LOS ANGELES
Sul set di
Smorgasbord, nel «Tbs» (The Burbanks Studio), accanto agli
studi di Universal, Warner Brothers e Columbia, l’atmosfera
particolarmente rilassata e ridanciana fa immediatamente capire che
non siamo di fronte al solito film: questa volta dietro la macchina
da ripresa c’è Jerry Lewis, al suo primo film hollywoodiano in
veste di regista, in più di 12 anni (Bentornato Picchiatello,
il film da lui diretto dopo dieci anni di assenza dal cinema, è
stato girato in Florida, tre anni fa). Questa volta Jerry Lewis ha
dietro di sé una produzione (la Orlon) ben organizzata, un budget
che pur essendo al di sotto della media odierna dei film di
Hollywood, è pur sempre di proporzioni considerevoli (5 milioni di
dollari).
Al mio arrivo regista,
attori, controfigure, comparse, aiuti e direttore della fotografia
(John Finnegan, socio di vecchia data di Lewis in molti del suoi
film) stanno sistemando la prossima scena: Lewis è in calzoncini
corti, una sigaretta in bocca, e fa ripetere a un attore con camicia
rossa e pantaloni blu i movimenti di un barcollamento e caduta in
seguito all’investimento di un uomo in bicicletta. Si gira di
fronte a una agenzia di autonoleggio, in una delle strade di questo
vecchio e rispettabile studio, le cui facciate posticce stanno
cominciando a dare chiari segni di decadenza. Un lato della strada è
stato rimesso in sesto proprio per questa scena; le finestre
dell’ufficio dell’agenzia sono pulite e riflettono i vetri rotti
della casa dall’altra parte delia strada; Lewis e Finnegan devono
sistemare la macchina in modo che il riflesso non si noti. Si prova
la scena una, due, tre volte. Finalmente Jerry sembra soddisfatto e
scompare. Ritorna pochi minuti dopo, vestito di blu e rosso, identico
alla controfigura che provava la scena poco prima.
Jerry si mette dietro la
macchina da presa, controlla l’inquadratura fa spostare delle
persone, chiede l’opinione di Finnegan. Quando tutto è a posto
Jerry va in scena, questa volta davanti alla macchina da presa, si
guarda intorno, e quando sono tutti pronti e gli assistenti hanno
ottenuto il silenzio totale sul set, è lui stesso a dare il via,
urlando: «Rolling!». Un’altra occhiata, ed è «Action!», e il
meccanismo comincia a muoversi alla perfezione, secondo le
indicazioni ricevute. Passa l’uomo in bicicletta, investe Jerry:
Jerry fa un palo di giravolte, strabuzza gli occhi, fa due smorfie e
cade lungo disteso per terra. Pochi secondi dopo, è sempre lui a
urlare «Cut!», si alza in piedi, si spolvera la giacca e va di
nuovo dietro alla macchina da presa per controllare la scena appena
girata sul video montato a fianco della Panasonic, mentre il brusio
sul set ricomincia. Lewis, e questa è una cosa che pochi sanno, fu
uno del primi registi americani ad adottare il sistema di ripresa
simultanea su video e su pellicola, per controllare la riuscita di
ogni scena; molto prima di Francis Ford Coppola e del suo cinema
elettronico. In questo modo, sostiene, risparmia un sacco di tempo e
denaro, non riprende inutilmente scene venute bene e fa rifare
immediatamente una scena mal riuscita, senza dover aspettare il
giorno dopo.
La sua conoscenza tecnica
del mezzo cinematografico è tale che la Panasonic gli ha riservato
un onore toccato a pochi registi: gli ha regalato un «viewfinder»
personalizzato, che Jerry porta costantemente al collo, per
controllare l’inquadratura quando prepara una scena.
