21.12.10

Sandro Penna e Perugia. "La mia città sono io" (di Vanni Capoccia)

Riprendo, autorizzato, una nota di fb, profonda e ricca di suggestioni, dell'ottimo Vanni Capoccia. Da leggere. (S.L.L.)
Vanni Capoccia
E’ opinione diffusa, anche perché Sandro Penna fece di tutto per propagandarla, che Penna scrivesse le sue poesie di getto. Illuminato da un’ispirazione fulminante.
Io, invece, penso che le sue poesie siano il frutto di estese meditazioni, di un lavoro sui sentimenti e sul testo. Lavoro che forse non veniva fatto a tavolino, ma che Penna esercitava.
Frutto di questo lavorio è Era la mia città. Poesia nella quale Penna dimostra, ancora una volta, quale straordinario narratore di se stesso sia stato:

Era la mia città, la città vuota
all'alba, piena di un mio desiderio.
Ma il mio canto d'amore, il mio più vero
era per gli altri una canzone ignota.

                                                     *   *   *
Sandro Penna se ne andò da Perugia quando aveva all’incirca 23 anni. Vi tornò una volta sola, dopo 14 anni, per acquistare la pastina glutinata da rivendere a Roma al mercato nero.
Un rientro che non deve averlo lasciato indifferente se scrisse un appunto su quel ritorno nella sua città. Appunto, ritrovato tra i pochi fogli che Penna conservava in una scatola di cartone, che Repubblica pubblicò il 22 settembre 1990. In quella pagina di giornale c’è scritto:
"Sono tornato a Perugia dopo quattordici anni. Quante volte ho sognato di tornarvi all' alba, sconosciuto, per meglio risentire ogni ricordo. E sono arrivato all' alba. […] Non vorrei, ora, tornare a Roma e amo di essa più Perugia, ma capisco bene, qui, l' amore per Roma che è stato il più forte della mia vita. Mi pare che la mia città sono io e Roma sia l' amore, portato fuori di sé in un secondo tempo".
Le parole chiave di questa citazione sono sogno, alba e città anzi: “la mia città”. Parole chiave che ritroviamo in Era la mia città (Il sogno è diventato desiderio).
La poesia è figlia di quell’appunto e Penna, come sempre ha fatto, vi ha cancellato ogni riferimento temporale, storico o di luogo.
Già questo potrebbe essere sufficiente per dire che la poesia sia, diciamo così, perugina. Ma ci sono altri indizi che lo confermano. Penna scrive: “Ma il mio canto d’amore, il mio più vero / era per gli altri una canzone ignota”.
“Ma” è un’avversativa, a quale tipo di canto si oppone questa “canzone” del canzoniere penniano?
Ai “giardinetti” di Perugia (i Giardini Carducci) c'è un busto del poeta toscano, dietro al cippo che lo regge sono incisi alcuni versi di un suo canto: Il Canto dell'Amore. E Penna, ripensando a quei giorni perugini, si sarà detto: “A Carducci, che nemmeno è perugino, hanno dedicato dei giardini ed un busto. Di me e delle mie poesie non sanno niente”.
Ma tutti questi indizi sono poca cosa di fronte a quel per gli altri che taglia la testa al toro. Basta quello per capire. Penna intendeva: Gli altri perugini come me. A Perugia quando diciamo gli altri, d'acchito non pensiamo a quelli diversi da noi, ma a quelli come noi. E' un altri che include.
Poi, poco prima che Penna morisse il pittore Schifano girò un video su di lui. Penna vecchio, dimesso, malato sta seduto sul letto. Ad un certo punto, con la bocca impastata dalla piorrea e dagli psicofarmaci, legge questa poesia e dice a Schifano che è dedicata a Perugia.

                                                                  *   *   *
Tutte queste parole per dire che le poesie di Sandro Penna ad ogni lettura offrono qualche riflessione. Così come nascono, si svelano: piano, piano.
E’ per questo che vanno lette e rilette. Se non c’è nessuno che vi ascolta e ride di voi ogni tanto leggetele a voce alta (aiuta ad ascoltarne il suono). Qualcuna sarebbe bene impararla a memoria.
Io, per esempio, questa la conosco a mente. Non ci credete? Adesso la riscrivo a memoria così potete rileggerla:

Era la mia città, la città vuota
all'alba piena di un mio desiderio.
Ma il mio canto d'amore, il mio più vero
era per gli altri una canzone ignota.
                                     Sandro Penna

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