte grafie diverse, era “maccheroni” (una parola che viene dal verbo maccare, che significa pestare o schiacciare), ma veniva usato, con scorno degli storici, sia per indicare paste fresche come gli gnocchi sia per indicare tubetti di farina di grano duro essiccata, rendendo in questo modo particolarmente arduo risalire ai primordi della pasta secca italiana.
E’ facile quindi capire perché i primi storici della cucina italiana imbattutisi nel testo di al-Idrisi si siano gettati con tanto entusiasmo sul passaggio che riporto qui di seguito. Poche righe dopo aver terminato di celebrare le glorie della Palermo di re Ruggero, al-Idrisi ci fornisce la descrizione di Trabia, circa trenta chilometri più ad est, lungo la costa:
A ponente di Termini vi è l’abitato di Trabia, sito incantevole, ricco di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi nei quali si fabbricano i vermicelli (itriyya) in tale quantità da approvvigionare oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani ove se ne spediscono consistenti carichi.
Itriyya è una parola araba di cui conosciamo con esattezza il significato: sappiamo infatti, grazie a un testo di medicina arabo scritto da un medico ebreo che viveva in Tunisia nella prima metà del X secolo, cioè duecento anni prima che al-Idrisi creasse il suo planisfero d’argento, che il termine itriyya già stava ad indicare lunghi e sottili fili di farina essiccata che venivano cotti in acqua bollente. E siamo altrettanto certi che l’itriyya prodotta in Sicilia ed esportata tanto lontano non poteva che essere fatta altro che con farina di grano duro, perché il grano duro era il raccolto più pregiato dell’isola fin dai tempi in cui i Romani sconfissero Annibale. Dopo l’epoca di al-Idrisi, degli italiani adottarono ed adattarono la parola itriyya per definire questo esotico prodotto d’importazione: “trie” designava, e designa ancora adesso, delle sottili strisce di pasta, simili alle tagliatelle. Un altro termine, più prosaico, per definire l’itriyya era “vermicelli”. (La parola “spaghetti”, cioè piccoli spaghi, sarebbe entrata nell’uso solo ai primi dell’Ottocento).
E’ dunque al-Idrisi a citare per la prima volta la presenza della pasta secca nel suolo italiano, ma questo significa che furono gli arabi a inventarla? Un bel po’ di ricettari continuano a spiattellare questa storia, ipotizzando che un popolo nomade come gli arabi avrebbe visto di buon occhio, in quanto nutriente e facilmente trasportabile, un alimento essiccato come la pasta.
La teoria, innegabilmente, è romantica e affascinante: purtroppo, però, si basa su concetti piuttosto pasticciati. Tanto per cominciare, la trasportabilità della pasta la rende idonea a uno stile di vita nomade solo se si dispone di cammelli sufficientemente robusti da trasportare le grosse macine in pietra necessarie per preparare la semola. E tanto per continuare, è ovvio, ma sarà forse il caso di ricordarlo, che non tutti i musulmani e non tutti quelli che parlano arabo sono arabi. Anche se solitamente si parla di dominazione araba della Sicilia, quelli che occuparono l’isola per duecento anni prima dell’arrivo dei Normanni provenivano soprattutto dal Maghreb, erano in maggioranza berberi, e non arabi; ed erano commercianti, non nomadi.
L’itriyya, poi, in origine non è neppure una parola araba, ma la traslitterazione araba di un termine greco. In greco la parola indicava un qualcosa di farina impastata cotto in un liquido: troppo vago per assegnargli un posto sicuro nella genealogia degli spaghetti. Appurare l’esatta origine del piatto più famoso d’Italia, situare in un punto preciso dello spazio e del tempo il momento della sua nascita, prima dell’approdo nel Bel Paese, finisce quindi col rivelarsi un’impresa impossibile. qualsiasi rotta si segua, la preistoria della pastasciutta ci riporta in mare aperto, sulle trafficatissime acque del Mediterraneo.

Da John Dickie, Con Gusto. Storia degli italiani a tavola, Laterza, 2007.

Postilla
Della “storia alimentare” di Dickie in questo blog è già presente una pagina dedicata al planisfero di al-Idrisi.
(http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/01/il-planisfero-di-al-idrisi-il-libro-di.html).
E' la fonte principale della notizia, qui raccontata e discussa, sulla presenza di una fiorente produzione di pasta alimentare secca nel Palermitano già nel 1154.
L’industria pastaria non deve essere mai scomparsa da quelle contrade e la tradizione è rinnovata oggi dalle cooperative di Libera Terra, nate sulle terre confiscte ai mafiosi, che al grano biologico ed alla lavorazione all’antica aggiungono il sapore della legalità. Le spaghettate che ne derivano sono impareggiabili. (S.L.L.)

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