12.6.12

Da "Requiem" di Anna Achmatova

Requiem fu scritto da Anna Achmatova tra il 1935 e il 1940, al tempo delle “grandi purghe” che seguirono l’uccisione di Kirov, dette in Russia anche “ezovscina” (epoca di Ezov) dal nome del capo della polizia politica Ezov (poi sostituito da Berja). Anche un giovane figlio di Anna venne arrestato. In Requiem si raccontano i diciassette mesi trascorsi in fila dinanzi al carcere Le Croci di Stalingrado insieme ai parenti degli altri detenuti in attesa di notizie e di sentenze. Qui riporto l’epigrafe, del 1961, tempo della pubblicazione, la sorta di prefazione che la segue, scritta il 1° aprile del 1957, quando il “disgelo” voluto da Khrushev apriva le porte alla pubblicazione, e la dedica del 1940, composta al termine del poema. La traduzione è di Evelina Pascucci ed è tratta da Anna Achmatova, Io sono la vostra voce..., Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1990.
Il carcere Kresty (Le Croci) di San Pietroburgo, già Leningrado

Da Requiem (1935-1940)

No! Non sotto estraneo cielo,
Non sotto ali straniere a difesa,
Ero con il mio popolo allora,
Là dove esso era, per sciagura
1961

IN LUOGO DI PREFAZIONE
Negli anni terribili della "ezovscina" io trascorsi diciassette mesi in code d'attesa fuori del carcere, a Leningrado. Un giorno qualcuno mi "riconobbe".
Allora una donna dietro di me, con le labbra livide, che certamente in vita sua mai aveva sentito il mio nome, riprendendosi dal torpore mentale che ci accomunava, mi domandò all'orecchio (lì comunicavamo tutti sottovoce): "Ma lei questo può descriverlo?".
E io dissi: "Posso".
Allora una specie di sorriso scorse per quello che una volta era il suo viso.
I° aprile 1957 Leningrado

DEDICA
Le montagne si piegano dinanzi a questa ambascia,
Non scorre l'ampio fiume,
Ma del carcere sono saldi i chiavistelli,
Le "tane della catorga" al di là di quelli
E mortale un'angoscia.
Per qualcuno aleggia fresco il vento,
Per qualcuno è diletto il tramonto -
Noi non sappiamo, siamo ovunque le stesse,
Solo sentiamo delle chiavi l'odioso cigolio
E dei soldati i pesanti passi.
Ci levavamo come per la prima messa,
Andavamo per la Capitale in stato di abbandono,
C'incontravamo là, più inanimate dei morti,
Più basso il sole, la Neva più nebbiosa,
La speranza pur sempre canta, ascosa.
La condanna... E in una prorompe in lacrime,
Da tutti ormai separata,
Come se le cavassero la vita dal cuore con dolore,
Come se brutalmente l'atterrassero,
Ma cammina... Vacilla... Sola.
Dove sono ora le spontanee amiche
Di questi miei dannati due anni?
Che cosa appare loro nella tormenta siberiana,
Che cosa sembra loro di vedere nel disco della luna?
A loro invio il mio saluto d'addio.
Marzo 1940

2 commenti:

Falilulela ha detto...

Leggendo, mi ritrovo tra quelle donne, davanti a quel carcere, con dentro la stessa angoscia, il dolore, la speranza... Anna Achmatova "può"
filtrare le emozioni attraverso le parole, conservandole e facendole arrivare fino a me (a noi). Intatte.
E'il potere della memoria...

Salvatore Lo Leggio ha detto...

E' il potere della memoria. Ed è il potere della parola poetica, cui non a caso fu affidata la funzione di conservare le memorie.

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