14.5.12

Da Varennes a Brindisi, le monarchie suicide (di Pierre Milza)


L'arresto a Varennes di Luigi XVI e della sua famiglia in un dipinto d'epoca
A commento di due importanti opere storiografiche su Luigi XVI, appena uscite in Francia, Pierre Milza nel 2005 scrisse per il “corrierone” italiano l'articolo di cui riporto gran parte. Contiene un confronto tra Luigi XVI e Vittorio Emanuele III, l’ultimo re d’Italia, a mio avviso puntuale e interessante. (S.L.L.)
L'arrivo a Brindisi di Vittorio Emanuele III di Savoia
Un parallelo tra le scelte di Luigi XVI nel 1791 e di Vittorio Emanuele III nel 1943.
Con la fuga i re infransero il patto che li univa ai loro popoli
Due opere recenti, Louis XVI di Jean-Christian Petitfils e Varennes, La mort de la royauté di Mona Ozouf, hanno rilanciato in Francia il dibattito sulla caduta della monarchia, avviato una ventina d' anni fa da François Furet. La Francia poteva risparmiarsi la fase popolare e terroristica della rivoluzione? Erano ineluttabili la proclamazione della Repubblica e l'eliminazione fisica del re? È davvero inconcepibile immaginare uno scenario che porti all' instaurazione di una monarchia costituzionale? Ricordiamo brevemente i fatti. Il 21 giugno 1791, per sottrarsi alla cattura da parte dei rivoluzionari parigini, Luigi XVI decide di lasciare clandestinamente la capitale, accompagnato dalla regina e dai due figli. Desidera soltanto garantirsi sicurezza e libertà di movimenti, come affermerà durante il processo? O pensa di raggiungere l' armata dei principi, ammassati a Montmédy? È comunque verso la frontiera che egli si dirige, travestendosi da domestico e nascondendosi sotto il patronimico plebeo, molto plebeo, di Durand! Riconosciuto ed arrestato nel piccolo villaggio di Varennes, nell' Argonne, è riportato alle Tuileries e accompagnato da una grande folla minacciosa. A Parigi, è un silenzio impressionante ad accogliere il sovrano. Michelet parlerà di «scomunica del silenzio». A lungo considerata come un evento secondario, la giornata del 21 giugno è oggi ritenuta una data capitale dagli storici. Si ritiene che la monarchia francese, spogliata del suo prestigio, sia morta a Varennes, nel misero scenario di una buvette, dove la famiglia è intenta a consumare la cena. Certo, l' idea che i francesi si fanno del loro monarca e della sua funzione non è più la stessa che si facevano alla fine del regno di Luigi XIV. E il carattere soprannaturale del re, garantito dall' unzione dell' incoronazione, rimane, ma la monarchia è tuttavia impegnata - come effetto dei Lumi - in un processo di razionalizzazione. Lo stesso Luigi XVI fa sempre meno valere il diritto divino e il carattere sacro della propria funzione, per mettere avanti altri fondamenti della propria legittimità. «Nuovo Telemaco», il re ha il dovere d' essere il «padre della nazione», di vegliare sul benessere e sulla felicità nazionali. È quindi un legame naturale, un legame personale, quello che unisce il sovrano ai sudditi, con la conseguenza, per il monarca, di far dipendere la legittimità del potere solo dalle proprie virtù umane, e con il rischio di veder contestare questo potere non appena il proprio comportamento si allontani dal virtuoso ideale. Ebbene, è proprio il divario fra l' immagine idealizzata del «re paterno», buono, tollerante, modesto, vicino al popolo, e quella del fuggitivo di Varennes che segna la rottura del legame coi sudditi. Probabilmente Luigi XVI non aveva premeditato di mettersi a capo dell' esercito degli emigrati. Ma è fuggito di notte dalla capitale, travestito da servo. Ha mentito a chi l' ha riconosciuto, e soprattutto ha abbandonato il suo popolo in piena tormenta rivoluzionaria e mentre si precisava la minaccia di una coalizione di potenze. Infrangendo così il tacito contratto che lo univa al popolo, Luigi XVI ha firmato non soltanto la propria destituzione, seguita dalla propria condanna a morte, ma anche la fine della monarchia. Fra i «crimini» che gli saranno rimproverati dai deputati della Convenzione che siedono in «alta corte» di giustizia, l' abbandono, assimilato al tradimento, occupa un posto importante. Nulla illustra meglio la perdita di fiducia del popolo nel suo re indebolito quanto la sanguinosa manifestazione che si svolge al Campo di Marte, un mese dopo Varennes. Il 17 luglio, infatti, la guardia nazionale spara sui cittadini venuti a portare una petizione in cui si reclama la destituzione del sovrano. L' impulso è dato perché la corrente repubblicana, fino ad allora molto minoritaria, diventi più potente. Numerosi sono coloro che, con Condorcet, cominciano a pensare che il popolo sia maggiorenne e quindi non abbia bisogno di un tutore. Dopo che era stata cancellata la legittimità mistica derivante dall' incoronazione, la fuga mancata del re fa scomparire il carattere personale e domestico della monarchia. Dopo un secolo e mezzo - certo con modalità diverse - è uno scenario identico che prelude alla nascita della Repubblica italiana. Una dinastia che da tempo ha rinunciato alla propria funzione sacerdotale, ma che incarna ancora l' unità della nazione. Un monarca che sembra stia per far dimenticare gli sbagli e le viltà del proprio regno: l' adesione al partito della guerra nel 1914-15, l' appello a Mussolini nel 1922, il silenzio quando fu adottata la legislazione razziale nel 1938. Per quanto il metodo impiegato per mettere in disparte il Duce sia stato poco glorioso, il ruolo che Vittorio Emanuele III ha avuto nella caduta del fascismo è lungi dall' essere marginale. Nell' immenso vuoto politico che ha fatto seguito al crollo del regime e per quanto fortemente screditata dalla propria collaborazione con Mussolini, forse la monarchia poteva ancora occupare un posto onorevole, proponendosi come coraggiosa protettrice del popolo italiano. Invece, il re ha scelto di prendere il largo e di rifugiarsi a Brindisi, accompagnato dal suo corteo di ministri reazionari e di militari d' alto rango. Di questo abbandono, e dei drammi che ne sono seguiti, gli italiani hanno conservato un risentimento che si è esteso all' istituzione monarchica e ha portato al referendum del giugno 1946. Così, se la fuga del re non ha comportato, come è stato detto, la «morte della patria», infrangendo quel che rimaneva dell' attaccamento alla persona del sovrano, finendo per rovinare l' immagine del padre protettore che i Savoia erano riusciti ad imporre con Vittorio Emanuele II e Umberto I, ha offerto, come in Francia, una opportunità storica ai sostenitori dell' idea repubblicana.
(traduzione di Daniela Maggioni)

“Corriere della Sera”, 21 dicembre 2005

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