24.3.13

Tommaso Landolfi e la vergine nera (Aurelio Andreoli)


Tommaso Landolfi (in primo piano) con Vitaliano
Brancati a Roma, in una serata di tramontana 
Una curiosa e ricca intervista a Tommaso Landolfi, sicuramente utile a meglio definire la poetica di questo straordinario e poco conosciuto scrittore del Novecento italiano. (S.L.L.)
Tommaso Landolfi a Sanremo con la moglie
Maria Grazia e i figli Isolina e Landolfo
Già due volte mi ero fermato a Sanremo senza riuscire a vederlo. Mi avevano detto che viveva in albergo con la giovane moglie e con i due figli. O forse in una villetta della costa, non lontana dall'albergo, da cui dipendeva per i pasti, per la posta, per dirottare gli scocciatori. L'ultima volta, nella primavera del '78, arrivai in quell’alberghetto ben situato, pulito, che ospitava solo poca gente, e avevo fissato la camera per due o tre giorni. Alle dieci di sera, quando già rinunciavo ad attenderlo, lo vedo seduto tranquillamente nella saletta della TV. Carlo Bo diceva che Landolfi poteva sembrare uno scrittore francese fine '800, un decadente come Huysmans o Villiers de L'Isle Adam. Invece pareva un maggiore a riposo, oppure un borghesuccio calmo e gentile, vestito di grigio a righe. Mi ricordai di un vecchio trucco che funzionava bene in circostanze analoghe. Sarei stato uno studente un po' maturo che doveva preparare la tesi in letteratura italiana. Lo scrittore fu gentile, a dispetto della sua estrema freddezza, e mi accompagnò in una villetta non lontana dall'albergo. Ripagavo la sua cortesia inserendo il congegno del registratore nella tasca interna della giacca.
Parlò della sua tesi su Anna Achmatova, nel '29. Disse che si sentiva un dilettante in tutto tranne che per il suo lavoro di russista e di traduttore dal francese. Raccontava come la sua aspirazione fosse la critica letteraria più che la creazione romanzesca. Così aveva risentito per tutta la vita di quel "fato malvagio" che incombeva sulla vita letteraria russa. Osservavo i libri. Volumi dai caratteri cirillici, e accando traduzioni curate dallo stesso Landolfi di Puskin, Gogol, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Bunin, Ehrenburg, Pasternak, Belyi.
"Pensavo di suicidarmi - disse - ma ne sono stato trattenuto guardando i russi, che erano più infelici di me, provandone pietà". Poi, quasi a sminuire la gravità della confessione: "Mi occorre di restare in pace, a Sanremo non mi conosce nessuno, sono un tipo nevrastenico. Qui l'aria è così dolce che impedisce di morire".
"Agli amici che mi domandano perché ho lasciato Firenze per la costa ligure, non posso rispondere che sono venuto qui a nascondermi. Mi sono sempre chiesto che cosa avrei fatto a sessanta o settant'anni. Fino ai cinquantanni si può essere ancora un polemista, oppure un dandy, uno scrittore di mondo. Dopo i sessantanni, chi esercita il mestiere dello scrivere, deve accettare un esilio popolato di fantasmi. La mia solitudine è perfetta. Ma che importa? Dovrei forse prestarmi a una confessione in pubblico?"
Come scrittore professa un'estetica?, gli chiesi.
"No. Se l'avessi avuta, tutto il passato non mi tornerebbe in mente come un periodo sprecato. La mia esistenza si è condensata attorno a un vuoto centrale, a un'attività invisibile che prendeva il nome di letteratura. Ma ne sono stato tragicamente ripagato. Eppure non ho mai tentato di disfarmene, di cambiare mestiere".
"La condizione attuale di uno scrittore, di un poeta, se egli veramente è tale, si avvicina molto a quella di un proletario. Era la sorte di Saba, Ungaretti, Penna; è il caso oggi di Elsa Morante, di Anna Maria Ortese".
"Come scrittore mi piacciono le ripetizioni nella trama, le varianti, le simmetrie... Una mia passione, il gioco, non tanto quello di azzardo, quanto il gioco con le parole, e da qui una mia eccessiva 'verbigerazione'...
"Lo scrittore è spesso un giocatore, che guida i lenti pezzi, ossia le righe nere sulla pagina bianca prima della scrittura. Ma anche la scacchiera del gioco è un riquadro fatto di due colori, nero e bianco, con le astute pedine: torre, cavallo, regina, re, alfiere... È un rito antico quanto il gioco dello scrivere. E la mano del giocatore (come quella dello scrittore) va conducendo il gioco. J.L. Borges ci ricorda che il giocatore (come lo scrivano al suo tavolo) è prigioniero di un'altra scacchiera, quella impalpabile del tempo, fatta di bianche giornate e nere notti".
