15.11.16

Settecento: la conversazione e i suoi errori. Da Swift a Morellet (Tiziano Scarpa)

Giovanni Grevenbroch, Nobili veneziani al caffé (1754)
Ho letto un piccolo saggio ai tavolini di un bar. Accanto a me, un turista raccontava alla sua amica una situazione singolare. È stato ospite in casa di un'estranea, e si è trovato a farle da segretario sentimentale: lui non c’entrava niente, ma si è sentito spontaneamente in dovere di incastrarle per bene gli appuntamenti, di «coprirla» con delle scuse parlando al telefono con una folla di spasimanti. A un altro tavolino quattro pensionati veneziani commentavano una bega per il parcheggio delle barche in un canale, si scaldavano contro i privilegi del posto-barca.
André Morellet
L'arte di conversare (trad. di Valeria Gianolio e Marco di Castri, il Melangolo) è un breve scritto di André Morellet, enciclopedista amico di Diderot e d'Holbach. Si tratta di un commento a dieci paginette di Jonathan Swift, Note per un saggio sulla conversazione, riportato in appendice. Per Morellet la conversazione perfeziona la società: ha fondato addirittura i concetti di vizio, virtù, dovere, ecc., raffinando la mera soddisfazione dei bisogni primari. Ed è anche la situazione dove i pochi lettori di trattati diffondono nuove teorie presso i non-lettori pigri. 
Ampliando le argomentazioni di Switt, Morellet elenca undici errori che rovinano la conversazione fra gli uomini: 1) la disattenzione; 2) l'abitudine di interrompere e parlare più di uno alla volta; 3) l'ansia di dar prova di spirito; 4) il parlare troppo di sé; 5) il dispotismo nel dirigere il filo del discorso; 6) la pedanteria; 7) la mancanza di coerenza; 8) la tendenza alla battuta di spirito; 9) lo spirito di contraddizione; 10) gli attacchi personali; 11) sottrarsi alla conversazione generale per continuare a parlare in due o tre.
Davvero a qualcuno di voi è capitato di partecipare a una conversazione fra dodici, venti persone? Il Settecento è preistoria fossile? Abbiamo delegato tutto ai salotti televisivi?
Qualche aforisma sulle chiacchiere fruttuose. Michel de Montaigne: «Mi piace, fra galantuomini, che ci si esprima coraggiosamente, che le parole vadano dove va il pensiero. Bisogna irrobustire il nostro udito e indurirlo contro la dolcezza del suono cerimonioso delle parole». George Cristoph Lichtenberg: «Non bisogna mai giudicare un uomo da quello che ha scritto ma da quello che dice in compagnia di uomini a lui pari». Jean Baudrillard: «Due situazioni interessanti: quando il pensiero va più veloce della lingua, quando la lingua va più veloce del pensiero. Il peggio, è quando il pensiero e il linguaggio vanno di pari passo: lì comincia la noia».


“alias – il manifesto”, 7 agosto 1999

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