10.3.14

Assurdità dei sacrifici. Dialogo tra sir Josiah Stamp e John M. Keynes (Bbc 4 gennaio 1933)

La trascrizione e traduzione di questa celebre conversazione radiofonica l’ho ripresa da un vecchio ritaglio (dal settimanale “L’Europeo", credo) privo di dati sull’autore. Metto il testo qui, a disposizione mia e di altri, pronto ad integrarlo dando a Cesare... (S.L.L.)  
 
Keynes
STAMP: È passato molto tempo, Keynes, da quando abbiamo avuto occasione di fare una chiacchierata confidenziale, e molti giorni da quando ti ho insegnato qualcosa. Ora leggiamo continuamente sui giornali, credo restando noi stessi confusi, tutte queste controversie sullo spendere e sul risparmiare. A che conclusioni pensi che il pubblico sia giunto in merito? Ritieni che tutte queste discussioni abbiano fatto emergere dei punti particolari, rendendoli chiari, o è tutto così confuso come all’inizio?
KEYNES: La mia impressione è che l’umore della gente stia cambiando. C’era un bel po’ di panico circa un anno fa. Ma non è forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza generalmente che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque, questa mi sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come individuo, sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino successivo sicuramente qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e questa non è la fine della storia. Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato in conseguenza di quel particolare risparmio, è costretto a sua volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno.
S.: Ciò significa che egli riduce il reddito di un secondo uomo, e che qualcun altro rimarrà senza lavoro.
K.: Sì, questo è il guaio. Una volta che la caduta è iniziata, è difficilissimo fermarla.
S.: Un momento. Osserviamo il risparmio di un Ministero o di un individuo, e consideriamo il suo effetto. Un paese o una città, proprio come un individuo, debbono vivere nei limiti delle loro risorse o si troverebbero in grave difficoltà se provassero a spingersi oltre. Molto presto intaccherebbero il loro patrimonio.
K.: Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare, ed è esattamente quello di sostituire una spesa con un altro e più saggio tipo di spesa.
S.: Sostituire! Questo mi fa comprendere il punto. Ad esempio, se il Governo o le autorità locali risparmiassero per ridurre le imposte o i saggi di interesse e permettessero agli individui di spendere di più; o se gli individui spendessero meno in consumi, per usare essi stessi il denaro nella costruzione di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri a tale scopo. Non servirebbe tutto ciò ad aggiustare le cose?
K.: Ma, caro Stamp, è questo che sta accadendo? Ho il sospetto che le autorità spesso risparmino senza ridurre i tassi di interesse o le imposte, e senza passare il potere di acquisto aggiuntivo agli individui. Ma anche quando il singolo riceve il potere di acquisto aggiuntivo, di solito sceglie la sicurezza o, quanto meno, pensa che sia virtuoso risparmiare e non spendere. Ma non sono veramente questi risparmi, tesi a far abbassare i saggi e le imposte, che sono al centro delle mie polemiche. Sono piuttosto quelle forme di risparmio che comportano un taglio della spesa, nei casi in cui quest’ultima dovrebbe essere naturalmente coperta con il debito. Perché in questi casi non c’è alcun vantaggio connesso col fatto che il contribuente avrà di più, a compensare la perdita di reddito dell’individuo che subisce il taglio.
S.: Allora, ciò che intendiamo realmente è che, salvo il caso in cui la mancata spesa pubblica venga bilanciata da una spesa personale aggiuntiva, ci sarà troppo risparmio. Dopo tutto, il normale risparmio è solo un differente tipo di spesa, trasmessa a qualche autorità pubblica o alle imprese, per produrre mattoni o macchinari. Il risparmio equivale a più mattoni, la spesa a più scarpe.
