17.7.11

Referendum elettorali. Promotori e sabotatori.

Il giornalista e scrittore Corrado Stajano
tra i sostenitori del referendum Passigli
L’ipotesi di abrogazione referendaria dell’attuale legge elettorale, che sottrae agli elettori ogni libertà di scelta e premia a dismisura la coalizione di minoranza meglio piazzata anche se minoritaria, messa in campo da Stefano Passigli è sostenuta da un gruppo di intellettuali tra i più prestigiosi (fra gli altri Abbado, Asor Rosa, Augias, Gae Aulenti, De Mauro, Eco, Feltrinelli, Gregotti, Maraini, Piano, Pirani, Sartori, Stajano, Valentini, Fisichella, Cardini, Canfora). Essa ha tuttavia incontrato non solo la resistenza passiva di Bersani (cosa prevedibile) ma anche il sabotaggio attivo dei “veltroniani”e dei dipietristi, con una controoperazione referendaria dall’esito altamente improbabile.
Sono pochi i giuristi (in pratica solo i 26 messi in campo da Veltroni e Di Pietro) a dare credito all’opinabile teoria della “reviviscenza” della legge preesistente (in anni anche remoti) in caso di abrogazione secca della legge elettorale attuale. I due quesiti proposti dagli amici di Veltroni saranno pertanto con ogni probabilità dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale per il vuoto legislativo che lascerebbero in caso di approvazione. La verità è che agli inguaribili innamorati del modello amerikano (più sudamericano che nordamericano, ma sempre col kappa) e del leaderismo che lo connota, non importa cambiare legge, va bene persino  l’attuale inqualificabile “porcellum”. Taluni di loro, del resto, hanno abitato nell’attuale sistema elettorale come topi nel formaggio. Veltroni e Di Pietro, per esempio, ci han potuto regalare i Calearo (oggi Consigliere personale del Presidente del Consiglio per il Commercio Estero) e gli Scilipoti (il simpatico peone che non riusciva a pagare il mutuo della sontuosa abitazione). Altri hanno piazzato in Parlamento parenti stretti e segretari particolari e  farebbero salti mortali pur di evitare il ritorno alla preferenza e al potere di scelta del cittadino elettore. Mi stupisce pertanto che Sel e Nichi Vendola abbiano alla fine scelto di sostenere i referendum pro-mattarellum e lo abbiano fatto con una presa di posizione pressoché unanime. A me sembra una manifestazione di tatticismo cieco. L’idea che le primarie di coalizione per il candidato siano la via migliore per affermare una nuova leadership nel centro sinistra ha certo dei fondamenti, ma non si può sacrificare ad essa ogni principio. Il rischio di questa scelta è grave: la sinistra perderebbe ulteriormente consistenza e capacità di frenare le spinte antipopolari del capitale fortissime in questo momento, i cittadini dovrebbero tenersi l’odioso Porcellum e lo stesso Vendola potrebbe rimanere con un pugno di mosche in mano. Torneremo a ragionarci, anche in altre sedi. Intanto piazzo qui, dal “manifesto” del 13 luglio 2011, un bell’articolo del professor Mauro Volpi, di Libertà e Giustizia, costituzionalista di vaglia oltre che amico e collaboratore di “micropolis”, nel quale si spiegano con chiarezza le positive ragioni dei referendum Passigli.