"Il pubblico è inclemente con lo scrittore - preseguiva - che ricorda solo per l'ultimo libro. Accertata la mia condizione di 'minore', ho preferito abdicare. La società dei letterati ha fatto il resto".
Spinto dall'urgenza del suo male (l'asma che lo conduceva alla fine) accelerava la stessa conversazione, temendo forse di non poterla condurre a termine. Sedeva come un manichino di stoffa, ironico e amaro. Eccessivo talvolta quel suo gonfiore retorico. Così quei monologhi e fumismi. Scrittore-rèveur, per il quale l'universo è un enigma cifrato, e il mondo esiste solo per diventare racconto.
Chiesi: quale è la costante di uno scrittore? Disse:
"È la legge della menzogna, contradditorietà, astrazione, indifferenza, talvolta del rimorso, spesso la disperazione. È un lutto senza ragione, come una sensazione di vuoto, anche questa ricollegabile al processo di lutto.
"La noia pone il problema delle disillusioni - diceva. - Moravia ci ha insegnato che il soggetto si annoia quando vive il proprio ambiente come povero di stimoli. I suoi personaggi non trovano la vita amara ma vuota.
"Ma è noia anche la mediocrità piccolo-borghese, la piattezza quotidiana, la superficialità, la viltà e la paura. In questo nessuno di noi intellettuali è incolpevole. In circostanze diverse nulla ci renderebbe così grandi come un grande dolore. Ma per arrivare dalla noia, dalla perdita di speranza, al suicidio, occorre una interiorizzazione completa dell'istinto distruttivo. Da noi c'era riuscito Pavese, c'era riuscito Guido Morselli". "In alcuni di noi invece la mediocrità è la nostra seconda natura. È così per tutti. Accade che una parte di noi, proprio la peggiore, debba continuare fino alla fine a sopraffare la migliore".
Rabbuiandosi disse di non amare il mondo dei letterati, per questo di non essere riamato dai critici e dagli scrittori contemporanei. La collaborazione per il "Corriere della Sera", l'esclusiva con Rizzoli per le sue opere? Un modo come un altro per sopravvivere, per sé, per la giovane moglie, per i figli ancora piccoli.
Tutto qui? Voi intellettuali siete solo questo, non c'è altro? Fissava l'interlocutore in modo indefinibile, ed esercitava una sorta di suggestione sulla sua credulità. Aveva il gusto della citazione breve. Frasi come questa: "Li riconoscerete dai loro frutti", riguardo alla afasia in cui versano certi scrittori contemporanei. Un cenno alla Morante: "consolatrix afflictorum", consolatrice degli afflitti. Per Pasolini citava Holderlin: "La violenza e l'amore lo avevano sconvolto, e la ragione brillava sulle rovine del suo cuore come l'occhio di uno sparviero che si posi su un palazzo distrutto".
Ricordava come i suoi amici migliori fossero stati i letterati dell'ambiente fiorentino, tra il '30 e il '40: Enrico Poggioli, Giansiro Ferrata, gli amici delle riviste "Solaria" e "Letteratura", Carlo Bo, Antonio Delfini, Romano Bilenchi, Eugenio Montale anch'egli presente a Firenze dal '27 al dopoguerra. "Nel '40 venivo fuori da un'ennesima traduzione dei russi. Mi atteggiavo anche nei modi a scrittore russo dell'Ottocento (Cechov ?). Quando ero a tavola con gli amici, mi annodavo attorno al collo la salvietta; le due punte dietro alle orecchie mi davano l'aspetto di un timido coniglio. 'Sembri un coniglio bianco', mi diceva Elsa Morante. Avevo letto proprio in un racconto slavo di una donna: Bozena, Bozena-la boema. Così Elsa divenne Bozena. Ma lei non veniva avanti: aspettava di essere chiamata col suo vero nome. Le gridavo: 'Bozena, la giovane boema di una volta'. Elsa veniva verso di noi, porgendoci quel suo viso di Vergine Nera".
Squillava il telefono. "Non ci sono per nessuno - raccomandava - Capito? Per nessuno". E riguardo all'isolamento che si imponeva come scrittore: "Giocando a fare il fantasma si diventa un fantasma". E ancora Carlo Emilio Gadda, uno spirito non dissimile: "...un saggio che rideva soltanto tremando".