K.: Sì, questo è il problema in generale. A meno che qualcuno stia effettivamente usando il risparmio per i mattoni o per qualcosa di simile, le risorse produttive del paese vengono sprecate. Insomma il risparmio non è più un altro tipo di spesa. Ecco perché dico che la deliberata riduzione di investimenti utili, che dovrebbero normalmente essere attuati con il debito, mi sembra, nelle attuali circostanze, una follia e, addirittura, una politica oltraggiosa.
S.: La difficoltà sta nell’individuare ciò che tu chiami «investimenti utili normali».
K.: Al contrario. Il Ministro della Sanità, se sono ben informato, sta disapprovando praticamente tutte le normali richieste delle autorità locali di indebitarsi. Ho letto, per esempio, in un giornale – anche se non posso garantire i dati di persona – che un questionario spedito al Consiglio Nazionale delle Imprese Edili mostra che qualcosa come 30 milioni di sterline in lavori pubblici sono stati sospesi come risultato della campagna nazionale per il risparmio. La si dovrebbe chiamare «campagna nazionale per l’intensificazione della disoccupazione»!
S.: Per quale ragione si sono spinti fino a questo punto? Perché stanno facendo questo?
K.: Non posso immaginarlo. È probabilmente l’eredità di qualche decisione presa in un momento di panico molti mesi fa, che qualcuno ha dimenticato di invertire. Pensa a quello che significherebbe per lo stato d’animo della nazione, e in termini umani, se avessimo anche solo un quarto di milione di occupati in più. E non sono sicuro che le ripercussioni della spesa si fermerebbero a quella cifra.
S.: Sono piuttosto suscettibile per quanto riguarda gli interventi governativi. Comunque, prendersela con un Ministero, che lo meriti o no, è una cosa completamente diversa dall’incitare gli individui a spendere di più. Anche se una sollecitazione a questi ultimi potrebbe sembrare una cosa sciocca e pericolosa; sciocca a causa della riduzione dei loro redditi, che potrebbe rendere una spesa superiore insopportabile; pericolosa perché, se si inizia con l’incoraggiare le persone a essere imprudenti e a rinunciare alle loro abitudini di frugalità, non si sa dove si va a finire.
K.: Sono pienamente d’accordo. Non è l’individuo il responsabile, e non è quindi ragionevole attendersi che il rimedio venga dall’azione individuale. Ecco perché pongo così tanto l’accento sull’intervento delle pubbliche autorità. Sono loro che debbono avviare il processo. Non ci si deve aspettare che gli individui spendano di più, quando alcuni di loro stanno già indebitandosi. Non ci si può aspettare che gli imprenditori procedano a degli investimenti aggiuntivi, quando stanno già subendo perdite. È la comunità organizzata che deve trovare modi saggi per spendere e avviare il processo.
S.: Voglio affrontare la questione anche dall’altro lato. Al fine di conservare l’abitudine individuale alla parsimonia, non è necessario che le pubbliche autorità sentano la loro responsabilità in questa direzione? Se questa abitudine, così utile nella vita individuale, deve recare giovamento alla comunità, è essenziale che si trovino modi utili di usare il denaro risparmiato.
K.: Sì, questo è ciò che dico. E inoltre, quello della diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale, non è un modo incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio?
S.: Bene, lasciando da parte qualsiasi questione complessa riguardante il debito nazionale, mi sembra che tutto questo riguardi comunque il Ministro delle Finanze in due modi. Innanzi tutto, deve far fronte alle indennità di disoccupazione per gli uomini licenziati, e poi deve tener conto che il gettito delle imposte dipende dal reddito degli individui o dalle loro spese. Cosicché tutto ciò che riduce sia il reddito che le spese degli individui riduce il gettito delle imposte. E se si subisce una diminuzione dal lato delle entrate e un incremento dal lato delle uscite, si deve trovare un rimedio. Un bilancio squilibrato distrugge infatti il nostro credito, anche se c’è una differenza tra un periodo normale e uno anomalo.
