10.12.09

Immigrati. La vera emergenza è proteggersi dagli italiani.

Riporto qui in estratto la parte relativa alla Calabria un articolo pubblicato nel sito di Terre libere, che nell'estremo Sud d'Italia (Sicilia e Calabria) associa giovani e meno giovani impegnati in forme di comunicazione altrernative, su temi e argomenti scottanti (dalla base militare di Sigonella al Ponte sullo Stretto).
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L’emergenza sicurezza? Proteggersi dagli italiani.
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Sono considerati criminali, sono ritenuti un pericolo. Nonostante le ossessive campagne xenofobe contro i migranti, in particolare rumeni, i media non si occupano delle loro condizioni, specie di quelli che lavorano nell’edilizia e nell’agricoltura in contesti caratterizzati da sfruttamento, violenza e brutalità, spesso letale. I migranti che provengono dall’Est sono spesso poco visibili, in particolare le donne che lavorano come domestiche o badanti. Gli africani vivono e lavorano in condizioni a volte peggiori rispetto a quelle lasciate nel loro continente. Nel Meridione ancora segnato da arcaismi e violenza, molti di loro sono stati barbaramente uccisi. E l’unica indagine su ‘ndrangheta e traffico di immigrati riguarda proprio i rumeni.

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Le donne dell’Est

Partono perché aspirano a vivere meglio, ma qualcosa si inceppa quando il dovere di accoglienza, di inclusione sociale e di garanzia di pari integrazione lavorativa risulta lontano. Quando problematiche sociali ormai radicate nel tessuto di un territorio favoriscono violenza e discriminazione. Vengono dal cuore dell'Europa, in particolare tra i paesi comunitari di ultima generazione. Arrivano e spesso ciò che le attende è una cultura nella quale la donna è ancora vittima di pregiudizi. Le straniere sono considerate cittadine di secondo ordine, disposte a vivere e lavorare in qualsiasi condizione.Nella Calabria con oltre 50 mila immigrati (20. 750 nella provincia di Reggio Calabria; 13.950 in quella di Cosenza; 9.910 a Catanzaro, 8.512 a Crotone e 4.701 a Vibo Valentia), attanagliata dalla ‘ndrangheta, le storie di violenza riguardano soprattutto le donne, e sfociano talvolta in omicidi, in altri casi in violenze nascoste. Tra le tante, la vicenda accaduta nel cuore della Calabria qualche tempo fa, a Rosarno, alcune decine migliaia di abitanti in mezzo alla Piana di Gioia Tauro, aranceti a perdita d’occhio ed una violenza criminale – anche minorile - degna d’una metropoli. Nell’ultima notte dell’anno 2007 Cornelia Doana, rumena, solo 17 anni, è stata uccisa da una calibro 7,65 con la matricola abrasa. Per l’omicidio si sono costituiti due fratelli, complici dell’ex convivente della ragazza. Uccisa per un motivo d’altri tempi, avere osato lasciare un uomo violento ed inaffidabile. Cornelia era arrivata in Calabria con la famiglia, padre bracciante agricolo, madre casalinga. Dalla relazione con un giovane del posto nasce una bambina, appena due mesi prima del delitto. La ragazza, però, decide di troncare il rapporto. La violenza diffusa può trasformare in tragedia anche la lite più banale. Il 2 aprile 2008, un albanese rimane ucciso a Reggio Calabria. Un quarantaduenne originario di Cutro, nei pressi di Crotone, gestore di fatto di un locale notturno reggino, ha sparato mosso dalla rabbia per essere stato affrontato da tre albanesi ubriachi che non volevano andarsene al momento della chiusura. Lulzim Hoxhaj, 22 anni, rimane ucciso.I casi più numerosi sono quelli che riguardano le badanti. Il 7 ottobre 2008 Olesia Ciobanu, moldava, 30 anni, è uccisa con due coltellate alla gola e gettata in mare. Sarà ritrovata su una spiaggia di Bovalino, sulla costa jonica reggina. Era arrivata in Italia da appena un mese.Qualche giorno dopo un pensionato di 88 anni uccide la sua badante, Eluta Ilaf, rumena, 44 anni, con un colpo di fucile. Misterioso il movente: secondo l’anziano, stava semplicemente pulendo l’arma. E’ stato lui stesso a chiamare i carabinieri, che arrivano in un anonimo appartamento e ritrovano la donna in una pozza di sangue. “Una brava persona, un uomo d’altri tempi”, testimonieranno i vicini di casa. La sera dell’8 febbraio 2009 a Staiti, un piccolo paese della locride, una telefonata anonima forniva ai carabinieri le indicazioni per ritrovare i corpi senza vita di Giuseppe Toscano, di 70 anni, pensionato e di Micaela Topala, 36 anni, cittadina romena. Il cadavere della donna è stato trovato all’interno di un casolare mentre quello del pensionato era in una automobile con lo sportello aperto, entrambi uccisi da colpi d’arma da fuoco. Misteriosa la dinamica, sconosciuto il movente: non si sa neppure se si sia trattato di un agguato o ancora di un omicidio-suicidio.Il 27 aprile 2009, a Chiaravalle, nel catanzarese trova la morte Inna Abramovia, di 35 anni. E’ appena mattina, siamo di fronte ad un asilo. Un’automobile si affianca ad un’altra, un uomo esplode numerosi colpi di fucile che provocano due morti: un pregiudicato di 48 anni deceduto in ospedale dopo una breve agonia ed appunto la sua compagna ucraina. Avevano appena accompagnato il figlio a scuola, le fucilate avrebbero potuto provocare una strage di bimbi innocenti.

