12.8.11

Leopardi gastronomo (di Rocco Moliterni)

Il 9 dicembre del 2010 Rocco Moliterni dedicava la sua rubrica su “La Stampa” Fratelli di teglia a Giacomo Leopardi e al cuoco di casa Ranieri, Pasquale Ignarra, che gli rese meno gravi gli anni di Napoli. Un ricordo che vale la pena di socializzare. (S.L.L.)
L’iconografia di Giacomo Leopardi ci consegna il poeta pallido, emaciato, dedito alle «sudate carte» ove di lui «si spendea la miglior parte». Ma oltre a quella migliore il poeta aveva probabilmente anche un’altra parte, se non dedita, quanto meno interessata ai piaceri della tavola, probabilmente legata al suo Dna marchigiano.
Così tra il 1834 e il ‘37, nella Napoli dove l’aveva condotto l’amico Antonio Ranieri, Giacomo sembra un po’ riprendersi non solo per l’aria sopraffina (allora la monnezza non era un problema) ma anche per le prelibatezze culinarie. Le scopriva grazie ai piatti che gli preparava Pasquale Ignarra, il monzù di Ranieri (traduzione anch’esso dal francese monsieur, questo termine non equivale però al monsù torinese, che sta per signor, ma è l’appellativo che si dava a Napoli e a Palermo al cuoco di una casa patrizia).
Ignarra in gioventù era stato rivoluzionario e aveva sostenuto la repubblica del 1799. I suoi piatti piacquero talmente a Leopardi che si trovò a stilare una lista di 49 specialità. Il che ne fa una sorta di precursore dell’Artusi, il gastronomo che nel 1882 diede forma sistematica alla cucina italiana. La lista (riproposta da Leopardi a tavola, Fausto Lupetti ed., 2008) parte con i tortellini di magro e si chiude con la farinata di riso. In mezzo c’è un po’ di tutto ma abbondano i budini, le frittelle (di borragine, di pere o mele), gli gnocchi (di patate, di polenta, di semolino). Molti sono i piatti di verdura, non mancano polpette, pasticci vari, pesce e fegatini. Sempre caro gli fu Pasquale Ignarra.

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