12.12.16

Renato Solmi, il caso Fofi e i Minima Moralia (Luigi Reitani)

Tante le morti pesanti degli ultimi anni. E qualcuna rischia di essere dimenticata, come quella di Renato Solmi, la cui intelligenza di intellettuale viene ricordata insieme alla rara efficacia comunicativa dello scrittore in questo articolo dello scorso anno sul “Sole”. Non posso non rilevare un refuso: il libro di Fofi che Einaudi rifiutò si intitolava L'immigrazione meridionale a Torino (“meridionale”, non “intellettuale”). Ma si tratta di peccato veniale. Assai più grave l'omissione del fatto che insieme a Solmi, per aver difeso il libro di Fofi, Einaudi licenziò Raniero Panzieri, che di Solmi fu amico caro. Si deve probabilmente a Solmi lo splendido necrologio di Panzieri sui “Quaderni piacentini”. (S.L.L.)

Era il 1954 quando la casa editrice Einaudi pubblicò Minima moralia di Theodor W. Adorno. Per la cultura italiana uscita dalla guerra, divisa tra l'eredità crociana e la rapida assimilazione di un marxismo storicista, un libro simile non rappresentava soltanto una sfida sul piano filosofico, ma anche su quello linguistico. Come rendere, infatti, un pensiero che rifiutava la sistematicità, muovendosi tra immagini e aforismi, lasciando pensare più a Nietzsche che a Marx o a Hegel? La tradizione italiana non conosceva nulla di simile: prima ancora che una terminologia, occorreva inventare uno stile. Quella sfida fu vinta e qualche anno dopo replicata a un livello forse ancora più alto.
Questa volta si trattava di Walter Benjamin, e chiunque abbia avuto in mano un esemplare di Angelus Novus, apparso nella collana dei «Saggi» nel 1962, non avrà potuto fare a meno di ammirare l’eleganza di un italiano che si lanciava in vertiginose speculazioni, formulando le immagini più ardite. Entrambe le edizioni erano aperte da lungi saggi introduttivi. La mano era la stessa del traduttore, ma la cifra questa volta era la chiarezza, la volontà esplicativa, la sapienza nell'offrire le giuste informazioni per comprendere e contestualizzare scritti di ardua complessità.
È in questo modo che Renato Solmi è entrato nella storia della editoria e della cultura italiana. Con un’opera di mediazione culturale che ha silenziosamente messo radici nel nostro Paese, dando presto i suoi frutti. Difficile non condividere le parole di Franco Fortini, che della introduzione ad Adorno scrisse: «Leggere le cinquanta pagine introduttive è chiedersi come un giovane da poco uscito d’Università abbia potuto scrivere pagine di tanta assoluta intelligenza e lucidità storica; e come simile risultato si sia dato in una situazione politica e intellettuale di chiusura, di dimissione e irrigidimento».
Figlio del poeta Sergio, Renato Solmi era nato ad Aosta nel 1927 e si era laureato a Milano in storia greca con una tesi su Platone. Dopo aver lavorato giovanissimo all’Istituto di studi storici di Napoli, ancora vivo Croce, era divenuto redattore dell’Einaudi nel 1951. Fondamentale fu per lui un lungo soggiorno a Francoforte tra il 1956 e il 1959, dove conobbe di persona Adorno e Horkheimer.
Ritornato a Torino, fu tra i protagonisti della casa editrice di via Biancamano fino al “caso Fofi”, che gli costò nel 1963 il licenziamento, per aver caldeggiato in modo ritenuto non consono agli equilibri interni dello Struzzo l’inchiesta sull’Immigrazione intellettuale a Torino, che poi uscirà da Feltrinelli. Con l’Einaudi Solmi firmerà tuttavia altre prestigiose traduzioni dal tedesco e dall’americano. Per trent’anni insegnerà storia e filosofia nei licei di Aosta e Torino, collaborando ai «Quaderni piacentini» e ai «Quaderni rossi». I suoi scritti sono raccolti nel prezioso volume Autobiografia documentaria (Verbarium-Quodlibet, Macerata 2007). Renato Solmi è scomparso lo scorso il 25 marzo.


Il Sole 24 Ore Domenica, 29 marzo 2015

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