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Il buco nero del lavoro in agricoltura

Il 6 gennaio del 2007 Ovidiu Candrea, rumeno di 30 anni, è al lavoro tra i campi di broccoli nei pressi di Tropea. Gli sparano contro una decina di colpi di pistola: ha pagato il fatto di essere alle dipendenze dell’altro ucciso, il vero destinatario dei proiettili. Sarebbe stato uno scomodo testimone.

L’8 agosto 2008, qualche chilometro più a nord, Hajjaj Kabli, 37 anni, marocchino, è ucciso dall’imprenditore Vincenzo Bellucci, convivente della sorella della vittima e suicida subito dopo l’assassinio. Il fatto è accaduto a Terranova da Sibari, un centro dell'alto Jonio cosentino. Bellucci ha anche ferito la convivente, Nadia Kabli, 19 anni, portata in elisoccorso nell’ospedale di Cosenza.

La piana di Sibari è anche uno dei luoghi privilegiati del lavoro agricolo nella regione. Proprio in questo settore, ed in particolare nel lavoro stagionale, si concentrano le storie più gravi di violenza e sfruttamento. Il caso più noto è quello di Rosarno. Il 12 dicembre 2008 due ivoriani venivano feriti a colpi di pistola davanti alla ex Cartiera, una fabbrica abbandonata che durante l’inverno ospita dal 1992 - in condizioni disumane - centinaia di africani impegnati nella raccolta delle arance. L’ennesimo, gravissimo, episodio di violenza contro lavoratori migranti, già sfruttati ed umiliati sui campi della Piana. Ma questa volta gli “invisibili” trovavano il coraggio della rivolta nelle strade del paese, a poche settimane dagli analoghi fatti di Castel Volturno.

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La tratta

San Gregorio d’Ippona è un piccolissimo paese nel cuore della Calabria, a due passi dalla Piana di Gioia Tauro e dagli aranceti di Rosarno. Il territorio è diviso tra i clan, confederati dal carisma dei Mancuso, specializzati nell’import di cocaina dalla Colombia ed abili a crearsi una galassia di cosche confederate nei paesini del circondario.

A San Gregorio, appunto, ci sono i Fiaré, che da qualche anno avevano esteso il campo di attività. L’occasione del traffico di donne e uomini la offre loro un basista rumeno che fa la spola tra Como e la Calabria. Il sistema funziona fino al 2005, quando scatta l’operazione “Rima”. Le volanti della Polizia arrivano di notte, invadono il paesino, prendono una trentina di persone: capo, luogotenenti e soldati. Giunti in Italia, gli uomini venivano avviati al lavoro irregolare nell’agricoltura, con compensi irrisori, le donne all’impiego domestico oppure alla prostituzione.

Nel corso degli anni oltre mille persone sono state introdotte in Italia: un percorso via terra pagato un biglietto salatissimo, un viaggio pilotato sin dalla partenza. Ogni settimana ne arrivavano una trentina. Erano attirati con falsi annunci di lavoro in Italia, dalla cameriera alla segretaria.

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