11.12.10

Girolamo Li Causi: u 'zu Mommu (di Elio Sanfilippo)

Non era raro, nei catoi dei quattro mandamenti di Palermo, trovare appesa al muro di quelle case fatiscenti oltre alla fotografia dei propri cari, di san Giuseppe, quella di Girolamo Li Causi. Questa devozione non divenne mai, però, culto della personalità. Culto che, nel caso di altri capi comunisti, compreso Togliatti, celerà finzione, adulazione, ipocrisia.
Lui era U ‘zu Mommu, secondo il costume dei siciliani, che chiamano zio chiunque susciti rispetto, ammirazione o amore.
Concetto Marchesi ne parlava così: “Non posso dire quando sia entrato nella mia vita. Mi pare dei avere sempre amato e desiderato quest’uomo, di avere visto sempre quel suo volto di siciliano e di comunista, di essere stato sempre accanto a questo compagno ed amico inebriato di coraggio e ricco di saggezza, la cui vita scorre come un flusso ristoratore nella vita di tanta gente che da secoli aspetta dentro l’impassibile cerchia di una esistenza dannata il soccorso dell’uomo forte e giusto […] un redentore: da quando è tornato non si sentono più soli i derelitti e gli affaticati dell’isola sua”.
Per Carlo Levi “Li Causi è l’uomo più popolare della Sicilia, il suo coraggio, la sua figura hanno un richiamo leggendario, la sua parola tocca i cuori, perché egli parla con la lingua del popolo , con conoscenza e amore”. A parte le valutazioni di carattere politico, Paolo Bufalini vede in lui anche un poeta, quando gli sente descrivere il bracciante siciliano: “Ci aveva due occhi come due stelle in fronte” e, in un comizio a Trapani, lo sentirà evocare le saline come “quelle bianche colline di sale”. Per Marcello Cimino era “un meraviglioso agitatore delle campagne: semplice e cavalleresco, forte e genuino, geniale e grossolano. Era togliattiano nettamente, ma aveva certi atteggiamenti più simili a quelli di Secchia”. Ed era questa grossolanità che lo rendeva amato dal popolo, ma anche dagli intellettuali che vedevano in lui l’uomo d’azione che li ripagava delle loro frustrazioni perché incarnava la Sicilia di quel tempo e in quella Sicilia si identificava, senza riuscire a distaccarsene.

In Quando eravamo comunisti, Edizioni Passaggio, Palermo 2008

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