Come esempio di psicologismo nella nostra poesia citava Montale: "Tu gli appartieni / e non lo sai. Sei lui, ti credi te". Ma non volle illustrare meglio il meccanismo delle identificazione ed introiezione in Montale.
E quello di indole migliore?, fu la domanda. "Saba. Per la locuzione seguente, ripresa da Shakespeare: 'Non esistono colpevoli, solo sventurati'."
Che cos'è dunque la condizione dei letterati, la letteratura? "La patria dell'irrealtà e dei cercatori di felicità - diceva - la letteratura è uno specchio d'ombre. I letterati non sentono le proprie colpe, le proprie viltà, perché invocano continuamente l'alibi della letteratura, perché credono di respirare una diversa atmosfera".
Soffriva nella conversazione di una vera e propria ossessione verbale, nevrosi letteraria, ricerca del termine, della frase..., una sorta di parlato-recitato, di parlato-scritto. Interrogato sull'origine psicoanalitica di una parte della sua tematica, si divertiva a citare Poe: "Vi sono segreti che non vogliono essere svelati"; oppure Pascal, accennando così alle sue fonti francesi, accanto a quelle di russista: "...ma l'altro pensiero, il pensiero dietro la mente". Lo avresti detto un attore, un alchimista, più che uno scrittore lunatico che viveva nella realtà trasfigurata della letteratura. Ma un esempio fortunato di scrittore che viveva facendo lo scrittore.
Gli chiesi dei letterati fiorentini e toscani che erano stati suoi amici: Palazzeschi, Pratolini, Cassola, Tobino, Luzi. Ricordava come negli anni Cinquanta avesse raccolto un'Antologia dei poeti lirici francesi in collaborazione con Luzi. Ricordava soprattutto il suo amico Aldo Palazzeschi, e quella sua "ironia tipica in un toscano, o peggio, in un fiorentino". Non gli mancava il senso della grandezza del 'piccolo', del quotidiano. Mi diceva sempre che un'anziana governante può valere molto più di Saffo o di Mme de Stael, di Platone o di Freud".
Un cane abbaiò. Una volta. Una seconda volta. "Zitto Brock, andiamo - disse - è ora di dormire". Seguì un profondo silenzio. Landolfi ascoltava. "Non ho alcun bisogno di fare le smorfie da misantropo d'una volta - commentava - poiché esse sono diventate la mia stessa faccia". Pareva quasi la proclamazione di un'estetica: "Come sempre, piego la testa sul mio lavoro, in silenzio. La posizione eretta mi pare oramai un portamento innaturale. Difatti cammino e sono preso da vertigine, sbando. Solo quel silenzio. All'infuori di esso tutto è insipido e vile. Da molti anni dormo poco: è un sonno pesante senza sogni.
"Vede, noi scrittori inventiamo continuamente. Noi inventiamo la vita invece di viverla. C'inventiamo anche il bene sommo, la bellezza, la giovinezza. Vede, due ore fa, per un racconto, immaginavo una casa di pietra. Cercavo nell'aria un appoggio invisibile. Mi resta ancora una casa in provincia di Frosinone. Una grande stanza si apriva sul vestibolo, stanza dove restavo a scrivere, nell'ultimo autunno, durante le lunghe ore piovose, odorose di mosto, di torchi e di nebbia... Quante volte ho descritto con altri nomi quella campagna dove l'estate faceva posare il suo delirio. Così, oggi, ripensavo alle persiane che battono, alla luce che entra nella camera a fiotti..., alle tende semichiuse, alla tavola preparata, ai piatti a fiori...; le voci che sussurrano, un silenzio soave... Vede, era quella la cornice crepuscolare da cui partì il mio Racconto d'autunno ...
"Noi scrittori oggi non abbiamo alcun posto e non apparteniamo a nessuno. Siamo sempre alla ricerca di un editore meno bécero dell'altro - io 'appartenevo' a Vallechi e poi a Rizzoli - siamo pronti sempre a pietire un lettore in più. Osservavo con un'acuta disperazione i ragazzi che corrono a scuola in gruppi, legati a un orario ben preciso, coi libri sotto il braccio, per prepararsi a un lavoro e a delle responsabilità. Noi intellettuali invece non siamo mai usciti dall'infanzia. Preferiamo restare soli, prigionieri delle nostre carte, dei nostri quaderni, a trastullarci con le penne, senza un orario prefissato, soli, a confrontare le nostre bibliografie, il lessico nelle varie lingue. Non cerco di nascondere il panico. Poiché questo è un enigma della psiche, forse peggio, un vincolo mortale".

