23.3.14

Caterina de' Medici, la regina nera (Valerio Castronovo)

François Clouet, Ritratto di Caterina de' Medici
La figura di Caterina de' Medici, moglie di Enrico II e regina di Francia, non ha mai goduto buona stampa. Intere generazioni di storici e anche di romanzieri (se si fa eccezione per Balzac) si sono accanite nel dipingerla con i colori più foschi, riprendendo sovente tali e quali le accuse più infamanti che furono messe in giro, mentre Caterina era in vita, dai suoi avversari.
Da qualche anno a questa parte, invece, sembra che si faccia a gara per ribaltare il giudizio su un personaggio tanto discusso; al punto che proprio in Francia, dove era stata oggetto di esecrazione, Caterina viene oggi presentata come una sorta di eroina nazionale, che persegue, in una fase decisiva per il destino del regno dei gigli, l'unità politica e religiosa del paese. A render giustizia alla piccola mercante fiorentina, definita in passato un'usurpatrice avida solo di potere, ha cominciato nel 1980 Ivan Cloulas, con un libro (tradotto in Italia da Sansoni) teso a dimostrare, pur non tacendo sui misfatti perpetrati da Caterina, quanto essenziale fosse stata la sua opera di governo per salvare dal tracollo la monarchia francese. E ora compare una nuova biografia, non meno consistente per spessore e per ricchezza di documentazione (Caterina de' Medici. Un'italiana sul trono di Francia, Mondadori, pagg. 732, lire 32.000), con cui Jean Orieux, storico e romanziere, autore di altre fortunate biografie, pone per così dire il suggello a questa singolare opera di riabilitazione: tant'è che il volume è rimasto per oltre trenta settimane in testa alla classifica francese dei best-seller e ha anche vinto un premio dell'Académie Francaise.
E' difficile stabilire come e perché sia andato affermandosi tutto d'un tratto un così grande interesse per la regina nera (chiamata in tal modo per i suoi mesti abiti vedovili) che, pur essendo madre di tre sovrani (Francesco II, Carlo IX ed Enrico III) e reggente nel mezzo di eventi quanto mai drammatici, era stata relegata per lungo tempo in un angolo buio della storia francese, quasi si volesse esorcizzarne la memoria. Può darsi che alla sua resurrezione abbia contribuito il nuovo gusto per il romanzo storico, tanto fu tormentata, tumultuosa, densa di colpi di scena, la lunga parabola terrena di Caterina.
Rimasta orfana in fasce (col padre agonizzante nella camera accanto, mentre nasceva; la madre sarebbe morta di febbre puerperale di lì a pochi giorni) e scampata poi per miracolo, nel tumultuoso epilogo della Repubblica fiorentina nel 1527, alla vendetta dei capi della fazione più estremista, che l'avrebbero voluta fare a pezzi o gettare in un postribolo, la donna che dal 1560 si trovò a reggere per quasi trent'anni in un paese straniero e in una Corte a lei ostile il timone del più prestigioso regno d'Europa, ebbe la disgrazia, dopo esser stata tenuta in disparte dal marito, innamorato della bella Diana di Poitiers, di vedersi ripudiata dal figlio che più aveva amato. E, prima di chiudere gli occhi, ormai settantenne ma ancora temibile, venne pubblicamente additata dai suoi sudditi come la causa dei peggiori mali che li affliggevano.
Comunque sia, l'attenzione che così improvvisamente si è risvegliata intorno alla vicenda di Caterina de' Medici ha portato quantomeno a una valutazione più equilibrata del ruolo che ella giocò sulla scena politica, al di là dei ritratti di maniera che ci sono stati offerti fin qui. Non che nel libro di Orieux manchi una certa carica di simpatia e più di un'indulgenza nei riguardi del personaggio. Ma le attenuanti o le giustificazioni che l'autore fornisce a proposito dei comportamenti più controversi di Caterina (a cominciare dalle trame da lei ordite nella famosa notte di San Bartolomeo del 1572, sfociate prima nel massacro dei principali esponenti calvinisti convenuti nel Palazzo reale, e poi nella carneficina degli ugonotti nella capitale e nelle province) non sono tali da inficiare il giudizio d'insieme, ampiamente positivo, che emerge da una minuziosa ricostruzione dei fatti. Si può quindi convenire con Orieux che ben difficilmente la Francia sarebbe sopravvissuta all'anarchia in cui era piombata e al grave indebolimento della monarchia, se la discendente dei Medici, nipote di un papa, non avesse preso in pugno le redini del paese con una forza d'animo e una intelligenza politica pari alla più cinica spregiudicatezza, che nessuno a quel tempo avrebbe mai immaginato di poter attribuire a una rappresentante del gentil sesso. “Un miracolo di natura, veramente nata per reggere e governare”, la definì