25.11.16

Oligarchi v/s resto del mondo (Roberta Carlini)

Dell’1% sappiamo, ormai, quasi tutto. È del restante 99% che sappiamo assai poco. E le disparità che si sventagliano all’interno della massa delle persone distanziate dall’élite del top 1% non sono meno importanti. Nel loro libro Diseguaglianze (Laterza, 2016) i due economisti Maurizio Franzini e Mario Pianta si propongono di spiegare “quante sono” le diseguaglianze che ci affliggono, prima ancora di dire “come combatterle”.
Nel secolo scorso, scrivono i due, tutto era più lineare: le differenze nei redditi e nella ricchezza erano in un modo o nell’altro collegate alla struttura di classe della società. Al trovarsi dalla parte del capitale, o del lavoro. Bei tempi semplici. Adesso, la dicotomia capitale/lavoro (e la ripresa di quota distributiva e potere del primo, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso) è solo uno dei quattro motori della diseguaglianza, nella ricostruzione di questo libro. Seguono gli altri tre: il “capitalismo oligarchico” – la mirabolante e ingiustificata crescita dei redditi al top, in un intreccio tra potere economico e influenza politica; l’individualizzazione (spinta al massimo dalla concorrenza tra lavoratori e carriere, e dalla frantumazione del mercato del lavoro); l’arretramento della politica con la sua rinuncia a metter mano alla questione della diseguaglianza. Che qui è indagata nelle sue cause, oltre che nei suoi numeri; per arrivare alla conclusione che la questione è complessa ma non irrisolvibile.
Bisognerà – sorpresa – portare un po’ più di mercato e concorrenza ai piani alti (dove la meritocrazia è sostituita dall’oligarchia), e stendere protezioni su quelli più bassi. Il libro è dettagliato e le proposte a tutto campo, ma ne citiamo qui due, relative ai redditi più alti e ai più bassi: prevedere un tetto massimo nel rapporto tra i compensi del top management e quelli dei dipendenti, ed escludere da appalti pubblici e incentivi fiscali le imprese che non ci stanno; e introdurre un salario minimo per chi vive del proprio lavoro. Sono solo due esempi di misure di policy possibili; ma soprattutto, scrivono gli autori, occorrerà invertire una rotta culturale; per riconoscere che «l’avidità ha poco a che fare con il dinamismo economico e, invece, molto a che vedere con i comportamenti socialmente pericolosi».


pagina 99, 30 aprile 2016

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