Da “Linea d’ombra” n.4, febbraio 1984

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Sarebbe opportuno dire che l'intervista è immaginaria. La rete è una gran bella cosa, ma sempre più spesso si rischia di accreditare per vere cose nate dalla fantasia dei singoli internauti.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Gentile Anonimo,
a me l'intervista che ho diffuso in rete sembrava e continua a sembrare assolutamente vera, nè c'era - sulla bella rivista dalla quale l'ho trascritta, la "Linea d'Ombra" diretta da Goffredo Fofi -alcuna indicazione o alcun altro segno evidente della sua natura immaginaria. E' possibile che io sia stato tratto in inganno e che altri siano tratti in inganno dalla lettura. Il che proverebbe che la finzione letteraria (se di ciò si trattasse) funziona ugualmente bene sia sulla carta stampata che nella rete, almeno per lettori innocenti come io sono. Non per lettori furbi e scafati come lei, naturalmente, illustre anonimo.

Anonimo ha detto...

Gentile Lo Leggio,
mi dispiace che si sia adombrato. Non è questione di essere “furbi e scafati”, ma semplicemente di conoscere l'opera, la bibliografia e la biografia del Nostro. E questo insieme stride palesemente con il pezzo da lei riportato.
A proposito, l’intervista viene firmata anche da un certo Sergio Falcone http://sergiofalcone.blogspot.it/search/label/tommaso%20landolfi. Un signore sconosciuto alla critica letteraria tanto quanto il suo Aurelio Andreoli.
Ossequi da Anonimo

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Gentile anonimo, mi spiace che le sia dispiaciuta l'espressione "furbi e scafati", modo alla buona per dire "acuti e competenti", e non "innocenti", cioè "dilettanti". Come che sia, alla sua bibliografia deve essere sfuggita quella intervista che ho creduto (e in fondo continuo a ritenere) vera. Fu pubblicata sulla "Linea d'Ombra" diretta da Goffredo Fofi, a quel tempo periodico quadrimestrale con formato quaderno, nel n.4 del 1984, a firma Aurelio Andreoli.Il suo Falcone è dunque, probabilmente, un plagiario. Trattandosi di rivista importante, può trovarne copia nelle maggiori biblioteche pubbliche. Se vorrà, recapitandomi un suo indirizzo elettronico, dopo il 5 aprile, quando sarò rientrato a casa da una breve vacanza, potrò farle dalla mia privata raccolta copia elettronica dell'articolo, della copertina, del sommario e delle notizie sull'autore dell'articolo che la rivista sistematicamente forniva. In una bibliografia che tende alla completezza,non dovrebbe mancare notizia di un'intervista, anche se giudicata immaginaria, pubblicata su una rivista di discreta diffusione e sicura qualità, seppure non accademica.

Anonimo ha detto...

Gentile Lo Leggio,
ho fatto qualche veloce ricerca su internet e sembra che il “plagiario” non sia Falcone; parlando di Aurelio Andreoli, egli, il 9 febbraio 2013, scrive: “Alcune di quelle interviste furono pubblicate a suo nome. Ma l'autore ero io…Alcune sono andate smarrite, altre hanno trovato posto in uno dei miei blog” (http://perbeno.myblog.it/archive/2013/02/09/sergio-falcone-f-acevo-da-garzone-di-bottega-di-aurelio-andr.html). E cosa scrive Falcone nell’incipit che le ho mandato? “…mi venne in mente di scrivere la storia di una intervista con Landolfi”. Quindi inventata, come ho cercato di spiegarle fin dall’inizio.
A differenza di Andreoli, Falcone è vivo e vegeto ed è facilmente rintracciabile per avere tutti i chiarimenti del caso.

