25.10.14

Cuba magica. Origini e attualità della "santerìa" (Elena Zapponi)

Cuba, Un rito della santerìa
L’AVANA - Nella vita quotidiana dell’Avana c’è molta più magia di quanto si possa pensare seduti nella penombra del patio dell’Hotel Nacional, sguardo al Malecón. La crisi dell’esserci, che Ernesto De Martino indicava come vacillamento e perdita della presenza al mondo nel mezzogiorno italiano del dopoguerra, appare all’Avana un pericolo costante, cui ovviare con strategie religiose rigenerative quali la transe o lavori (trabajos) e ammares, che sciolgono fatture e malocchi o, al contrario, ne formulano.
Così, ad un’antropologa che studia la reinvenzione della santería può accadere di essere avvisata dall’affittacamere della casa particular in cui dorme nel Vedado, di star attenta e di non intervistare santeras/os di cui non ha previe referenze, di non parlare con chiunque, perché «metti, se c’è una persona malata, potrebbero rubarti la tua energia per darla al malato e poi ti ritrovi ammalata» o perché «magari ti offrono un caffè per farti una macumba, così poi ti innamori di un santero». Questa stessa padrona di casa, la quale si dichiara a più riprese atea e non interessata a «esas cosas», tornando sull’argomento durante un caffè mattutino, qualche giorno dopo, commenterà che a Cuba ormai tutti si fanno passare per santeros e babalawos.
Insistendo, davanti a quello che interpreta come un eccesso di buona fede, mentre cerco di spiegarle che il mio criterio euristico non riposa sul binomio vero/falso e che l’incontro con i santeros «ciarlatani» può anch’esso rientrare nella ricerca, per sottolineare i rischi che corro, apre la credenza
della sala da pranzo e assertiva dice: «Vedi questo è il mio altare, questo sono i miei orichas, allora anch’io potrei essere una santera». E si scopre che anche Dania, che in «queste cose» non ci crede, è stata a consultare vari santeros, si è iniziata e ha fatto iniziare sua figlia in età adolescente perché ammalata di dolori allo stomaco che i medici non riuscivano a curare. La figlia guarisce, Dania dice di non praticare più, però conserva i suoi santi e ogni tanto, tra una telenovela e l’altra e un ospite europeo e l’altro, gli fa una preghiera e un’offerta: «Non si sa mai».
Nello stesso modo, non credenti, parenti di credenti, lasciano che i loro familiari gli facciano qualche trabajo o seguono il consiglio di compiere periodiche limpiezas (pulizie), orientate alla persona ma anche ad oggetti e luoghi. Una faccenda lustrale frequente riguarda gli spazi della casa, da purificare da spiriti malevoli e dal malocchio; un'altra, la macchina, il cui tetto deve rimanere cosparso per una serie di giorni di una polvere bianca, formula determinata principalmente dalla macerazione del guscio delle uova.
Il mercato religioso cubano è molto più fluido e mobile di quel che la vecchia Europa monoteista potrebbe immaginare. La santería o Regla Ocha, definita all’inizio del XX secolo brujería, stregoneria, nel libro Los negros brujos di Fernando Ortiz, è oggi probabilmente la religione più diffusa a Cuba. Essa si mescola con il culto d’Ifá e con un’altra regla sacra di origine africana: il palo monte o Regla Cong, sistema di credenza dei Congos, nome dato agli schiavi Bantu provenienti dall’Africa centrale.
La santería e il culto divinatorio d’Ifá, erano invece la religione degli schiavi d’origine yoruba, chiamati a Cuba Lucumí: questo popolo del sud-ovest della Nigeria e dell’est dell’attuale Benin, organizzato in città stato, credeva negli orichas, sorta di antenati mitici, divinità fondatrici del luogo e della dinastia regnante.
La pratica della santería è strettamente connessa a quella del palo monte ma anche a varie forme di spiritismo, penetrate a Cuba durante il periodo neocoloniale (1902-1952) sotto l’influenza statunitense. Una stessa persona può «rayarse en palo» (iniziarsi), passare poi alla santería e contemporaneamente, successivamente o alternativamente praticare lo spiritismo. Lo stesso specialista religioso può indirizzare il credente di cui è padrino o madrina verso uno specialista dell’altra religione, stimando che per esempio una messa spiritista o il tradizionale uso delle erbe dei paleros aiuterà a risolvere il problema quotidiano che affligge l’adepto. Ugualmente, può esser consigliata la partecipazione alle messe cattoliche e la frequentazione delle chiese mentre il battesimo, ritenuto una pratica utile al potenziamento della crescita spirituale, è spesso indicato come necessario per l’iniziazione del futuro santero.