Sul set di Jerry Lewis le
pause fra una scena e l’altra sembrano meno noiose: il regista
sembra voler divertire il pubblico ad ogni costo, anche quando si
tratta della troupe. All’improvviso si sente una risata generale: è
Jerry che attraversa di corsa la strada, con lo sgambetto che l’ha
reso famoso, facendo sberleffi a una ragazzina e inseguendola a
quattro zampe sotto i tralicci delle luci, sotto le scale e fra i
cavi sparsi ovunque. «Che stai facendo Jerry», gli chiede Joe
Stabile, suo manager da vent’anni. «Mi sto rendendo ridicolo, come
al solito», risponde il regista-attore, e, subito dopo trovata per
terra una palla da tennis, chiede l’attenzione di tutti: «Scommetto
che riesco a rompere un vetro su tre tiri!», grida, e comincia a
lanciare la palla contro il secondo piano della casa in rovina
dirimpetto a quella dove sta girando, riuscendo, in effetti, a
rompere varie finestre. Tira fuori del biglietti da venti dollari:
«Venti dollari a chi rompe altrettanti vetri! ». sfida. Sono in
molti a provarci, Jerry distribuisce i soldi come fossero
cioccolatini.
«Questo è un film
abbastanza particolare», mi dice uno degli aiuto registi.
«L’atmosfera sul set dipende molto da chi sta in cima, e qui in
cima c’è solo Jerry, che è un regista molto calmo».
Altra pausa per spostare
le macchine per la ripresa seguente, di nuovo all’aperto, dietro
l’angolo rispetto alla prima. Questa volta Jerry deve accettare
l’uso di un cascatore (il suo personaggio deve infrangere i vetri
di una finestra e rotolare per strada) perché la compagnia di
assicurazione non gli permette di eseguire personalmente scene troppo
pericolose. Jerry è ovviamente seccato: «Un attore si può sempre
sostituire», mi spiega, «ma se il regista si fa male il film si
ferma e la produzione perde un sacco di soldi. Vorrei poterla fare io
stesso questa scena. Io sono bravissimo a fare queste cose; le faccio
da anni, so come muovermi e cadere in modo giusto e divertente. Non è
giusto prendere un giovane inesperto e pretendere che in due ore di
prove riesca a fare quel volo altrettanto bene di come lo farei io!».
Tuttavia deve accontentarsi, e dopo aver preso parte Finnegan per
un’ennesima chiacchierata a quattr’occhi, torna vicino alle
macchine da presa.
Si ricomincia: le
Panasonic sono pronte. Jerry controlla un’ultima volta inquadratura
per inquadratura gli schizzi che ha preparato con l’aiuto di un
disegnatore: «Qui non si muove una foglia se non lo dico io», mi fa
notare. «Il film è mio, sono io che imposto ogni scena, che decido
ogni battuta che giudico come vada fatta ogni cosa. E nella fase di
montaggio, sono lo a dire al mio montatore come tagliare ogni scena.
Ma non sono un dittatore. Questa gente lavora con me, non per me: li
vedi come sono affiatati? Un qualunque idiota può essere un capo, ma
ci vuole un essere umano per lavorare con la gente».
Il suo programma di
lavoro è intensissimo: ogni giorno, dopo le riprese, alle quattro
del pomeriggio, Jerry e i suoi collaboratori più stretti si chiudono
in una sala di proiezione per vedere le riprese filmate durante il
giorno. Subito dopo Jerry è di nuovo al lavoro per preparare le
scene del giorno dopo, con il direttore della fotografia e il suo
primo aiuto regista.
Jerry è sbrigativo e
arrogante con i giornalisti presenti, confermando la fama di
megalomane rompiscatole che si è costruita a Hollywood; ma può
contare su un gran numero di persone sempre pronte a prendere le sue
difese.
«Devi cercare di
capirlo», mi spiega la pubblicista della Orion che mi ha
accompagnata sul set. «È nervoso perché questo è il suo prime
film a Hollywood in tanti anni e se benissimo che gli occhi della
critica e del pubblico sono puntati su d lui».
Questo sarà un grande anno pei Jerry Lewis: il regista ha appena in terpretato due film come attore King of comedy, diretto da Martin Scorsese con Robert De Niro, e Slapstick, diretto dal giovane Steve Paul, con Madeline Kahn. Inoltre l’autobiografia di Lewis è appena uscita in tutte le librerie americane. Un ritorno in grande stile, dice qualcuno a Hollywood.
Questo sarà un grande anno pei Jerry Lewis: il regista ha appena in terpretato due film come attore King of comedy, diretto da Martin Scorsese con Robert De Niro, e Slapstick, diretto dal giovane Steve Paul, con Madeline Kahn. Inoltre l’autobiografia di Lewis è appena uscita in tutte le librerie americane. Un ritorno in grande stile, dice qualcuno a Hollywood.
"il manifesto", 2 gennaio 1983
Nessun commento:
Posta un commento