Se poi continua ad avere dei dubbi, cerchi di rispondere a queste domande:
-perché l’intervista fatta nel 1978 è stata pubblicata nel 1984, quattro anni dopo la morte di Tommaso Landolfi?
-Perchè Andreoli non ha dato subito l’intervista a “Paese sera” o a “La voce repubblicana” (giornali con i quali collaborava) o, ancor meglio, al “Corriere della sera” (sul quale scriveva Landolfi)? O non l’ha fatto subito dopo la morte dello scrittore nel 1979? Non crede che così facendo l’autore dell’intervista avrebbe potuto trarne un vantaggio maggiore in termini di visibilità professionale rispetto a una rivista diffusa in poche centinaia di copie?
-Perché l’arguto e intelligente Tommaso Landolfi, che si è sempre rifiutato di farsi intervistare dai più famosi giornalisti, si sarebbe bevuto la storiella dell’attempato studentello trentaquattrenne (sembra che Andreoli sia nato nel 1944 - http://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=8122)?
-Come è possibile pensare che la tecnologia di un registratore del 1978 inserito in una tasca potesse funzionare a dovere?
-Perché Goffredo Fofi quando ha parlato di Tommaso Landolfi in “Strade maestre: ritratti di scrittori italiani” (Donzelli, 1996) non ha ricordato questa intervista, questo scoop che lui stesso aveva pubblicato?

Quelli qui descritti sono solo gli aspetti oggettivi, esteriori, più evidenti della vicenda, più immediati, quelli che contraddicono il carattere di autenticità del pezzo. Avrei ugualmente potuto dimostrarle tramite l’analisi del testo, comparato alla biografia e alla poetica, la completa invenzione narrativa.
Del resto quella delle interviste inventate è un genere ampiamente riconosciuto e che gode, quando è dichiarato, di una certa considerazione. Diverso è il caso di quei signori che spacciano per vere conversazioni mai avute con famosi personaggi. Campione di questo secondo genere è senz’altro Tommaso De Benedetti, il figlio di Antonio e il nipote di Giacomo che ha pubblicato su importanti quotidiani ipotetiche conversazioni avute con famosi letterati e premi Nobel. Nel nostro caso, non so cosa sia avvenuto. Ma so con certezza che l’intervista non è autentica.

Faccia quello che ne vuole delle mie considerazioni, ma si ricordi che “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.
Ossequi da Anonimo

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Nonostante la mia innocenza, conosco il genere dell'intervista immaginaria e/o inventata e non insisto nella rivendicazione sull'autenticità. Sulle sue argomentazioni logiche basate sul tempo e sede di pubblicazione ho qualche perplessità (nella vita delle persone esistono ingorghi e stranezze), ma non ho argomenti da opporre alla sua dichiarata competenza biobibliografica, pertanto taccio. La ringrazio, invece, di aver arricchito il blog che alimento con la vicenda del Falcone, sedicente ragazzo di bottega, che rivela essere sue le interviste firmate dall'Andreoli, il quale, verosimilmente defunto, non appare in grado di esporre la sua versione. Un intrigo nel sottobosco. Immagino che il Nostro Landolfi, ovunque egli sia (o non sia) e comunque siano (o non siano) andate le cose, ne stia ridendo. A modo suo.

antonino ha detto...

Anonimo scrive: Avrei ugualmente potuto dimostrarle tramite l’analisi del testo, comparato alla biografia e alla poetica, la completa invenzione narrativa

E davvero sarebbe interessante: perché non ci fornisce qualche elemento di riflessione?

Personalmente, stando agli elementi esterni, trovo significativo il silenzio della figlia Idolina nel profilo biografico premesso al primo volume delle opere complete edite da Rizzoli.

L'intervista è stata pubblicata nel 1984, il profilo biografico nel 1991: sono una manciata di anni, pochi per dimenticare un "evento" del genere.

