25.6.12

1943. Benedetto Croce su Benito Mussolini

In una sorprendente pagina del diario di Benedetto Croce, scritta il 2 novembre 1943, ancora vivente Mussolini, si può leggere quanto segue. Credo che i giudizi che esprime e le considerazioni che ne deriva possano utilmente applicarsi a Berlusconi, che è anche lui un morto che parla, anche se nessuno ne annuncia la morte. “La tragedia che si ripete in forma di farsa” si sarebbe tentati di dire citando Marx, se i disastri nel nostro disgraziato paese non fossero tanti e gravi come sono.  (S.L.L.)
Riflettevo stamani che quasi da nessuno si parla più del Mussolini, neppure per imprecare contro di lui. La stessa voce che di tanto in tanto circola, che egli sia morto, comprova che è veramente morto nell'anima di tutti. Anche a me di rado sale dal petto alcun impeto contro di lui al pensiero della rovina a cui ha portato l'Italia... Né per niun conto so risolvermi a scrivere della sua persona, non solo oggi, ma anche trasferendomi con l'immaginazione in un tempo più calmo e di rinnovate speranze.
Ma pure rifletto talvolta che potrà ben darsi il caso, e anzi è da tenere per sicuro, che i miei colleghi in istoriografia (li conosco bene e conosco i loro cervelli) si metteranno a scoprire in quell'uomo tratti generosi e geniali, e addirittura intraprenderanno di lui la difesa, la «Rettung», la riabilitazione, come la chiamano, e forse anche lo esalteranno. Perciò mentalmente mi indirizzo a loro, quasi parlo con loro, colà, in quel futuro mondo che sarà il loro, per avvertirli che lascino stare, che resistano in questo caso alla seduzione delle tesi paradossali e ingegnose e «brillanti», perché l'uomo, nella sua realtà, era di corta intelligenza correlativa alla sua radicale deficienza di sensibilità morale, ignorante, di quella ignoranza sostanziale che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile, incapace di autocritica al pari che di scrupoli di coscienza, vanitosissimo, privo di ogni gusto in ogni sua parola o gesto, sempre tra il pacchiano e l'arrogante.
Il problema che solo è degno di indagine e di meditazione non riguarda la personalità di lui, che è nulla, ma la storia italiana ed europea, nella quale il corso delle idee e dei sentimenti ha messo capo alla fortuna di uomini siffatti.

Da Taccuini di Guerra 1943-45, Adelphi, 2004

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