1.9.11

Manovra. La tragedia dietro la farsa. I dilemmi della Cgil.

Di sicuro c’è un aspetto farsesco nella gestione che nel governo e intorno al governo si sta facendo della “manovra”, una manovra che si fa passare per obbligata, in quanto richiesta dalla Banca Centrale Europea in cambio della difesa dei titoli di credito del Tesoro italiano.
La farsa sta nel tira e molla continuo, nelle proposte approvate la sera ed archiviate la mattina, nel gioco delle parti incessante su cui si innalza inesauribile l’ottimismo di Berlusconi, che non si capisce quanto sia manifestazione di stupidità e quanto di irrisione verso i cittadini.
Tuttavia il comico, il ridicolo e persino il giocoso in questo caso non sono fini a se stessi. Hanno piuttosto lo scopo di occultare le due tragedie che si stanno rappresentando: l’una riguarda i lavoratori dipendenti e tutti quei gruppi deboli che nella forza del lavoro avevano trovato sostegno per esigere e ottenere diritti, dai malati agl’invalidi agli anziani; l’altra riguarda l’Italia intera, la sua regressione non in termini di reddito ma di civiltà e la marcescenza delle sue istituzioni. Sono tra quanti pensano che non esista un “caso italiano” separabile dalle sorti del mondo oramai unificato dal capitalismo e che nella prospettiva non dei decenni, ma dei lustri e degli anni, l’alternativa “socialismo o barbarie” riguardi l’intera umanità. E tuttavia in Italia i processi di imbarbarimento appaiono così accelerati che può essere utile guardare alle specificità.
E’ la convivenza civile in tutte le sue forme che sta venendo meno in Italia, in nome dell’“ognun per sé” di territori, di categorie di reddito, di corporazioni e gruppi professionali, di singoli individui. Le ragioni di tutto ciò stanno nella perdita di peso e di centralità politica del lavoro, che negli ultimi trent’anni è stato sconfitto, scomposto, frammentato, privato di identità politica e sociale, ridotto ad appendice. L’unificazione e la crescita dell’Italia negli anni della Repubblica, l’estendersi dei diritti civili e sociali avvenuto soprattutto negli anni Sessanta e Settanta sono stati frutto della forza del lavoro, in primo luogo del lavoro operaio, dei sindacati che l’organizzavano, dei partiti che dal movimento operaio si originavano. La manovra conclude senza neppure dichiararlo un processo di indebolimento e di espropriazione del lavoro, che ha avuto tra le sue cause il cambio di ragione sociale dei gruppi dirigenti della sinistra socialcomunista che hanno preteso di emanciparsi dal movimento operaio e dalle ragioni del lavoro per rappresentare “lo sviluppo” e la "modernità".
Questo processo  ha coinciso con il degrado civile e morale dell’Italia. Le tendenze all’arraffa-arraffa, alla distruzione ambientale, alla polarizzazione sociale, all’immiserimento di territori, caratteristiche di tutti i paesi dell’Occidente a partire dal tempo di Reagan e della Thatcher, sono state qui più marcate, connettendosi con atavici vizi e disfunzioni dei pubblici apparati.
E’ capitato, per esempio, che negli Usa i manager delle grandi compagnie, dopo un insuccesso, acchiappato quanto potevano di buonuscita, uscissero dal giro, mentre qui in Italia, a prescindere da ogni risultato, i maneggioni pubblici e privati con emolumenti e benefit mostruosi sono sempre tutti lì. E’ capitato così che in Italia, alla faccia di ogni accusa verso la casta, il ceto politico si ampliasse nelle dimensioni e aumentasse i propri privilegi. E’ capitato così che le corporazioni più potenti, dai notai ai farmacisti, si sottraessero ad ogni timida liberalizzazione.
E poi le cricche, i comitati d’affari, le tangenti, le mafie che entrano dappertutto, il disastro del trasporto pubblico, la cementificazione selvaggia, legale e abusiva, la scuola scassata, le poste inefficienti, la malasanità.
Un paese allo sfascio, ma nello sfascio c’è stato chi ha guadagnato e arraffato.
Per il lavoro invece precarizzazione, sottrazione di diritti, pensionamenti ritardati con pensioni più basse, ricatti sul posto di lavoro eccetera.
La sostanziale cancellazione delle feste democratiche e del lavoro segnala simbolicamente questa sconfitta. L’abolizione per decreto dei contratti nazionali di lavoro e dello Statuto dei lavoratori, a partire dall’articolo 18, la sancisce sul piano giuridico. Il lavoro in Italia prende una batosta da cui risollevarsi sarà difficile.
C’è lo sciopero del 6 della Cgil, sacrosanto. E probabilmente riuscirà, perché le convulsioni del governo aiutano la riuscita.
Ma è uno sciopero debole. La signora Camusso, per la fregola che ha avuto d’abbracciare la Marcegaglia ad ogni costo, è ora costretta a mettere la sordina sulla parte più assurda e antioperaia della manovra, quella relativa all’abolizione de facto, oltre che dello Statuto dei Lavoratori, anche dei contratti nazionali di lavoro.
E sulle stesse misure finanziarie della manovra la Cgil non sembra in grado di presentare proposte credibili e unificanti in assenza di una sponda politico-parlamentare.
Lo sciopero riuscirà, ma rischia di essere uno sfogatoio e di condannare la Cgil a una più dura e grave sconfitta, se al suo interno non prevarranno le opinioni di quei pochi che hanno chiaro che la partita si gioca ora, nei prossimi giorni. O mai più.       

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