29.5.16

Costantino imperatore trasformista (Amedeo Feniello)

Bisogna superare l’immagine di un convertito che abbraccia la fede cristiana senza ripensamenti. Dall’indagine di Alessandro Barbero emerge il percorso mutevole di un monarca mai simile a se stesso che persegue a lungo forme di sincretismo religioso
Riparlare oggi della figura di Costantino può apparire anacronistico. C’è qualcosa ancora da dire su un personaggio su cui sono stati scritti fiumi di parole? Alessandro Barbero, invece, nel suo ultimo, importante lavoro intitolato Costantino il vincitore (Salerno) sostiene il contrario. Che su Costantino c’è ancora tanto da scavare e da raccontare. Basta non essere pedissequi e seguire una prospettiva originale e metodologicamente avvincente. Così Barbero accantona la storiografia sedimentata nel tempo, spesso caotica e fuorviante, ricca di episodi che fanno ormai parte della vulgata (ricordate la visione della Croce con la scritta in hoc signo vinces?), ma spesso fondati su «un mero montaggio di congetture». E sceglie, da par suo, un’altra strada. Irta di insidie, ma filologicamente corretta, che è quella di riprendere le fonti originarie, convinto che «ogni testimone coevo ha una sua versione degli avvenimenti che non dipende solo dalle informazioni fattuali di cui dispone, ma anche e soprattutto dal suo orientamento culturale e ideologico».
Barbero riprende le testimonianze più varie, da quelle letterarie — dei panegiristi come degli ideologi, tra cui emerge Eusebio di Cesarea — a quelle materiali della propaganda costantiniana, al corpus delle leggi promulgate durante il suo regno, alle lettere e agli editti imperiali relativi alla vita della Chiesa e alle sue controversie interne, riportati dai polemisti cristiani del IV secolo, fino alle orazioni e ai manuali di storia composti nei decenni successivi alla sua morte, prima che il mito sovrastasse il ricordo dei contemporanei.
Più che da biografo, Barbero lavora da investigatore. Con una domanda di fondo: le fonti su Costantino, cosa raccontano? Sostanzialmente, parlano di quattro momenti. Il primo, di ascesa, come figlio di Costanzo, tetrarca di un Impero romano diviso in quattro, il meno accanito nella persecuzione dei cristiani, che lo portò a raggiungere il titolo di Augusto e a scontrarsi con Massenzio, fino alla fatidica battaglia di Ponte Milvio (312), momento che si ammanta di un alone leggendario, con un comandante assistito dalle potenze celesti. Il secondo è di ripartizione del potere con gli altri due Augusti, Licinio e Massimino, con l’alleanza stretta tra Costantino e il primo dei due; finché Licinio non liquida Massimino e l’impero è, ormai, affare loro, di Costantino e Licinio, che regnano beneficando largamente i cristiani, cui si spalanca un’epoca nuova, di prosperità. Il terzo è l’epoca dello scontro con Licinio, che termina con la vittoria di Costantino solo dominus dell’impero ormai unificato, che associa al potere il figlio, Crispo. Il quarto è il tempo dell’assestamento e della politica dinastica e religiosa, con l’eliminazione del figlio Crispo e della moglie Fausta; la definizione di una successione (Costantino jr., Costanzo e Costante); l’attenzione crescente verso le comunità cristiane; e l’impegno per ricucire le violente spaccature che dividono le Chiese d’Africa e d’Egitto con la convocazione del Concilio di Nicea (325); fino al suo battesimo e alla morte come membro della Chiesa.
Narrata così, la storia di Costantino non presenterebbe novità e si offrirebbe al lettore quasi priva di fascino, secondo una direttrice che parte dall’ascesa politica e arriva fino alla sua adesione al cristianesimo. Però, avverte Barbero, il percorso fu tutt’altro che lineare, con continui andirivieni, scompensi, cambiamenti che solo la tradizione e la vulgata hanno appiattito, fino a regalarci un’immagine, uniforme e incontrovertibile, di un sovrano che abbraccia la fede senza ripensamenti.
Riprendo un solo esempio nell’enorme mole di materiale presente nel libro e relativo alla numismatica. Le innumerevoli monete coniate durante il regno di Costantino costituiscono una fonte importante «per costruire il flusso della comunicazione politica indirizzata dall’imperatore ai sudditi». Cosa rivelano? La fortissima comunicazione simbolica e l’assoluta autorappresentazione. Con delle prospettive inattese. Ci si aspetterebbe, ad esempio, dopo la battaglia di Ponte Milvio, svolta della nuova epoca, l’utilizzo dei simboli cristiani. E invece sulle monete non c’è la Croce, ma il dio Sole. Più di metà di tutte le monete messe in circolazione a nome di Costantino fra la vittoria di Ponte Milvio e il decennio successivo sono insomma dedicate al Sole che è, parole di Barbero, «l’invincibile compagno dell’imperatore, segno inequivocabile di una scelta religiosa clamorosamente ostentata e certo popolare».
Verrebbe da dire: e le visioni cristiane? E il signum raccontato da Lattanzio a Ponte Milvio? E la cristianizzazione dell’imperatore? La cartina di tornasole monetaria è in definitiva l’indizio forte di una complessa, se non tormentata, vicenda politico-religiosa, dove convivono a lungo ai vertici del potere decise forme di sincretismo, visto che monete d’oro con rappresentazioni del Sole riportate in un programma iconografico impegnativo (il Sole che incorona Costantino o gli dona la vittoria) sono pervenute ancora per il biennio 324-325, quasi nella fase cruciale del Concilio di Nicea.
Questo è solo un esempio, ma nel volume se ne possono enumerare tanti altri, come quello relativo all’Arco romano di Costantino sul quale, chiosa Barbero, «vista la proliferazione degli studi si ha l’impressione che, su di esso, anziché saperne di più ne sappiamo di meno». Testimonianze da cui scaturisce in definitiva un personaggio impossibile da ricomporre in maniera unitaria. Un Costantino mai simile a se stesso, abilissimo a manovrare la propaganda, prima tollerante e quasi alla ricerca di una prospettiva religiosa sincretica poi persuaso, negli ultimi anni di vita, di essere stato accompagnato e protetto dal Dio cristiano.
Una memoria (e una propaganda) imperiale che non si cristallizza con la sua morte, ma tende a plasmarsi ulteriormente. Col rafforzarsi delle leggende su apparizioni celesti e in hoc signo vinces. Mentre il ricordo di tanti contemporanei — pagani come cristiani — di un tiranno dispotico, autocratico, violento nel linguaggio e nei fatti, evapora e sfuma nel mito della lebbra che colpì l’imperatore, guarito dall’intervento salvifico di papa Silvestro. Leggenda che è il palinsesto su cui si elabora la costruzione della Donazione di Costantino e della Respublica cristiana medioevale.


© «Corriere della Sera» - “La lettura” - 22 maggio 2016

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