30.12.09

Walter Binni e Giacomo Leopardi. Un grande amore.


L'articolo che segue, originariamente pubblicato su "micropolis" (giugno 2009) è ora postato nel sezione contributi del sito del Fondo Walter Binni http://www.fondowalterbinni.it/contributi/Leopardi-Binni-Un-grande-amore.html

Un grande amore di Salvatore Lo Leggio

A cura di Chiara Biagioli, è uscito nel marzo per Morlacchi Editore e per le Edizioni del Fondo Walter Binni un elegante volumetto del grande italianista perugino, L’ultimo periodo della lirica leopardiana, che pubblica la sua tesina di ventunenne normalista, discussa a Pisa nel 1934 davanti a una commissione presieduta da Attilio Momigliano. Enrico Ghidetti, nella prefazione, cita un brano dal De Sanctis e Leopardi di Binni ove tra l’altro si legge: “Ogni critico ha, per dirla romanticamente con Wiechert, i poeti della sua vita e se certi incontri più fortuiti e avventati vengono respinti poi tra gli errori della gioventù, altri ve ne sono su cui l’animo e l’intelletto ritornano assiduamente quanto più l’esperienza ce ne assicura il valore profondo, e la passione meno controllata si muta in un culto attivo, in un omaggio critico e storico che mira a realizzare, a precisare, la vera, personale e storica realtà degli autori più amati”. Aggiunge Ghidetti: “Il capoverso successivo prosegue ‘Tale fu il Leopardi per Francesco De Sanctis…’, ma non è chi non veda che, mai come questa volta, de se fabula narratur”.

Condividiamo: Leopardi fu per Binni il poeta della vita, la passione che divenne culto, “la figura fondamentale del suo destino di uomo, di critico, di maestro”. Abbiamo sempre pensato che leggere poesia sia un atto d’amore e perciò non troviamo strano che per i critici (ma anche per i lettori non professionali) i poeti siano come i grandi amori: uno, due al massimo, nell’arco di un’intera vita. A noi pare che ci sia una sorta di reciprocità. Anche i poeti (o più esattamente i libri di poesia) hanno pochissimi grandi amori: nell’arco della loro durata plurisecolare sono pochissimi i critici che per una serie di circostanze riescono a realizzare con loro un rapporto speciale di conoscenza, adattività e complicità. Prendiamo Leopardi. Nel canto che finì col risultare il suo certamente involontario testamento, La ginestra, egli rappresenta il suo conflitto con l’Ottocento, “il secol superbo e sciocco” che aveva abbandonato l’Illuminismo per tentare improbabili conciliazioni tra religione e libertà, e chiaramente intuisce il rischio che la sua poesia e il suo pensiero siano sottovalutati, travisati, obliati. Invero per tutto l’Ottocento non mancò una sorta di leopardismo di maniera, né mancarono ammiratori nel campo della filologia e della filosofia (Nietzsche è di sicuro il più importante), ma ci fu un solo “critico amante” capace di rivelare la straordinaria grandezza del poeta, De Sanctis appunto. Nel Novecento poi il “maledetto gobbo” (così lo chiamava il cattolico liberale marchese Gino Capponi) subì un vero e proprio affronto da Benedetto Croce, per lungo tempo un vero e proprio dittatore del gusto (e del pensiero), che lo rinchiuse nel ruolo di “poeta dell’idillio” e ne fece un “ultimo pastorello d’Arcadia”, incapace per la sua tempra femminea di vivere la “religione della libertà”. Fu proprio Binni con tutta la sua opera critica a salvare Leopardi dalla galera in cui era stato recluso, a liberarne la natura assai più eroica che idillica, a far scoprire a un pubblico nuovo e spesso giovane l’ultimo Leopardi, complesso e modernissimo, a partire da quel La nuova poetica leopardiana, che nel 1947 segna l’avvio di una nuova fase di studi della poesia leopardiana (nello stesso anno, parallelamente, il Leopardi progressivo di Luporini segnala un nuovo approccio alla sua filosofia).

Fu l’amore di Binni a proporre a noi giovani insegnanti di liceo negli anni 70 un Leopardi nuovo, capace di parlare ai giovani che in forme spesso caotiche protestavano contro l’ingiustizia e cercavano un mondo affrancato dalla menzogna e dall’oppressione. Leggevamo e facevamo leggere in parallelo con i Canti e lo Operette morali il saggio binniano sull’insieme della vicenda leopardiana, La protesta di Leopardi; le migliori ragazze e i migliori ragazzi nel poeta e nel suo critico cercavano il senso della propria esistenza dentro la storia e lo svolgevano nei termini di una attiva solidarietà con i propri simili.

Il libro appena pubblicato, L’ultimo periodo della lirica leopardiana, ci racconta ora gli inizi di un grande amore, quello del critico verso il poeta e del poeta verso il critico. Non vi cercheremo la profondità delle pagine più mature di Binni (fino alle ultime Lezioni leopardiane): l’amore si impara e la lunga consuetudine non toglie il fascino della scoperta, piuttosto insegna le vie per farne sempre nuove, di scoperte. E tuttavia cogliere il rapporto nella sua fase germinale, statu nascenti, ci illuminerà su come un grande poeta conquisti con la propria perenne parola un grande lettore di poesia e di come, in un tempo dominato dal clerico-fascismo concordatario e in un ambiente segnato dal moderatismo crociano, un giovane perugino cerchi la libertà sua e altrui, in rapporto con i pensieri e le immagini di un altro giovane che aveva vissuto i tempi altrettanto duri della Restaurazione (e di un Risorgimento incline al compromesso). Questa esperienza e questa lettura forma anche il “compagno” Binni, quello che nell’immediato dopoguerra da apostolo propagandava la repubblica (“l’onesto e retto conversar cittadino" del poeta), quello che da deputato socialista alla Costituente voleva laici la scuola e lo stato, quello che negli ultimi tempi della sua bella vita simpatizzava con il tentativo di rifondare socialismo e comunismo. Antimoderato fino all’ultimo, radicale come l’amato Leopardi.

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