La santería è genericamente descritta come un sincretismo, termine tanto frequente quanto mutevole, applicato anche al candomblé brasiliano. Ma vari autori, a partire dagli anni ‘50, hanno contestato questa definizione, chi per ragioni interpretative e etimologiche – Roger Bastide, sostenitore della purezza del candomblé, il quale preferiva il concetto di interpenetrazione di civiltà all’idea di mescolanza espressa dal sincretismo - chi per ragioni ideologiche – antropologi brasiliani critici verso la valenza coloniale o neocoloniale del concetto, considerato troppo intrecciato a giudizi di valore su una presunta inferiorità della religione dei dominati. Il citato antropologo Ortiz, considerato oggi il padre degli studi sulla cultura afrocubana, in un libro pietra miliare, El contrapunteo cubano del azúcar y del tabaco – in cui tra l’altro conia il termine «afrocubano» - propone una definizione alternativa: la «transculturazione». Tornato sulle proprie posizioni iniziali e sulla definizione della santería come brujería sullo stimolo del suo discepolo mulatto Rómulo Lachatañeré, l’autore del Manual de Santería (1942) in cui per la prima volta viene affermata in maniera esplicita la volontà di riabilitazione di questo sistema religioso, Ortiz si dedica appassionatamente allo studio della cultura afrocubana.
In scambio dialettico con l’antropologia britannica e in particolare con Bronislaw Malinowski, il famoso patrigno del concetto di osservazione partecipante, che firma l’introduzione del Contrapunteo, Ortiz, desideroso di sostituire il termine etnocentrato di acculturazione, identifica nella storia coloniale cubana il «trapasso» di elementi della cultura africana e di quella bianca di matrice spagnola: pur dominati, gli schiavi non son vinti, come testimonia la resistenza ai dogmi egemoni espressa dalla santería, fenomeno di transculturazione in cui si mescolano la religione africana e il culto dei santi barocco. El contrapunteo, pubblicato nel ‘40, è un denso e appassionante volume dallo stile brillante, che combina il tono da saggio antropologico, la denuncia sociale della condizione nera e le rivendicazioni razziali a un carattere da feuilleton e romanzo da salotto, ricco di citazioni tratte da cronachette, erbari, trattati medici, note e apologie di gesuiti e viziosi cardinali del ‘700 romano nonché da versi di poeti cubani o spagnoli quali Quevedo, Lope de Vega e Tirso de Molina. In queste folte pagine, l’uragano culturale introdotto dalla Conquista e dalla schiavitù e la relazione tra Cuba e l’Europa sono ripercorse a partire da un dato strutturale: la fabbricazione, diffusione ed esportazione del tabacco e la produzione dello zucchero a Cuba.
Il termine "transculturazione" appare immerso in un affresco rievocante il movimento delle navi che solcano l’oceano, circolando tra il vecchio e il nuovo mondo e quello delle mani dei congos e dei lucumí che avvolgono sigari precursori dei Partagas e Romeo e Julieta ormai celebrati sinonimi della cubanità.
Nella santerìa fumano tabacco uomini e dei
La storia del tabacco permette di illustrare una prima transculturazione: quella dall’ambiente dei suoi consumatori, gli indigeni taínos, al mondo multietnico degli schiavi africani congos e lucumíche nei loro riti magico-religiosi conservano il carattere catartico del fumo, stimolo per la possessione nella santería e nel palo monte, repertorio materiale assieme ad altri elementi derivati stavolta dai costumi dei brujos bianchi, quali l’aguardiente, il vino seco bevuto dai soldati spagnoli e dai mercenari, le candele e i ceri. Nella santería fumano tabacco uomini e dei. Il sigaro distingue Changó, Eleguá e Ogún, orichas guerrieri che maneggiano il fuoco.
Il secondo processo di transculturazione studiato da Ortiz è il passaggio del tabacco, deprecata yerba del diablo, dal contesto subalterno afrocubano al suolo europeo, dove esso, introdotto nei salotti seicenteschi da clero e cardinali, diviene sostanza che distingue la classe egemone. Mentre il tabacco conquista il mondo, a Cuba esso viene onorato più di Cupido e Bacco, cantato come dio benefico che solleva dai dolori umani. Nell’800 diventa una seconda bandiera cubana, simbolo dei mambises e della storia patriottica, come testimonia José Martí, padre della lotta per l’indipendenza e eroe della nazione repubblicana, nei suoi versi: «La hoja india, consuelo de meditabundos, deleite de soñadores, arquitectos del aire, como fragrantes del ópalo alado». Nuovamente icona alla fine del periodo neocoloniale, il legame tabacco- cubanità si rinnova nella voluta di fumo della rivoluzione e nei sigari dei barbudos e del Che Guevara.