K.: Ma Stamp, non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il Ministro delle Finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio nel lungo periodo sta nel riportare le cose nuovamente alla normalità, ed evitare così l’enorme aggravio che deriva dalla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prende il bilancio come metro di giudizio, il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.
S.: La stessa cosa accadrebbe se il governo stesse attuando un grande progetto edilizio e un programma di risanamento delle aree degradate. […]
K.: Trovo che siamo d’accordo più di quanto pensassimo. Ma molte persone ritengono oggi che persino le spese praticabili costituiscano una vera sciocchezza. Quando il Consiglio della Contea decide la costruzione di case, il paese sarà più ricco anche se le case non garantiranno alcuna rendita. Se non si costruiscono quelle case, non avremo nulla da mostrare fatta eccezione per il maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.
S.: Fermo restando che si presti una ragionevole attenzione alle idee della gente sul credito pubblico. Non sarà una cosa buona per il governo, e  per qualsiasi altra autorità, se si pensa che sia sull’orlo della bancarotta.
K.: Non credo che delle misure che arricchiscono realmente il paese possano danneggiare il credito pubblico. Ti sei dimenticato che sostengo che è il peso della disoccupazione e la diminuzione del reddito nazionale che mettono sottosopra il bilancio. Risolviamo il problema della disoccupazione e il bilancio si aggiusterà.
S.: Ciò per quanto riguarda la spesa pubblica. Perché non parliamo del risparmio individuale? Questo deve continuare se ciascuno è ragionevolmente prudente. Quali impieghi approvi, e quali suggerimenti nuovi fornisci?
K.: Lasciami fare un esempio del tipo di cosa che mi sembra particolarmente apprezzabile. Le cooperative edilizie hanno fatto uno splendido lavoro dalla guerra in poi, da una parte organizzando la raccolta del risparmio e allo stesso tempo, organizzando, dall’altra, l’impiego di ciò che raccoglievano nella costruzione di case. Hanno cioè fatto in modo che le due attività complementari andassero di pari passo. E non è forse vero che corrono il rischio di attrarre più fondi di quelli che possono impiegare?
S.: Non farei alcun commento su ciò, salvo dire che mi fai sentire virtuoso. (Stamp aveva una posizione di responsabilità nell’organizzazione delle cooperative. N.d.c.) Spero però che non vorrai riferirti alle cooperative per giungere alla conclusione che un movimento come quello dei Certificati di Risparmio Nazionali debba essere eliminato.
K.: Stamp, stai pensando alla nostra conversazione radiofonica di circa un anno fa. Sono stato molto frainteso sulle cose che ho detto. Una diminuzione del risparmio da parte delle classi di persone che acquistano i certificati, mi sembra un rimedio di poco conto. Avanzavo piuttosto la tesi che, quando i lavori pubblici vengono fermati, particolarmente in un momento in cui gli imprenditori privati si stanno bloccando a causa di una temporanea eccedenza di capacità produttiva, e quindi non si trovano nella posizione di espandere la loro attività, il risparmio privato può determinare solo danni. Ricordi quello che dissi – ogni sterlina risparmiata è un’occupazione cancellata. Mantengo ferma questa affermazione, e dubito che vorrai negarla.
S.: No, certamente. Se non si fa nulla con le risorse che sono state liberate, le persone si saranno private di qualcosa di utile o piacevole, con l’unica conseguenza di cancellare il lavoro di chi avrebbe dovuto lavorare per loro. Da ciò non devi però desumere che la spesa privata sia il rimedio che preferisco.
K.: Al contrario. Io spingo sulla spesa privata solo come un modo attraverso il quale degli individui ben disposti potrebbero porre un parziale rimedio al danno che il Governo sta facendo, nel momento in cui riduce il lavoro che dovrebbe mettere in moto come comunità organizzata. Secondo me, non spetta ai privati cittadini spendere più di quanto spontaneamente farebbero, non più di quanto lo sia il far fronte alla disoccupazione con la carità privata. Queste cose dovrebbero essere fatte dalla comunità organizzata
come un tutto – vale a dire, dalle pubbliche autorità.
