12.8.10

Quando la corruzione diventa sistema (Alberto Bisin)

E’ di qualche mese fa il rapporto di Trasparency sulla corruzione e sulla sua percezione in Italia e risale al 2 marzo 2010 l’editoriale di Alberto Bisin, da “La Stampa” dedicato alle conseguenze economiche, sociali e politiche del fenomeno: La corruzione penalizza l’intero sistema paese. Tuttavia la stringatezza del discorso e il rigore consequenziale dei ragionamenti mi pare oltremodo utile, anche in vista di una campagna elettorale che molti ritengono probabile e in cui il tema della corruzione potrebbe (dovrebbe) giocare un ruolo importante.

Le notizie di corruzione all’interno della pubblica amministrazione hanno recentemente toccato la Protezione civile, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, la Regione Puglia, la Regione Campania, i Comuni di Napoli, Bologna, Milano.
E’ ovviamente difficile avere dati «reali» sull’entità del fenomeno, per sua natura non esposto alla luce del sole statistico. Anche la «mappa sulla corruzione» fornita al Parlamento dal Servizio Anticorruzione e Trasparenza del Dipartimento della Funzione Pubblica si basa sulle denunce e produce quindi risultati distorti e per giunta poco compatibili, ad esempio, con quelli tratti dal Casellario giudiziale centrale dal giudice Davigo e Grazia Mannozzi.
La percezione di una situazione grave e in corso di peggioramento è però documentata da una ricerca di Transparency International, una delle organizzazioni internazionali più attive nello studio della corruzione: la percentuale degli intervistati che rispondono «sì» alla domanda «Il governo è molto o alquanto efficace nel contrastare la corruzione?» è scesa dal 27% del 2006 al 15% del 2008.
La corruzione è peraltro solo un lato della questione della diffusa illegalità dell’amministrazione pubblica in Italia. La commistione tra amministrazioni locali e criminalità mafiosa, soprattutto al Sud, è documentata dai 150 Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, di cui 12 dall’inizio di questa legislatura.
Così come è difficile misurare con precisione quanto sia estesa la corruzione nella pubblica amministrazione, è ancora più complesso valutarne i costi. Questo soprattutto perché ai costi diretti devono aggiungersi enormi costi indiretti quando la corruzione si fa diffusa. In un appalto truccato il contribuente finisce per pagare beni e servizi ad un prezzo che comprende le mazzette agli amministratori e una rendita all’impresa (che, pagando, si garantisce di non avere competizione). Questi sono i costi diretti.
Ma quando la corruzione diventa «sistema», la competizione ne risulta distorta, e l’intero sistema economico ne paga le conseguenze. Se gli appalti sono truccati, le imprese che li ottengono sono quelle che riescono a mantenere rapporti con la politica o con la criminalità organizzata. Imprese più efficienti ma meno «connesse» sono scalzate dal mercato. Gli imprenditori di successo sono quelli in grado di fornire vantaggi privati al politico di turno, non quelli in grado di produrre beni e servizi di qualità a basso prezzo per l’amministrazione pubblica. I casi recenti di imprenditori che guadagnano i favori del mondo politico organizzando feste e festini rappresentano un triste esempio di questo fenomeno di distorsione della competizione. Ma anche il fatto che i giovani più brillanti si iscrivano soprattutto a legge e non a ingegneria, in controtendenza col resto del mondo sviluppato, segnala un sistema economico e sociale in cui ha successo chi si sa muovere tra leggi, leggine, istituzioni, commissioni, stanze del potere.
Da annoverarsi tra i costi indiretti della corruzione è anche il disincentivo agli investimenti diretti esteri. Una delle ragioni per cui l’Italia ne riceve la metà della Francia è che le imprese straniere sanno che entrerebbero in un mercato distorto in cui faticherebbero a competere, e quindi preferiscono starne fuori. Tra parentesi, è importante notare che questa distorsione della competizione economica e della selezione delle imprese di successo è gravemente peggiorata dall’inefficienza della giustizia, specie quella civile, che non protegge in tempi ragionevoli quelle imprese che volessero competere onestamente sul mercato.
Un’altra categoria di costi indiretti della corruzione è la distorsione della competizione politica ed elettorale. La classe politica, in questo sistema, compete a livello locale attraverso il controllo economico del territorio. I politici locali sono di conseguenza selezionati non sulla base delle loro capacità o della loro onestà, ma al contrario sulla base della loro abilità ad incanalare fondi dal sistema centrale verso la propria regione e a controllarne la distribuzione sul territorio. Ed è in questo controllo della distribuzione di fondi ed appalti sul territorio che spesso i rapporti con la criminalità organizzata tornano utili.
Infine, questa distorsione della competizione politica favorisce l’ingigantimento del settore pubblico, che distribuisce fondi in cambio di controllo elettorale. Anche a questo dobbiamo un’amministrazione pubblica ipertrofica che controlla oltre il 50% del Prodotto interno lordo del Paese.
Altro che temere la «destabilizzazione del sistema» ad opera dell’attività giudiziaria, come ha dichiarato il ministro Scajola. E’ proprio questo «sistema» che condanna il Paese alla stagnazione ai margini del mondo sviluppato.

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