18.12.10

Ai livornesi piace il rosso. Il pomodoro e l'inno di Garibaldi.

Ai livornesi piace il rosso.
Piace come colore politico. Un tempo grande fornitrice di volontari garibaldini e, data la richiesta, produttrice di camicie rosse, la città è poi diventata tra le più socialcomuniste d’Italia e ancora oggi, nonostante tutto, pare sia alta la concentrazione di rossi che resistono al tempo e ai tempi.
Il rosso, sia pure nella variante amaranto, è poi il colore della squadra di calcio amatissima dalla città portuale.
Infine piace il pomodoro e il suo rosso sugo. C’è chi sostiene che il pomodoro sia per i livornesi ciò che il peperoncino è per i calabresi e cioè che lo mettano dappertutto. Di sicuro colora le famose ricette di pesce della città: il baccalà alla livornese, le triglie alla livornese, il palombo alla livornese, le cozze alla livornese fino al magnifico “caciucco”, la celebrata zuppa di mare.
Un giro per la rete mostra che anche per molti piatti di carne il pomodoro è, nella cucina livornese, ingrediente ineliminabile. Ho scoperto il sito di una “nonna Geca”, livornese orgogliosa e appassionata di cucina ( http://nonnageca.blogspot.com/ ); vi ho trovato, per esempio, uno “zampuccio di maiale” arricchito, come risposta calorica al gran gelo di questi giorni, ove non manca a dar colore e sapore il concentrato di pomodoro. Eccolo.

Zampuccio di maiale coi fagioli
Neve a Livorno, un evento quasi eccezionale, traffico in tilt, marciapiedi ghiacciati, un freddo da morire, allora ho preparato al geco un  piatto bello calorico, con lo zampuccio. Per non rischiare di farlo troppo leggero ho aggiunto anche i fagioli, alla fine è diventato un piatto unico.
Ingredienti: 1 zampuccio di maiale, 200 gr di fagioli borlotti, aglio, alloro, concentrato di pomodoro, olio extravergine, sale.
Per prima cosa lavare bene lo zampuccio e farlo bollire con cipolla, carota e sedano. Nel frattempo cuocere i fagioli, precedentemente ammollati. In un tegame far dorare l'aglio nell'olio, aggiungere l'alloro ed un cucchiaio di concentrato, 1 ramaiolo del brodo di cottura dello zampuccio e far ritirare, dopo aver aggiunto il sale. Unire poi lo zampuccio, i fagioli e portare a cottura.
Ancora più rosseggiante di pomidoro è una seconda ricetta del blog di nonna Geca, che è chiamata “inno di Garibaldi” e rientra nella cucina del riuso.


Inno di Garibaldi
Dove c'è brodo c'è lesso, ma non a tutti piace e bisogna inventarsi il modo di renderlo gradito. Oltre alle polpettine con le patate, nella tradizione livornese ci sono anche due ricette da preparare con il pomodoro, la francesina e l'inno di Garibaldi. Piatti del passato, quando la carne era un lusso e con un pezzetto si sfamava una famiglia, arricchendola con le patate ed il sugo, per mangiarci tanto pane. Non per niente abbiamo anche la "minestra su' discorsi" e "il brodo di sassi", preparate con acqua, odori,  e poco di più. L'immaginazione e l'ironia non mancavano mai.
Ingredienti: lesso, pomodori o conserva, patate, olio extravergine, aglio, rosmarino, sale, pepe.
Le quantità variano in base al lesso avanzato ed ai gusti. Per prima cosa si prepara una salsa di pomodoro con olio, aglio e rosmarino. Si aggiungono le patate a tocchetti, sale e pepe. Quando sono cotte unire il lesso tagliato a pezzetti e far insaporire pochi minuti.
Dell’inno di Garibaldi per riciclare il lesso ragionava il 18 novembre su “La Stampa” Rocco Moliterni nella sua rubrica Fratelli di Teglia. Dopo aver ironizzato un po’ grevemente sul poeta risorgimentale Mercantini e sull’inno “Si scopron le tombe”, che gli ricorda un celebre film horror di Romero, Moliterni considera: “Che questo inno abbia potuto dare nome a un piatto è una cosa singolare che solo a Livorno poteva accadere. I livornesi, si sa, sono bizzarri, così nell’800 chiamarono «Inno di Garibaldi» una specialità della loro cucina povera: si faceva (e si fa) con lesso avanzato, patate e pomodori pelati. Proprio il colore dei pomodori rimanda alle camicie rosse. La tradizione vuole che queste siano state usate per la prima volta da Garibaldi (Eroe dei Due Mondi) quand’era a Montevideo. Erano quelle usate dai lavoratori del macello della capitale uruguaiana. Quindi che l’Inno di Garibaldi sia il nome di un piatto di carne chiude il cerchio”.

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