Ma torniamo alla santería, che secondo il termine transculturazione proposto da Ortiz, consiste in un sistema nuovo, bricolage specificamente cubano di credenze africane e cattoliche, composto di riaggiustamenti e reinvenzioni. Nel corso degli anni ‘40 e ‘50 gli studi di Ortiz, Lachatañeré e Lydia Cabrera segnano un’epoca. La cultura afrocubana, riscoperta dalle loro ricerche etnografiche, è valutata come parte ingente del patrimonio nazionale cubano. Il passo successivo sarà fatto con la rivoluzione. La santería, sincretismo che combina il culto barocco dei santi spagnoli agli antenati mitici yoruba (tra gli orichas-santos più noti: Obatalá/Virgen de las Mercedes, Yemayá/Virgen de Regla, Ochún/Virgen de la Caridad del Cobre, Changó/santa Barbara, Babalú Ayé/san Lazzaro, Eleguá/ sant’Antonio di Padova), diventa il simbolo di un’identità che lotta e resiste al cattolicesimo egemone. Nel laico contesto rivoluzionario, le danze e i ritmi segreti degli schiavi celebrati nei barracones loro dimora di fronte ad altari improvvisati, diventano espressione di cubanità. Sono altrettanto benvenuti gli studi sui cabildos de nación, sorta di società di mutuo soccorso africane tollerate dagli schiavisti, che, ricostituendo legami etnici, in mancanza di quelli familiari disintegrati dalla tratta, funzionarono come nucleo di trasmissione della tradizione bantu e yoruba.
Ma la promozione governativa della cultura di origine africana opera in un senso preciso: la riabilitazione non insiste sull’aspetto religioso bensì su quello più generale della cultura nera cubana e sulle sue manifestazioni estetiche e folkloriche quali la musica, la danza, la mitologia. Le religioni afrocubane, descritte come reliquie e superstizioni del passato, ormai in corso di disintegrazione, rappresentano una memoria storica nazionale della resistenza nei confronti dell’invasore europeo.
Questa politica di istituzionalizzazione della cultura afrocubana mira a elidere il rischio di un radicato e possente livello di cultura subalterno interno, eventualmente dannoso per l’unità nazionale. Ma essa partecipa anche di un’altra logica che si interseca con il presupposto precedente: la Cuba africana testimonia i limiti della Cuba bianca e cattolica delle classi medie e superiori di origine europea. Riconoscere la matrice africana è promuovere la nuova costruzione nazionale, dire una volta di più, e sotto altra forma, che Cuba è fatta di cubani, bianchi, neri, mulatti e cinesi anche. La santería, nel cui culto ogni oricha africano ha anche il volto di un santo cattolico e in cui, come descritto da Lydia Cabrera nel tomo El Monte, i malefici dei chinos sono temuti come i più malvagi, poiché solo gli stessi chinos possono disfarli, è una chiave di lettura di tutto questo, del miscuglio di razze e culture che forma la cubanidad.
Negli anni ‘80 le autorità politiche esprimono una maggiore tolleranza verso la religione. Il líder máximo, come riportato nel libro Fidel y la religión, intervista tra Castro e il teologo della Liberazione brasiliano Frei Betto, dichiara che la religione «non è in sé né un oppio né un rimedio miracoloso». Ma è durante gli anni ‘90 ed il critico periodo special en tiempo de paz che si afferma un vero revival delle varie espressioni religiose diffuse a Cuba e in particolare della santería, il cui radicamento nel tessuto sociale appare ora esplicitamente sulla scena pubblica. Nel 1995, l’Associazione culturale yoruba (ACY) a cui aderiscono santeros/as e babalawos (i sacerdoti che rappresentano il più alto grado gerarchico nella santería) desiderosi di ufficializzare la loro credenza, viene ubicata per volontà del governo in Habana Centro, a qualche centinaia di metri dal Capitolio Nacional. Mentre questa collocazione traduce nello spazio urbano il recupero delle radici africane, l’associazione diventa un riferimento istituzionale per la santería.
I numerosi congressi mondiali yoruba che vi si organizzano e il motto «Ifá ayer, Ifá hoy, Ifá mañana» riferito al culto di Ifá, l’arte della divinazione legata alla città sacra nigeriana di Ilé-Ifé, indicano un riferimento alla tradizione africana nazionale ma anche a un ecumene yoruba transnazionale e a un mondo globalizzato dalla scoperta delle Americhe e dalla tratta degli schiavi. All’interno dell’ACY si trova una libreria, una caffetteria, una boutique e soprattutto, un didattico Museo degli orichas, in cui si è rigorosamente accompagnati da una guida che sottolinea l’autenticità della religione africana cubana, non contaminata dal monoteismo cattolico che colpisce l’Africa al punto che «anche dal Brasile vengono qua per studiare, perché è qui la culla, è qui che si è conservata l’autentica tradizione degli schiavi».
