7.5.16

Libero e morto. Lo stoico patriziato d'età imperiale (Lidia Storoni)

La statua di Traseas Peto a Padova
Tra le figure grottesche e turpi che compongono il cast del film Satyricon due sole si distaccano, nobili e austere: i coniugi suicidi. In quella coppia Fellini condensò una serie di stoici repubblicani del I secolo: gli oppositori, che si dettero la morte per "taedium vitae" o in ossequio all'ingiunzione degli imperatori (Nerone, Domiziano).
Non si sottoponeva un "Vip" al laccio del carnefice; inoltre, il suicidio evitava alla famiglia la confisca del patrimonio. I processi, quando vi furono, e la dignità degli imputati fornirono il modulo all'imminente martirologia cristiana. Ma scrivere l'elogio delle vittime del regime era pericoloso: chi celebrava il gesto supremo dei conservatori rischiava la morte. L'opposizione era motivata da tradizionalismo politico e conservatorismo economico. I senatori, spesso patrizi d'antica famiglia, erano contrari (talvolta fino alla cospirazione) al nuovo corso impresso dal principato, che favoriva l'esercito e la borghesia produttiva a danno del latifondo e promuoveva il livellamento etnico e sociale. Il culto del sovrano, la deificazione di modello orientale, serviva a cementare l'unità degli spiriti, meta ambita da tutti gli imperatori, consapevoli della varietà delle stirpi e delle religioni nell'immensa compagine dell' impero. Spesso le mogli, educate alla stessa disciplina morale, vollero condividere la sorte del marito: come la celebre sposa di Trasea, che si tagliò le vene per prima e gli porse il pugnale dicendo: "Non fa male". Anche Paolina, la consorte di Seneca, tentò di morire con lui, ma le fu impedito; e portò poi sempre sul volto la traccia di quel gesto e "il pallor della morte e la speranza".
Tacito, nella sua apologia di quei patrioti - dei quali condivideva la fede repubblicana e la dottrina stoica, religione laica dell'élite - è tuttavia reticente nei loro confronti fino ad essere ambiguo; li definisce "rigidi, tristes". Si direbbe che il loro sacrificio gli apparisse teatrale, e sterile quella loro "mansuetudine da servi... quel sangue inutilmente versato... quel darsi supinamente la morte...". Forse perché non ebbe il coraggio di agire come loro? o perché, nel caso di Seneca, quella personalità complessa e contraddittoria sfuggiva alle caratterizzazioni delle sue categorie psicologiche? Seneca stesso, dal canto suo, ammirava Catone e Bruto, i più alti esemplari della martirologia repubblicana, ma non gli sfuggiva l'astrattezza utopistica dei loro ideali: era inutile, scrisse, voler restaurare un regime di libertà, quando non vigevano più i principi morali e i costumi nei quali quel regime era attuabile. Seneca cercò dunque di adattarsi alla monarchia, riconoscendo che era necessaria e si mise al servizio di essa. Claudio l'aveva esiliato in Corsica - dove trascorse otto anni e scrisse la Consolatio ad Helviam, indirizzata alla madre - per una sua relazione con una ventenne della famiglia imperiale; richiamato da Agrippina, rientrò a Roma pronto a collaborare. Fu precettore di Nerone e suo consigliere, attuando il proposito, che era stato di Cicerone, essere l'eminenza grigia...


la Repubblica, 20 ottobre 1985

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