S.: Sono contento di averti consentito questo chiarimento, perché penso che molte persone non abbiano realmente compreso che questa era la linea di pensiero che stavi seguendo. Sono contento che tu non avanzi delle obiezioni alla parsimonia privata, fintanto che questa è in grado di assicurare benefici, altrimenti nel lungo periodo credo che produrresti dei guai maggiori.
K.: Certamente. Io stesso risparmio, talvolta. E sono dalla parte del risparmio per il fatto che sollecito una politica che permetterebbe al risparmio di essere utile e produttivo per la comunità. I nemici della parsimonia sono quelli che, inibendo gli sbocchi a ciò che viene accantonato, la privano del suo scopo, e trasformano quello che dovrebbe essere un pubblico beneficio in uno strumento che aggrava la disoccupazione. Questo, lo ripeto, è ciò che accade nelle attuali circostanze. Se si tagliano le spese dei Consigli delle Contee e delle altre pubbliche autorità, non c’è la più piccola possibilità che l’imprenditoria privata nazionale da sola sia in grado di usare risorse per un ammontare che si avvicini anche soltanto lontanamente a quello che un’Inghilterra che crede nel principio della parsimonia, e che è in buona salute e con un alto livello di occupazione, sceglierebbe di risparmiare.
S.: Non sei troppo pessimista sull’incapacità dell’impresa privata di assorbire disoccupati? Hai affrontato la questione tenendo conto delle statistiche sul risparmio del passato? Non pensi che con una vera ripresa degli affari possa esserci un’utilizzazione dei risparmi più rimarchevole di quella che siamo propensi a immaginare oggi?
K.: Ne dubito. Devi tener conto del divieto ora in atto nei confronti della maggior parte dei prestiti esteri, che assorbivano una gran parte dei nostri risparmi. Dobbiamo sostituire tutto ciò. Dubito che l’imprenditoria privata nazionale, perfino nei suoi giorni migliori, abbia mai assorbito la metà del risparmio nazionale, e considerando l’estensione in cui le pubbliche utilità sono oggi in mani pubbliche, sono certo che non potranno nemmeno in futuro. Sono per dare la massima libertà all’imprenditoria privata, e consentirle di impiegare tutto il capitale che può. Ma credo che ci si rifugi in un falso paradiso se si immagina che, in un qualsiasi futuro prevedibile, essa possa assorbire l’ammontare che questo paese potrebbe risparmiare se fosse prospero e tutti fossero opportunamente occupati.
S.: Credo che non molte persone si siano confrontate con questo modo di porre il problema. Qual è il suo fondamento statistico? I risparmi raggiungono un certo ammontare. Essi sono vincolati, con le diverse opportunità di accantonamento esistenti – assicurazioni e simili – ad andare avanti. Se un individuo, ragionevolmente previdente nei confronti della sua stessa esistenza, accresce il suo risparmio, questo deve essere usato o con un’espansione degli investimenti privati o con un aumento della spesa pubblica, o in entrambi i modi. Se questi due passaggi non intervengono emergono seri problemi sul piano dell’occupazione. Se c’è un divario, la cosa migliore è che gli imprenditori accrescano i loro affari per coprirlo. Se ciò non accade, allora la cosa successiva da fare è quella di accrescere la spesa pubblica. Se entrambe mancano, o per una qualsiasi altra buona ragione la spesa pubblica non può essere aumentata abbastanza, allora l’ultimo espediente o salvagente, per far equilibrare i due lati, è che gli stessi risparmi diminuiscano fino al punto in cui l’eccedenza rispetto ai due usi è scomparsa. Ma in un modo o nell’altro la differenza deve essere usata o fatta sparire.