Ma aldilà della realtà dell’ACY che, insistendo sulla componente yoruba della santería, opera per una sua desincretizzazione e reafricanizzazione, le applicazioni della Regla Ocha all’Havana sono molteplici e in molti casi più interessate alla risoluzione di problemi pratici ed immediati che alla risoluzione di dibattiti teorici. Questa religione dell’immediato aiuta a resolver, come si dice in cubano, problemi che riguardano principalmente la salute, il lavoro e l’amore. Le tradizionali familias de santos in cui si organizzano i credenti si riuniscono in base a vari criteri di affinità che non si risolvono nel fattore etnico: la santería è un linguaggio di condivisione di una comune ascendenza africana ma essa è anche praticata da familias estremamente miste, composte da neri, bianchi e mulatti, che si formano sulla base di una solidarietà di quartiere, di genere o di preferenze omosessuali. Ed è anche un linguaggio che attrae gli stranieri e permette a santeros/as e babalawos di alimentare una discreta economia informale fatta di divinazioni, ingredienti magici ed istruzioni, a volte iniziazioni.
Una tienda de religión a L'Avana
Fuori dalla Chiesa della Virgen de Regla, patrona della baia dell’Avana, che sincretizza con il potente oricha femminile Yemayá, dea legata alla maternità e all’oceano, chiromantiche figure vestite di bianco offrono ai turisti letture della mano e dei tarocchi. Contemporaneamente, all’ombra della pietra della cattedrale e del Palacio de los Capitanes Generales, mulatte sonnolente che nascondono l’età sotto la maschera di nastri e merletti della santera, completata dal tradizionale sigaro, offrono sorrisi e invitano lo straniero a posare in foto. Nelle boutique dell’Habana Libre Hotel, nel cuore del Vedado, accanto all’attrezzatura da spiaggia, alla locandina del film Fragole e cioccolato e alle magliette del Che Guevara, un esercito di bamboline di Yemayá e Ochún, ordinate in ranghi nel loro scaffale guarda al di là della vetrina la vita ed i passanti scorrere in Calle L. Solo i CUC, la moneta degli stranieri, potranno portarle via.
Intanto, nelle case di chi pratica, gli orichas stanno in altare, nelle zuppiere di porcellana in cui l’entità è supposta incorporarsi, in compagnia di offerte ai morti e di bóvedas espirituales (offerte spirituali), bicchieri d’acqua dedicati agli spiriti. In Habana Centro, in rudimentali botteghe chiamate tiendas de religión, non identificabili dal forestiero al milieu della santería, inservienti affannati dispensano da dietro il bancone candele, aguardiente, noci di cocco, erbe, semi, collane e braccialetti degli orichas che solo gli iniziati possono indossare.
I venditori del mercato dei fiori a pochi metri sanno che ogni oricha vuole il suo colore e il suo petalo. E nel bugigattolo dietro la pompa di benzina Hatuey, mentre la 600, il maggiolone o il cocotaxi di turno si fermano, diffondendo nell’aria l’ostentato suono del reggaeton, viene rapidamente venduta una colomba o un gallo, abilmente maneggiati in vista di un sacrificio agli dei.
Nella credenza diffusa in questo mondo magico si fonda e alimenta la struttura della santería, religione dell’immediato che lega in un rapporto di protezione e riverenza credente e orichas, angeli guardiani dal carattere mondano, generosi e volitivi, sensuali, suscettibili, spesso iracondi, con cui viene intrattenuta una quotidianità basata sul reciproco ascolto di volontà e desideri. L’oricha vuole una festa, un’offerta, dell’aguardiente, dei fiori, del vino seco o del miele. Il praticante vuole risolvere un incantesimo d’amore, sbarcare il lunario, guarire da una malattia, proteggere una gravidanza, comprarsi un paio di jeans, un giorno viaggiare.
La santería-brujería che meritò ad inizio ‘900 lo studio di criminologia antropologica di Ortiz è praticata da molti cubani, ormai apertamente ed armonicamente creyentes e revolucionarios, per poter costruire e ricostruire il mondo e seguire la buona regla di vita. E mentre questo universo laborioso di ritualità, formule yoruba reinventate e tradizioni tramandate palpita e la Cuba dei turisti tintinna nel ghiaccio e le foglie di menta di un mojito, è frequente il vedere in città gli iyawós, i neo-iniziati alla religione, che durante un anno intero devono rispettare l’obbligo rituale di vestirsi di bianco da testa a piedi, intersecare lo spazio urbano marcato dai murales dei Comitados de la revolución.
La bianca figura dei nuovi nati nella santería si sovrappone per un attimo alla scritta, scolorita o sfavillante, a seconda del quartiere e dei fondi investiti «Con la guardia in alto -Todo por la revolución - Seguimos el combate».