P.S.
Leggo che Di Pietro e lo stesso Passigli tentano di promuovere, non so su che basi, un accordo tra referendari dei due schieramenti intorno all’obiettivo comune di superare il “porcellum”. Mi pare una proposta che fa perdere solo tempo e il tempo per raccogliere le firme non è lungo. (S.L.L.)  
Il professore veltroniano Stefano Ceccanti
uno dei teorici della "rivivescenza"
Il maggioritario va in soffitta
di MauroVolpi 
Nello stato di dissolvimento della fase della Repubblica apertasi nel 1993 e definita impropriamente «Seconda Repubblica» può anche accadere che vengano presentati, su sollecitazione di una componente minoritaria del maggior partito di opposizione, due quesiti referendari, il cui scopo principale è quello di contrastare le tre richieste referendarie, avanzate da Passigli e da vari altri intellettuali, che si propongono di eliminare gli aspetti più negativi dell'attuale legge elettorale: le liste bloccate, il premio di maggioranza, le ridicole soglie di sbarramento previste per le liste che facciano parte di una coalizione.
Gli «argomenti» avanzati per contrastare i referendum Passigli oscillano tra la falsificazione e l'inconsistenza. È del tutto falso che essi produrrebbero il ritorno a un proporzionale puro, analogo a quello esistente prima del 1993. Infatti, in caso di esito referendario abrogativo, la soglia di sbarramento del 4% varrebbe per tutte le liste, mentre l'attuale sistema non solo prevede una soglia del 2% per le liste coalizzate, ma ne salva anche alcune, interne alle coalizioni, che ottengano una percentuale inferiore al 2% (com'è avvenuto nel 2006 per l'Udeur e nel 2008 per l'Mpa). Anche ai tempi del tanto decantato Mattarellum, le liste minori, che avevano ottenuto meno del 4% dei voti nella quota proporzionale, entravano in Parlamento grazie ai propri candidati di coalizione nei collegi uninominali.
Quindi, con buona pace dei maggioritaristi a oltranza, il successo dei referendum Passigli produrrebbe un sistema proporzionale più selettivo rispetto sia al Porcellum che al Mattarellum e molto più simile a quello proporzionale corretto esistente nella grande maggioranza delle democrazie europee. Un secondo argomento sostiene che il primo dei quesiti referendari volto a superare le liste bloccate non riuscirebbe nello scopo e si esporrebbe a un giudizio di inammissibilità della Corte Costituzionale. Non vi è dubbio che, specie in materia elettorale, il referendum abrogativo sia uno strumento imperfetto. Ma il senso dell'iniziativa referendaria è chiaro: restituire agli elettori il potere di scegliere i propri rappresentanti. Quindi il successo nella raccolta delle firme non mancherebbe di incidere su una riforma parlamentare, che resta la via maestra. Ma i referendum pro Mattarellum si espongono molto di più a un giudizio di inammissibilità, in quanto l'idea, disattesa dalla maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, della «reviviscenza» della vecchia legge elettorale in seguito all'abrogazione delle successive norme abrogatici costringe i promotori a presentare dei quesiti il cui esito positivo non produrrebbe affatto un sistema di risulta tale da consentire comunque l'elezione del Parlamento (come richiede la giurisprudenza costituzionale).
Quanto poi all'affermazione che con il Mattarellum gli elettori avrebbero scelto il «loro» deputato, chi ha buona memoria ricorda come, nelle tre elezioni in cui è stato applicato, nella quasi totalità dei collegi uninominali i candidati sono stati imposti dai vertici dei partiti coalizzati senza nessuna voce in capitolo a livello locale né degli iscritti né degli elettori.
Infine, si sostiene che i referendum Passigli tornerebbero ad affidare la formazione del governo ai vertici di partito nella fase postelettorale. In realtà, essi determinerebbero l'ingresso in Parlamento di un numero ridotto di liste (stando ai sondaggi non più di 6) e nulla vieterebbe ai partiti di concordare una futura alleanza di governo sulla base di convergenze programmatiche effettive, e magari anche di scegliere il leader della coalizione con le primarie, mentre non si avrebbero più coalizioni coattive, tenute insieme dall'obbiettivo primario di sconfiggere la coalizione avversaria. È un fatto che nella maggioranza delle democrazie europee l'adozione di sistemi elettorali corretti non esclude affatto le coalizioni né pregiudica la democrazia dell'alternanza.
Ma anche se le coalizioni di governo fossero formate dopo le elezioni, com'è avvenuto perfino nel Regno Unito, patria del maggioritario a turno unico, dove starebbe lo scandalo? Con ogni probabilità avremmo governi più solidi, in quanto formati da un numero ridotto di partiti, e più efficienti, in quanto costituiti sulla base di reali convergenze programmatiche, di quelli che ci ha regalato la «Seconda Repubblica», attraversati da divisioni profonde, instabili (sono stati ben otto tra il 1994 e il 2005 sotto la vigenza del Mattarellum) e dipendenti da maggioranze variabili.
In definitiva è tempo di abbandonare il mito del maggioritario, che ha aperto la strada al leaderismo plebiscitario e all'affossamento di tutti i canali di mediazione tra società e istituzioni; dai partiti politici, ridotti a partiti personali alla ricerca di un leader telegenico, al Parlamento, divenuto organo di mera ratifica e privo di reali poteri di controllo. E allora perché lanciare salvagenti a un sistema agonizzante e sempre più distaccato dalla società, e ad alcuni leader politici sempre meno popolari, anziché staccare la spina e impegnarsi nella costruzione di un nuovo sistema politico-istituzionale più conforme al quadro costituzionale e a quanto avviene nella maggioranza delle democrazie europee?

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