nel 1579 l' ambasciatore veneto Lippomano, che pure aveva visto all'opera tanti maestri di intrighi in un'epoca in cui le armi dell'artifizio e della dissimulazione non erano meno micidiali di quelle dell'arbitrio e della violenza. In effetti, anche se non rifuggì dall'uso spietato della forza, Caterina fu spesso ineguagliabile nel padroneggiare gli strumenti dell' arte politica, nel senso più machiavellico del termine, che aveva appreso durante la sua educazione fiorentina e romana, e poi affinato per reggere l'urto con l'indole brutale della Corte e della società francese. Tanto che ancor oggi è arduo dipanare il fitto intreccio di sottili maneggi, di arditi espedienti, di seducenti raggiri, di opportunismi tattici, di cui Caterina s'avvalse per blandire e disarmare i suoi nemici più tenaci, o per destreggiarsi con autorevolezza fra le rivolte interne e le non meno insidiose ambizioni egemoniche della Spagna di Filippo II. Fu così che, celando un temperamento energico e aggressivo sotto la maschera di un' apparente remissività, che sembrava d'altronde confacente alle sue fattezze (piccola, tonda, gli occhi sporgenti, il colorito pallido), la Regina madre finì per imporre i suoi personali orientamenti negli affari di Stato, a dispetto non solo di tanti avversari ed emuli, ma talora dei suoi stessi figli.
Trovatasi, dopo la tragica scomparsa del marito nel luglio 1559 e quella prematura dell'erede Francesco II, ad agire per conto di Carlo IX ancora minorenne, Caterina ebbe sempre chiara, fin dall'inizio della sua reggenza, la consapevolezza del pericolo mortale rappresentato dalla grande feudalità che dietro le guerre di religione tra i Guisa e i Borboni (i primi a capo del partito cattolico, i secondi alla testa di quello calvinista) mirava a scardinare il potere della Corona.
Personalmente la Regina non nutriva particolare ostilità nei confronti degli ugonotti e, per il resto, era sostanzialmente indifferente alle questioni religiose: la sua fede era, piuttosto, l'astrologia e il suo grande sacerdote Nostradamus. Ai suoi occhi la teologia appariva, d'altra parte, come un serio ostacolo all'opera di pacificazione del paese che intendeva condurre e che ad un certo momento sembrò dovesse portarla a condividere le aspirazioni di quel partito dei politiques che, pur muovendo da presupposti diversi, auspicava sopra ogni altra cosa la concordia nazionale e la tolleranza religiosa. In un regno a brandelli, lacerato dalla guerra civile e dall'odio irriducibile delle opposte fazioni, afflitto per giunta da frequenti carestie e da gravami fiscali sempre più intollerabili, Caterina fece del suo meglio per porre fine alle controversie religiose, per restaurare l'autorità regia, per sventare una congiura dopo l'altra, per allontanare dalla cerchia degli intimi di Corte i consiglieri più infidi, per ridurre all'obbedienza i funzionari recalcitranti: dovendo spesso fare affidamento più sulla sua buona stella e sulle sue ambigue e segrete risorse diplomatiche che sull'efficacia delle sue disposizioni e sulla coercizione per mano militare. Giacché su questi due versanti Caterina era praticamente indifesa: per la legge salica, non avrebbe potuto esercitare alcuna forma di potere; quanto alla possibilità di contrastare gli avversari sul campo di battaglia, questi possedevano armate ben più forti e organizzate di quella regia, sempre a corto di danaro.
La guerra dei tre Enrichi (Enrico III di Valois, Enrico di Guisa ed Enrico di Navarra), scoppiata nel 1588, un anno prima che la regina si spegnesse, dimostrò quanto fragili fossero le barriere che Caterina aveva cercato instancabilmente di apprestare in nome della ragion di Stato. Sicché sarebbe azzardato qualsiasi confronto con quell'altra grande protagonista del tempo che fu Elisabetta d'Inghilterra, la quale riuscì invece a spuntarla sia sull'uno che sull'altro fronte, quello politico e quello religioso, non soltanto in virtù del suo eccezionale talento di statista, ma anche in forza di quella alleanza fra monarchia e borghesia che in Francia s'era invece incrinata irrimediabilmente.
Ci volle in effetti tutta la tempra e l' autorità di Enrico IV, proprio l'uomo che Caterina aveva più detestato pur sapendo che era il solo in grado di condurre a buon fine l'opera che ella non aveva potuto realizzare (anche perché considerata dai suoi sudditi, nonostante tutto, un corpo estraneo agli ideali e agli interessi francesi), perché la sovranità della Corona venisse pienamente ripristinata nel quadro di una rinnovata coesione interna del paese.


"la Repubblica", 29 ottobre 1987  

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