“alias il manifesto”, ritaglio senza data, ma 2011

2 commenti:

Anonimo ha detto...

FORSE IO SONO UNO DEGLI UNICI COMPETENTI A SPIEGARE LA SANTERIA CUBANA CON SOLO UN PAIO DI PAROLE, EBBENE MOLTI DI VOI HANNO AVUTO ESPERIENZE CON CARTOMANTI OCCULTISTI
MAGHI STREGONI, CHE PROMETTONO MARI E MONTI , LA SANTERIA CUBANA E' LO STESSO, FA PRESA SPECIALMENTE SU QUEI POVERETTI AMMALATI O HANNO PAURA DI AMMALARSI, TUTTO QUI

Zinco ha detto...

Meno male che ci sei tu ad urlare la tua verità; mai andato da un cartomante ma se invece metti il tuo nome e cognome, invece che nasconderti come utente anonimo, ti faccio vedere come i Morti ti cambiano la vita. Prima di dire che sei competente in queste cose, ne hai di libri da leggere. Il Lukumi cambia la vita delle persone, come qualsiasi religione sentita, la Fede e' Fede, ma probabilmente e' inutile sia qui a spiegarlo, dalle tue poche parole di capisce che badi solo al Corpo e non allo Spirito; mi auguro che in altre vite la penserai in maniera diversa.
Cordialità.

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