23.4.14

2011. Il ritorno di Di Vittorio (Michele Fumagallo)

Il rapporto non risolto col passato è, senza alcun dubbio, una delle cause della crisi attuale. Non avere avuto, poi, la capacità di portare nel futuro il buono del passato (senza di cui nulla di veramente nuovo può nascere) è stata anche la colpa grave della sinistra politica. Da qui bisognerebbe ripartire per ridare senso alle cose e ritessere il filo smarrito.
È dunque in questa prospettiva che si ritorna a parlare di Giuseppe Di Vittorio, grande figura della sinistra del Novecento, sia in film e documentari che in libri. E ritornano documenti dimenticati della sua vita ricca di avvenimenti come poche altre. Naturalmente in quest’opera di scavo non manca l’impegno della Cgil e della Fondazione che porta il suo nome. Anche se, va aggiunto, non guasterebbe un’attività di ricerca politicamente (e polemicamente) più ricca, più spostata su ciò che la sua vita e il suo pensiero può dare al movimento operaio del presente.
È stato pubblicato un corposo volume della casa editrice Ediesse, Sotto stretta sorveglianza. Di Vittorio nel Casellario politico centrale (1911-1943) a cura di Francesco Giasi, Fabrizio Loreto e Maria Luisa Righi (pp. 784, euro 30). Va subito detto che è una lettura di straordinario interesse, sia dal punto di vista storico che antropologico. La ricca antologia di documenti che testimoniano l’attività repressiva verso Di Vittorio da parte degli organi dello stato, è infatti uno spaccato incredibile di 32 anni di sorveglianza. In cui si leggono, nello stesso tempo, la ricchezza dei rapporti e delle lotte dell’allora segretario della Cgil (incontri e dibattiti con grandi personaggi che vivono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo; le lotte esaltanti per il diritto di sciopero; relazioni con militanti impegnati per il rinnovamento dello stato dopo il disastro della prima guerra mondiale; scambi e discussioni con oppositori tenaci alla dittatura fascista), e la povertà culturale degli organi dello stato, spia di una fragilità nella formazione della nazione italiana.
Per Giuseppe Di Vittorio il «battesimo del fuoco», inteso come prima segnalazione di attività «sovversiva» da parte del prefetto di Foggia, fu la partecipazione a una manifestazione pacifista in cui vennero distribuiti manifestini contro la guerra in Libia. Era il 2 novembre 1911 e da allora fino
al 1943 Di Vittorio «presidente del circolo socialista di Cerignola», «accentuato sovvertitore» anche
se «lavoratore assiduo» venne messo «sotto stretta sorveglianza».
Il volume si dipana in una mole impressionante di documenti (con note preziose) che attraversano tutta l’attività politico-sindacale di Di Vittorio: dalle lotte prefasciste nella sua Puglia alla galera, dalla fuga all’estero al confino a Ventotene. E scavano anche nella sua vita privata dove emerge una struggente capacità di resistenza al dolore. Come in questa lettera alla madre, dopo la morte della moglie: «La mia buona, affettuosa Carolina non c’è più. È morta ieri nelle mie braccia. Non credeva
di morire. Si illudeva di vivere. Si è addormentata nel sonno eterno con un’espressione di serenità. È inutile dirvi il mio dolore e quello dei miei bambini. Ma io sono forte, mi faccio coraggio, non mi farò abbattere neppure da questa sventura».


il manifesto, 9 novembre 2011

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