29.10.14

Contro Flaubert. I grandi pessimi maestri (Franco Fortini)

Dopo una certa età si diventa, è ben noto, intolleranti al ricorrere delle mode, ai cicli dei gusti. Agli anziani quasi sempre ne viene scetticismo o cinismo. Ma di sommo fastidio sono soprattutto le ripetizioni, per così chiamarle, permanenti. Mi spiego con un esempio letterario.
Anni fa mi irritavo quando mi avvedevo che nelle librerie e nelle conversazioni stavano tornando di moda autori che erano stati in voga fra i letterati alla vigilia della guerra: che so, i metafisici inglesi, i mistici spagnoli, i grandi testi orientali, i mitteleuropei inizio secolo. Ma proprio avevo torto. Quel che qualche decennio prima era stato inserito nella ricerca esitante o attonita di sparuti gruppi (che si illudevano così di sfuggire alla cultura ufficiale dell'età fascista o al duro dominio dei seguaci di Croce) quando, e sono ormai quasi vent'anni, è tornato in circolo, era già "voce" di catalogo dell'industria culturale, rispondeva a una domanda costante. Stava ai lettori di élite degli anni Venti o Trenta come certi fregi dorati di edizioni semieconomiche per edicole stanno ai tagli d'oro delle edizioni per bibliofili. Libri da avere sempre in magazzino: la macchina scolastica e quella dei media garantiva una fascia sempre più estesa di aspiranti alla elevazione spirituale. Chi scriverà, nella storia della nostra editoria, che cosa è stata la destra intellettuale negli scorsi vent'anni e come la più stolta sinistra abbia finito col servirla?
Dicono gli storici che se si compie una indagine bastantemente documentata di qualsiasi società, sotto i più visibili strati ideologici (quelli della classe dominante) è possibile individuare la compresenza d'una varietà di atteggiamenti, modi di pensare, interpretazioni del mondo che non muoiono mai ma sono solo temporaneamente sopraffatti, e rimangono dormenti, inattivi ma pronti a riaffacciarsi quando si diano condizioni favorevoli. Le eresie minoritarie non sono mai distrutte. Incenerito l'ultimo dei càtari, qualcosa ne sarà trasmigrato inavvertito nella mente dell'inquisitore o del boia. Col passare degli anni diventa abbagliante l'identità fra lo stesso e il diverso. Tutto è sempre più eguale ma tutto va sempre più cambiando (dunque può essere cambiato).
Posso scherzare? Qualcosa nel costume letterario italiano invece non cambia mai. E' la venerazione per le opinioni morali ed estetiche di Flaubert. Le stesse precise identiche frasi ammirative che mi sentivo dire ai tavoli delle "Giubbe Rosse" nel 1938, le ho riascoltate sulle labbra della generazione successiva, nel 1956. E oggi i nipoti le ripetono su per riviste e articoli d'ogni regione. Da mezzo secolo i collitorti letterari esalano sospiri di rapimento per la corrispondenza di Gustave con Louise Colet. Non c'è apprendista che si sia esentato, soprattutto negli scorsi vent'anni, dall'imparare da quelle pagine il disprezzo della storia, della lotta per il progresso civile, e il culto pseudo-religioso per l'arte. Per comprenderne la povertà, le si compari a quelle di Baudelaire che pure paiono dire le stesse cose. (Non sto parlando, va da sé, dei capolavori narrativi né di altre parti della corrispondenza, come quella con Turgheniev, da poco in italiano in una plaquette edita dalla Archinto).
Ci voleva il lavoro di Sartre, durato una vita, per fare i conti (ma chi, oltre a lui, o con lui, vuoi farli?) con quella articolazione mentale e morale. Per, alla fine, esaltarlo; ma come un prodigioso modello di "impegno", destinato, anche oggi, a servire proprio le cause che Flaubert detestava. Alla fine, appunto, dopo un lunghissimo percorso accidentato; non dopo quelli, facilitati e raccomandati agli apprendisti reazionari, che i custodi della ironia consolidata e dello spiritualismo ben amministrato continuano, immortali, ad organizzare ai nostri nipoti fin dalle antologie per la media unica. A pensarli, quasi ringrazio la sorte di essere vissuto nell'età della Lunga Marcia, della guerra di Spagna, di Stalingrado e del Vietnam. Caro Magris, per tua fortuna non sei di quei custodi, eppure devo dirti che non posso essere d'accordo con te: l'alternativa a Cuore non è, come mi pare tu abbia scritto, La signora Bovary. E' Resurrezione. Oppure (ed è anche meglio) nessun romanzo.


L'ESPRESSO - 24 APRILE 1988

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