K.: Sì, e ripeto che non sarà l’imprenditoria a farlo. Nel prossimo futuro non ci sarà un’espansione degli affari privati in misura sufficiente per assorbire i risparmi. Pertanto le spese delle diverse autorità pubbliche e dei pubblici consigli, ecc. debbono essere accresciute. Se questo non accadrà, l’alternativa dovrà essere quella di ridurre i risparmi. Non si possono avere entrambi.
S.: Condivido molto le tue considerazioni, ma ti prego di non trattare troppo superficialmente la questione dei bilanci pubblici non saggi e squilibrati. Quel tipo di principio deve ancora oggi essere rispettato. Credo che la vera natura del nostro dilemma stia nel fatto che un principio non può sempre andare avanti da solo nella vita, e due principi, ciascuno dei quali è in sé eccellente, possono talvolta confliggere tra loro. Siamo costretti, ogni volta, a preferire l’uno o l’altro. Sappiamo che la persona saggia dice due cose. Primo, il risparmio è cosa buona; risparmia tutto quello che puoi. Egli aggiunge, ridurre la spesa pubblica è un male, smetti di farlo. Non si rende conto che se ciascuno di questi principi altamente virtuosi fosse portato ad un estremo, ne conseguirebbe una grave alterazione dell’equilibrio dei risparmi. Insomma i due principi sarebbero trattati, nell’ambito del nostro schema economico moderno, come una specie di necessità o di virtù meccanica; mentre gli orientamenti sugli equilibri di bilancio rappresentano una necessità di tipo psicologico.
K.: Tu torni sempre sulla questione del bilancio. A questo proposito direi che questioni come quella della copertura delle spese effettuate non sono così importanti, ai nostri giorni, come lo sarebbero in tempi di prosperità. E, penso, che il Ministro delle Finanze sarebbe lungimirante se assumesse un punto di vista ottimistico e concedesse nel prossimo bilancio un maggior sollievo di quanto non sarebbe strettamente giustificato dai fatti effettivamente anticipabili. Se lo farà, aiuterà a rendere visibili i fatti che giustificano l’ottimismo che avrà scelto di praticare. Ma questo non è quello che realmente voglio. Voglio le spese in debito. Voglio investimenti in infrastrutture di varia utilità. Concordo con te che, tradizionalmente, consideriamo appropriato finanziare tutte le iniziative con il debito, e che le spese di questo tipo debbano essere sostenute dalle autorità locali o dal governo centrale. Credo inoltre che nel lungo periodo una politica di questo tipo aiuterebbe veramente il bilancio, più di quanto non possa l’altra politica, tesa a operare un taglio dopo l’altro.
S.: Quello che stai dicendo in fondo è che nei periodi nei quali gli affari vanno male le persone non intraprendono, ed è in questi periodi che l’espansione dell’azione pubblica dovrebbe raggiungere il massimo. Non fai invece alcun riferimento alle banche o al saggio dell’interesse o ai prezzi! Meraviglioso! Penso che possiamo trovarci d’accordo nel riconoscere che attualmente non sia una cosa facile assicurare uno sbocco ai nostri risparmi, e pertanto concordo con te nel sostenere che non dovremmo ignorare qualsiasi opportunità si offra. Ci sono migliaia di cose da fare se vogliamo essere una comunità attrezzata all’altezza delle nostre possibilità, una comunità che si avvantaggia di tutti gli sviluppi della scienza moderna. Potremo arricchirci solo facendo, non tagliando delle attività. Alziamoci e diamoci da fare.
K.: Sì, il fatto è che il risparmio e la spesa sono nell’essenza attività complementari. Lo scopo del risparmio è quello di spendere il risparmiato in attrezzature utili e necessarie. Per spendere in modo salutare dobbiamo risparmiare, ma è allo stesso tempo vero il contrario, e cioè dobbiamo spendere per rendere salutare il risparmio.

S.: In breve, questo nostro risparmiare e spendere sono, o almeno dovrebbero essere, pratiche gemelle.

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