Invece nel merito della biografia, secondo scrive Idolina: "a marzo del '78 [...] il terzo ricovero, sempre a San Remo, per un nuovo, più grave attacco di cuore: ripresosi, persevera tuttavia - poiché non vede alternativa - nella volontà di solitudine e isolamento. [...]".

Parole che ci fanno immaginare, in quella "primavera del 1978" ricordata nell'intervista, un Landolfi ancora convalescente e non ben disposto a occasionali incontri.

Ma non sono "prove" naturalmente.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Gentile Anonimo,
da dilettante, per quanto appassionato, non insisto. Accolgo le sue osservazioni come un contributo di riflessione e torno a ringraziarla per aver animato con la sua passione di studioso il blog che alimento. Buona Pasqua

antonino ha detto...

Il mio era un invito ad "Anonimo" di darci qualche informazione in più...essendo io Antonino (quasi un anonimo quindi stando alla composizione del nome ma non "Anonimo") :-)

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Gentile Antonino,
mi scusi per l'errore di lettura. Ancora grazie per l'intervento ed auguri per la festa imminente

Camilla ha detto...

Gentile Lo Leggio, ho provato senza esito a recuperare la rivista da lei ricordata, anche attraverso il servizio Opac Sbn. Se la sua offerta di inviarmi la scansione del materiale è ancora valida, l’accetterò molto volentieri ringraziandola fin d’ora per la sua disponibilità. Ecco il mio indirizzo e-mail: camilla2004_m@libero.it.
Grazie ancora e a presto da Camilla (alias Anonimo).

Anonimo ha detto...

Gentile Salvatore Lo Leggio,
le posso chiedere da dove sono tratte le foto e le didascalie?
In particolare per la foto familiare che io conoscevo ma con nomi diversi sia per la moglie che per la figlia.

Grazie,
Antonino

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Entrambe sono state ritagliate dalla rivista "La Scrittura", anno I n.2 della primavera 1996,Antonio Stango Editore, una cui sezione è interamente dedicata a Landolfi. La foto con Brancati è ripresa dal "Mondo" del 12 febbraio 1954 (nella foto intera c'è anche Moravia). La foto familiare provenie probabilmente dall'archivio privato di Idolina Landolfi, figlia dello scrittore, che della rivista era direttrice responsabile. Anche per questo credo corretta la didascalia che ho puntualmente ripresa.

antonino ha detto...

Grazie. Ho anche io il numero de La scrittura che cita ma la didascalia è diversa (Idolina invece di Isolina, Maria Luisa invece di Maria Grazia). Senza fretta, può verificare?

Scusi se le faccio perdere tempo su questi dettagli.

Buon primo maggio.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Controllerò dopo il 10, quando tornerò in Sicilia dove conservo la rivista. A naso - visto che lei ha potuto verificare sulla sua copia - dovrei aver sbagliato io nel ricopiare. Ma controllerò ed, eventualmente, correggerò.

Anonimo ha detto...

Grazie.

Ti segnalo che questa intervista è citata (dunque ritenuta autentica) da Valeria Pala nel suo "Tommaso Landolfi traduttore di Gogol", Bulzoni 2009, pag. 55.

Naturalmente non sappiamo cosa ne pensi l'autrice oggi.

Ciao,
Antonino

Anonimo ha detto...

E comunque l'intervista era nota anche prima d'esser pubblicata su Linea d'ombra nel 1984, non è uno scoop di Fofi. E' citata, purtroppo senza dichiarare la fonte ma le modalità e i due brevi stralci riportati corrispondono, in un pezzo di Delfina Vezzoli pubblicato sul numero 28 di Frigidaire, marzo 1983. Però in questo caso si colloca il tutto ad inizio '79, il che è curioso visto che nell'intervista di Andreoli (o pseudo) il riferimento al 1978 è chiaro.
Le chiedo gentile Lo Leggio: nella rivista in suo possesso non si dice se l'intervista era già stata pubblicata e dove?

A questo punto sarebbe molto utile rintracciare la pubblicazione originaria.

