9.4.14

Delitti nel tinello. Pochi femminicidi nei gialli italiani (Giampaolo Simi)

Da anni si consuma in Italia uno spaventoso crimine seriale, ma un suo aspetto peculiare ci ha impedito di riconoscerlo come tale. Sono infatti simili le vittime, è ripetitivo il modus operandi, è ricorrente la figura dell'assassino. La novità agghiacciante è che ogni volta il killer viene arrestato –anche facilmente –, ma il massacro continua. Il testimone sembra passare da un assassino all'altro. Come un virus.
E allo stillicidio di donne uccise dai loro compagni, mariti o ex-tali si è infatti riconosciuto un carattere endemico e si è dato anche un nome, “femminicidio ”.
La domanda è: che ruolo ha svolto la narrativa del crimine di fronte a questo fenomeno? È rimasta fedele a quanto diceva Ernest Mandel, secondo cui “l'evoluzione del romanzo poliziesco riflette l'evoluzione del crimine stesso”?
Nel giallo italiano muoiono molte donne per mano di uomini. Ma non è il quanto che ci interessa. È il come: come questi delitti vengono raccontati. Ne La vampa di agosto, per esempio, Montalbano scopre in un seminterrato il cadavere di una ragazzina. Decide tuttavia di rimandare la denuncia al giorno dopo per salire al piano di sopra e godersi una serata di sesso con la sua Livia. Come mai tanta insensibilità per una vittima, giovane e femmina, in un prototipo di progressismo come Salvo Montalbano? Non è affatto una sbavatura del personaggio, è anzi perfetta aderenza alla propria formula. In Camilleri la morte non irrompe mai sulla scena con il suo potere devastante: è uno stato (qualcosa di già stato) ormai irreversibile. È quindi tenuta a distanza, nel tempo e nello spazio, in una caverna o in una cantina chiuse da anni, nel mare o in una villa isolata. Nel giallista italiano più seguito il fulcro stesso dell'atto criminale, la morte, non esiste se non come pretesto necessario, ma più remoto possibile, al gioco dell'indagine.
Nella realtà dei fatti il femminicidio lascia invece all'indagine uno spazio quasi nullo, perché i colpevoli di questi delitti spesso confessano o si costituiscono – quando non si suicidano. Magari hanno tentato la fuga o rabberciato qualche alibi, ma una volta messi alle strette crollano entro poche ore. Il gioco non può iniziare perché uno dei giocatori ha già rinunciato alla partita. Anche quando il femminicidio è stato deciso a freddo, la mente di questi assassini non è stata capace di pianificare niente oltre il delitto. Uccidere la donna che hanno (o hanno avuto) accanto è stato certificare con il sangue il proprio totale fallimento. Talvolta rivendicano al proprio delitto il tentativo impossibile di ripristinare un ordine, cioè lo status quo ante di una relazione amorosa ormai defunta. Un perverso parallelismo con lo stesso compito, e il più grande limite, che si riconosce all'indagine su un delitto.
Restiamo in cima alle classifiche italiane, restiamo nel giallo. Il suggeritore di Donato Carrisi si apre con il ritrovamento di sei piccole braccia sepolte in un bosco. Nessuno, in questo caso, si sogna di dire “okay, vado a cena con la fidanzata, poi torno”. Siamo in un thriller, il tempo è prezioso e poi si scopre che appartengono tutte a delle bambine. Se il “bpm” della narrazione deve salire subito, sei braccia sono meglio di una, sei braccia di bambini sono meglio di sei braccia di adulto, sei braccia di bambine sono il massimo del mostruoso. L'elemento femminile è quindi al massimo della scala dei gradienti emotivi. Tanto più piccole e indifese le vittime, tanto più insopportabile il crimine, tanto più desidereremo trovare il colpevole e buttare la chiave senza zavorre psico-sociologiche. Laddove Camilleri tiene la morte e la violenza a debita distanza dal lettore, Carrisi le usa invece per mettere fra noi e l'assassino il recinto di sicurezza della psicopatologia estrema. Ma non di rado le donne italiane sono state uccise da uomini tutt'altro che diagnosticabili come violenti o antisociali.
Ho citato questi due autori perché, con il successo dei loro diversi paradigmi e con i rispettivi epigoni, rappresentano due modelli oggi dominanti. Due modelli estranei a tutto ciò che non offra gratificazioni investigative al loro eroe e rassicurazioni emotivo-giudiziarie ai loro lettori. Inadeguati quindi a raccontare il lento massacro delle donne nei tinelli d'Italia per come davvero è: una violenza scarna, anonima e terminale.
Eppure si può fare. Altrove si è fatto e si fa. Georges Simenon, accanto alla serialità di Maigret, crea storie di oscuri assassini come L'uomo che guardava passare i treni o Lettera al mio giudice. David Peace percorre in chiave criminale l'Inghilterra del declino laburista e dell'ascesa thatcheriana secondo una variante post-moderna e più angosciosa delle convinzioni di Mandel: “i delitti del nostro tempo contribuiscono a definirci e, in ultima analisi, a dannarci”. Anche se non siamo i condannati in quanto colpevoli, in alcuni crimini si agitano i nostri fantasmi e le nostre contraddizioni. Fino ad arrivare a chi, come il fumettaro Alan Moore, nel monumentale From Hell svela da subito l'identità di Jack Lo Squartatore e, proprio grazie alle fallimentari indagini di Abberline, racconta di “uomini che odiano le donne”, pur venerando la propria nazione nel corpo intoccabile di una Regina.
La riluttanza del giallo italiano a raccogliere la sfida di narrabilità che la violenza domestica pone sembra piuttosto solida. Una possibile risposta potrebbe essere estranea, o meglio precedente, a una dialettica di genere. Denudati dei piani artificiosi con cui il giallo d'indagine li riveste da un punto di vista narrativo, i delitti del tinello sono avvertiti come profondamente scandalosi. Rivelano infatti che la famiglia, ultimo baluardo di sicurezza in questi tempi di crisi, è in realtà solo un feticcio elettoralistico bipartisan. Qualcosa l'ha minata dall'interno.
Già nel 2001 Luigi Bernardi, in A sangue caldo, profetizzava: “...la progressiva uscita di scena dello Stato come unico fornitore dei servizi elementari per la vita…scaricherà ancora di più sulla famiglia le tensioni e le paure che da sempre accompagnano le incognite sul futuro. E non è un caso che sia proprio la famiglia a pagare il prezzo più alto di questa criminalità, sia in termini di vittime che in quello di carnefici”.
Con le donne regolarmente iscritte nell'elenco delle prime.

“pubblico” 8.12.12


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