Grazie,
Antonino

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Nell'intervista pubblicata su Linea d'ombra (numero chiuso in tipografia il 1° febbraio 1984) il riferimento cronologico è chiaro: "nella primavera del 1978". Non trovo accenni a pubblicazioni precedenti e tutto lascia pensare a un testo fino ad allora inedito. Potrei ipotizzare che la Vezzoli su "Frigidaire" leggesse un testo ancora da rimaneggiare. Forse nel manoscritto c'era un errore che venne poi corretto o forse avrà sbagliato la redattrice di Frigidaire nel copiare. Quanto lei scrive mi conferma nella convinzione che il caso ha voluto costruire intorno a codesta intervista un intrigo di misteri e nell'ipotesi che Landolfi, ovunque egli sia o non sia, stia ridendo di ciò.

Anonimo ha detto...

Grazie a Salvatore e Antonino per il prezioso materiale e l’utilissima segnalazione. Come preannunciato alcune brevissime considerazioni per chiudere la partita; ne avrei potute fare molte altre ma ho desistito per l’evidente muro di gomma opposto dal comunque ammirevole Lo Leggio (chi propone Landolfi lo è sempre).

Secondo Andreoli, Landolfi avrebbe detto: “Avevo letto proprio in un racconto slavo di una donna: Bozena, Bozena-la boema. Così Elsa (Morante) divenne Bozena…Le gridavo: 'Bozena, la giovane boema di una volta'. Elsa veniva verso di noi, porgendoci quel suo viso di Vergine Nera".
Ho qui davanti il volume L’AMATA, appena uscito per Einaudi, contenente le lettere da e a Elsa Morante. Il tono e i contenuti di quelle scambiate con Landolfi sono quanto di più lontano ci possa essere da quelli confidenziali e scherzosi ricordati nella supposta intervista.

E ORA LA PROVA SCHIACCIANTE. Andreoli avrebbe visto le “traduzioni curate dallo stesso Landolfi di Puskin, Gogol, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Bunin, Ehrenburg, Pasternak, Belyi.”…UDITE, UDITE, LANDOLFI NON HA MAI TRADOTTO EHRENBURG, PASTERNAK E BELYI.

Che di questo non se ne sia accorta nella sua tesi di dottorato Valeria Pala (che ha trattato proprio le traduzioni dal russo di Landolfi), o i suoi tutori, non può che confermare a quale livello sia arrivata la cultura universitaria in Italia e quanto sia giusto diffidare anche dei venerabili maestri/e.

A presto da Camilla

Ps
La moglie di Landolfi si chiama Maria Luisa, il figlio Landolfo (detto Tommaso) e la figlia Maria (detta Idolina). L’immagine dell’allegra famigliola è stata fatta da un fotografo in occasione di un servizio giornalistico uscito su una rivista a larga diffusione (non ricordo però quale).

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Camilla mi ha convinto. Credo che abbia ragione. Dopo le sue ultime considerazioni l'intervista pare anche a me inventata, se non in toto almeno in grandissima parte. Resta il fatto che Andreoli (ma è Andreoli?) non trae in inganno solo me che sono - dichiaratamente - solo un ammiratore di Landolfi per nulla esperto in landolfologia. Trae in inganno anche Fofi direttore di Linea d'ombra(o chi per lui), al punto che il testo non è corredato dalla biografia del misterioso Andreoli, ma da quella di Landolfi, come la rivista usa fare quando le interviste sono autentiche. Trae in inganno, a quanto scrive Antonino, anche Delfina Vezzoli di Frigidaire che cita da chissà dove (io la immagino in possesso del manoscritto inedito). Inganna la dottoranda i cui venerabili maestri (bellissima battuta, si tratta di una vera massoneria), com'è d'uso non sanno e/o non controllano. E poi c'è il misterioso Falcone che si attribuisce l'intervista del misterioso Andreoli che non conferma e non smentisce (forse morto, relativamente giovane?). Insomma, a parte la mia resistenza, qualche mistero intorno all'intervista resta. Essa comunque non rientra nel genere dell'intervista immaginaria, quella che come tale si presenta, caso mai è da inserire nella fattispecie della truffa letteraria. Spero che la gentile Camilla, la quale è tosta ed esperta, prima o poi ci sveli i misteri della nascita e della circolazione dell'apocrifo. Quanto alle foto, le cui didascalie esatte sono quelle indicate da Antonino (correggerò), il numero de "La Scrittura" da cui le ho tratte - diretto da Idolina Landolfi - le proclama provenienti dall'archivio familiare, il che non esclude affatto che siano state stampate, prima o anche dopo, anche su un settimanale a larga diffusione.

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